La Cyber Therapy – l’uso della realtà virtuale (VR) in psicologia e medicina – non è più un esperimento di nicchia. È oggi una delle frontiere più promettenti della cosiddetta Medicina 5.0, dove tecnologie e scienze umane si intrecciano per migliorare la vita delle persone.
Ma che cos’è in concreto? Si tratta dell’impiego di ambienti digitali immersivi, accessibili tramite visori VR, per trattare disturbi psicologici, cognitivi o motori. Un paziente con fobia dell’altezza, ad esempio, non guarda un video, ma si ritrova virtualmente sul bordo di un grattacielo, in totale sicurezza. Un anziano in casa di riposo non osserva un filmato del mare, ma passeggia in una spiaggia ricostruita digitalmente. In altre parole: non si assiste a un contenuto, lo si vive. Come scriveva il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, il corpo è il centro della percezione: la VR amplifica questa intuizione, creando un cortocircuito tra corpo fisico e corpo digitale.
Gli ambiti di applicazione di queste tecnologie, ormai utilizzate da oltre un decennio in tutto il mondo, sono numerosi. Nella gestione di ansia e fobie, piattaforme come XRHealth e Psious VR permettono esposizioni graduali e personalizzate, oggi integrate con sistemi di intelligenza artificiale capaci di adattare gli scenari in base alle reazioni fisiologiche del paziente. Anche nella terapia del dolore cronico i risultati sono sorprendenti. Una ricerca pubblicata su Cancer da Groninger et al. (2024) dimostra che pochi minuti trascorsi in ambienti naturali virtuali riducono il dolore percepito nei pazienti oncologici ricoverati, limitando persino il ricorso agli analgesici. Una sorta di evoluzione tecnologica della cara e misteriosa ipnosi.
Nella riabilitazione neurologica post-ictus, la VR trasforma esercizi ripetitivi in giochi interattivi – cucinare ricette simulate, dipingere muri, raccogliere oggetti – resi più efficaci grazie a sensori che monitorano i progressi motori.
La stessa logica di immersione controllata si rivela preziosa anche nel trattamento del disturbo post-traumatico da stress (PTSD): veterani, soccorritori e vittime di incidenti possono rivivere scenari traumatici in modo graduale e sicuro, connessi a biofeedback e supportati da psicoterapia online. Una modalità che attualmente consente percorsi efficaci anche a distanza.
Gerontecnologia: la terza età nell’Era cyber
Oggi il campo più rivoluzionario, però, è quello dell’assistenza agli anziani.
In molte residenze sono nate le VR Social Rooms, spazi virtuali dove piccoli gruppi possono incontrarsi, visitare musei o viaggiare in luoghi esotici senza muoversi dalla propria stanza. Sono molti gli studi ( googlate) che hanno dimostrato che queste esperienze riducono i sintomi depressivi e aumentano il benessere percepito. La VR, dunque, diventa una vera e propria dilatazione del tempo: un anziano può rivivere luoghi del passato o vivere viaggi mai compiuti. Questa prospettiva rientra in un campo di ricerca in rapida espansione: la gerontecnologia, neologismo nato dall’unione di “gerontologia” e “tecnologia”. Gli approcci in questo ambito, ancora poco diffusi nella pratica quotidiana europea, ma già avviati in Asia e Usa stanno mostrando risultati promettenti: dallo sviluppo di sistemi in grado di compensare i deficit cognitivi e fisici, fino al supporto psico-sociale per le persone con demenza. Accanto alla VR, infatti, si affermano le tecnologie assistive robotiche.
Tra gli esempi italiani all’avanguardia, mi limito a segnalare la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo ( sì, proprio l’ospedale di Padre Pio ) che negli ultimi anni utilizza robot semi-umanoidi o di aspetto animale per assistere anziani con declino cognitivo e difficoltà motorie, che migliorano la qualità della vita, favoriscono l’interazione sociale e riducono l’uso di farmaci psicotropi e antidolorifici. In generale, i robot a sembianze umane risultano più efficaci nei compiti di assistenza e comunicazione, mentre quelli a sembianze animali agiscono in modo più diretto sullo stato emotivo.
Oltre il reale: un nuovo linguaggio terapeutico
La realtà virtuale non è soltanto una tecnologia, quindi, ma un nuovo linguaggio relazionale che, se ben usata, si può trasformare in una “tecnologia del legame”. Il valore della cyber therapy, infatti, oggi non risiede solo nella distinzione tra reale e simulato, ma nella capacità di generare significato e benessere. In questo senso, la tecnologia virtuale non è solo uno strumento terapeutico, ma una grammatica dell’esistenza contemporanea, capace di riscrivere spazio, tempo e corpo. Che si tratti di curare un trauma o di alleviare la solitudine di un anziano, la realtà immersiva mostra come la cura del futuro non passi più soltanto attraverso parole e immagini, ma attraverso esperienze condivise e trasformative.
Un dubbio, tuttavia, rimane. Viene spontaneo pensare a Zygmunt Bauman che, in Liquid Modernity (2000), sottolineava come la solitudine sia spesso il risultato di legami fragili e destinati a dissolversi con facilità.
In questa prospettiva, sorge l’interrogativo: è davvero etico ( e sano) andare verso un futuro in cui si rischia di sostituire il calore della cura e il contatto umano con simulazioni generate da byte e silicio, un “surrogato digitale di vicinanza” incapace di restituire la profondità di uno sguardo, di un gesto o di una carezza?
Ai posteri o all’AI… l’ardua sentenza.

