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Il Tempo del Dollaro è Finito?

Il Tempo del dollaro è finito? Nell’immaginario collettivo il dollaro è la valuta forte per antonomasia. Ma da quando il nuovo presidente degli Stati Uniti è Donald Trump, il cosiddetto biglietto verde ha preso una strada in discesa.
E’ un percorso che segna la fine del ruolo del dollaro come moneta con cui si regolano gli scambi internazionali, reali e finanziari? La risposta si trova innanzitutto  spiegando che rapporto c’è tra l’arrivo di Trump e la discesa del dollaro, per poi arrivare a scoprire quanto rilevante questo fenomeno sia, in una prospettiva di più lungo periodo. Il Tempo conta, perché al cambiare dell’orizzonte di analisi le prospettive cambiano.
Il punto di partenza non può che essere il presidente degli Stati Uniti, e l’intreccio dei cinque assiomi che lo contraddistinguono: neo-protezionismo, svalutazione del cambio, lassismo  monetario, deregolamentazione finanziaria, indisciplina fiscale.
Il  primo assioma è l’uso della politica commerciale al fine di influenzare le scelte politiche degli altri Paesi. E’ il cosiddetto approccio geopolitico alla politica economica. L’effetto immediato è un aumento dell’incertezza, che si riflette sul tasso di cambio del dollaro, deprimendolo. E’ un problema per il  neo presidente? Assolutamente no, visto che  il tasso di cambio del dollaro è stato a suo avviso finora strutturalmente troppo forte.
La spiegazione? La prospettiva di Trump sull’argomento non la si trova nella tradizionale macroeconomia, ma appunto nella spiegazione  geopolitica dei fatti. In pillole: nella visione di Donald,  tutti i Paesi del mondo – cioè i loro governi, le imprese, le banche, ma anche i cittadini che risparmiano – hanno aumentato la sicurezza dei propri portafogli comprando dollari. Ma così facendo hanno danneggiato l’industria manifatturiera statunitense.
A questa ingiustizia occorre porre rimedio: quindi ne discende il secondo assioma: il valore del dollaro deve scendere.
Ma perché il dollaro scenda occorre – ed è il terzo assioma – la politica monetaria deve essere caratterizzata da tassi di interesse strutturalmente bassi e stabili. Qui l’assioma del presidente cozza con un assetto istituzionale in cui formalmente la banca centrale statunitense è indipendente dalla Casa Bianca. Nella realtà, l’indipendenza della FED ha la stessa robustezza della Linea Maginot. Da un lato, il fondamento giuridico è una semplice legge dello Stato, modificabile dalle due Camere, che oggi sono entrambe controllate dal partito repubblicano, che è quello del Presidente. Dall’altro lato, Donald Trump, e fin dal primo mandato, ha prima avviato, poi progressivamente perfezionato, una politica di pressione politica sui vertici della FED finora inaudita, nei modi e nei tempi.
Certo, dollaro debole e tassi bassi possono non essere coincidenti con gli interessi dell’industria bancaria e finanziaria. Niente paura: il presidente ama in generale la deregolamentazione – che è il suo quarto assioma –  ed in particolare quella che favorisce Wall Street. L’effetto è un aumento del rischio di instabilità finanziaria, che sono correlati con bassi interessi prima, ed ancor più bassi dopo, se si vuole evitare che l’economia nel suo complesso collassi. Il quarto assioma rafforza il terzo ed il secondo.
Il gran finale riguarda i conti dello stato, ovvero il quinto assioma dell’era Trump: la politica della tassazione deve essere espansiva, ed il tema del debito pubblico nei fatti trascurati.
E’ l’assioma che ha generato la famigerata legge di un Bilancio Bello e Boteriano, che il parlamento, a maggioranza repubblicana,  si è premurato di approvare. Ma per trascurare, almeno momentaneamente, il problema del debito pubblico, occorrono tassi bassi, che rendono il rifinanziamento del debito già esistente meno oneroso. Il cerchio si chiude con il quinto assioma, che rovescia il mondo che i tradizionali libri di macroeconomia raccontano.
In una economia statunitense dominata dal presidente Trump e dai suoi cinque assiomi, la  svalutazione del dollaro è una sua naturale conseguenza. Nessuna sorpresa che il dollaro abbia raggiunto dall’inizio dell’anno il livello più basso toccato dal 1973. Oggi quindi il Tempo del dollaro coincide con il Tempo di Donald Trump.
E’ un fenomeno irreversibile? Calma, è troppo presto per dirlo. Per capire se  il ruolo dominante del dollaro verrà intaccato dall’effetto Donald occorre valutare i dati, ma in una prospettiva di più lungo periodo. Una analisi  del 2022 di economisti del Fondo Monetario conferma che, nonostante la crescita del renmimbi cinese, i due blocchi monetari prevalenti  sono ancora quelli rappresentati dal dollaro e dall’euro. Il primo, anche se in calo, continua ad essere di molto più rilevante dell’euro, che mantiene un peso stabile. Utilizzando come metro l’ammontare delle riserve ufficiali in valuta estera delle banche centrali , le riserve in dollari ed in euro rappresentano rispettivamente il sessantuno percento ed il ventuno per cento di quelle riserve. Sempre analizzando le riserve ufficiali, un’analisi più recente  mostra che la quota del dollaro passa dal settantuno per cento del 1999 al cinquantanove per cento del 2021, con l’euro sempre intorno al venti percento, lo yen e la sterlina insieme intorno al dieci percento, mentre un paniere che include il renmimbi cinese, il franco svizzero, il dollaro canadese, ed altre valute ancora, finiscono per rappresentare il residuo dieci per cento.
L’analisi del Fondo Monetario mette anche in luce che il peso relativo di ciascuna moneta dipende da almeno quattro fattori, la cui importanza può poi cambiare di volta in volta.
Per cui c’è un fattore dimensione, un fattore inerziale, un fattore credibilità, e un fattore di attivismo valutario.
Primo: una moneta sarà tanto più una valuta utilizzata negli scambi internazionali quanto più rappresenta un Paese  o una regione  le cui dimensioni economiche, nonché negli scambi mondiali, è rilevante. Secondo: poi c’è l’inerzia, in quanto cambiamenti nella composizione delle riserve ufficiali difficilmente avvengono da un anno all’altro, o meglio ancora da un lustro all’altro. Terzo:  è fondamentale che sia credibile, in termini di stabilità politica ed economica, il Paese che emette la moneta. Quarto: c’è il grado di attivismo che i governi e la banca centrale di quel Paese dimostrano nel promuovere il ruolo della loro moneta come mezzo di pagamento internazionale.
Se questo è lo scenario di fondo  che caratterizza la dinamica delle monete usate negli scambi internazionali, quali potranno essere i riflessi della  seconda presidenza Trump? Considerando complessivamente i quattro fattori, unanime è l’aspettativa che, al netto del fattore inerziale,  questo secondo mandato  arriva in un momento di forte instabilità geopolitica. Inoltre, saranno tutti da valutare gli effetti delle scelte politiche del nuovo presidente, incluse quelle economiche e finanziarie, per poi interrogarsi in generale sulla sua credibilità. Quindi, viene da dire, diamo Tempo al Tempo. Non possiamo che aspettare di scoprirlo, direbbe il Grande Lucio, solo vivendo.

Donato Masciandaro
(Prof.re Ordinario di Economia Politica, Università Bocconi-Milano)

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