La mela è il frutto (o meglio un falso frutto, visto che il vero frutto sarebbe il “torsolo”…) della famiglia delle Rosaceae (nome scientifico Malus communis, Malus domestica).
Originaria dell’Asia Minore, a sud del Mar Nero, dove appaiono i primi alberi, la mela, attraversa l’Egitto e la Grecia, per giungere in Europa nei giardini lussureggianti dell’Impero Romano. Frutto per eccellenza, con la sua forma sferica ha suggerito a poeti e cantori la totalità del cielo e della terra, assurgendo a simbolo del potere massimo, terrestre e divino insieme.
Tre sono infatti le mele d’oro che indussero Atalanta a fermarsi e a perdere la scommessa con Ippomene; ed è porgendole una mela (il pomo della discordia) che Paride elesse Afrodite bellissima tra tutte le dee. Ed è sempre una mela il frutto che, consacrato ad Afrodite, a partire dal III sec.d.C, in Grecia, veniva lanciato al giovanetto o alla fanciulla per scegliere il compagno di banchetto; e ancora, mele sono i frutti dell’immortalità del Giardino delle Esperidi che Ercole, nella sua undicesima immane fatica, riuscì a conquistare.
Nella tradizione ebraico-cristiana il melo può essere considerato l’albero del bene o del male, mentre nella mitologia scandinava ad esempio, la mela è il cibo degli dei.
Fu proprio una mela che cadendo in testa allo scienziato inglese Isaac Newton lo portò ad intuire il meccanismo della forza di gravità, ed una mela trasformò Guglielmo Tell nell’eroe nazionale del popolo svizzero.
Ai giorni nostri nella simbologia moderna, rimane iconico lo slogan: “Chi Vespa mangia le mele” di una famosa campagna pubblicitaria della Vespa negli anni ’70, ideata dal creativo Gilberto Filippetti per Piaggio. Così come il simbolo (una mela morsicata, forse in omaggio proprio a Newton…) dei moderni computer Apple.
Una “Madonna con il Bambino”
Figlio di Jacopo, Carlo Crivelli nacque a Venezia tra il 1430 ed il 1435.
Fu educato alla pittura nella città di Padova, presso la bottega di Francesco Squarcione, una delle scuole più importanti del tempo, dove gravitavano artisti del calibro di Andrea Mantegna, Cosmè Tura, i fratelli Bellini, Gentile e Giovanni, Bartolomeo Vivarini, e molti altri ancora. Qui Crivelli scoprì le sorprendenti novità del Rinascimento toscano, rilette in chiave “settentrionale”, ossia impreziosite da una spinta filologico-erudita, erede degli insegnamenti di Donatello. A partire dal 1468 (anno in cui firmò il “Polittico di Massa Fermana”), si stabilì nelle Marche divenuta ben presto, la sua regione d’adozione, e dove si guadagnò fama ed onore. Nel corso della sua feconda carriera, il pittore veneto dipinse esclusivamente soggetti sacri reinterpretati in chiave del tutto inusuale per lo stile dell’epoca.
Artista inquieto, sperimentatore, pieno di grazia e di genio, le sue madonne e le sue sante elegantissime, indossavano tessuti damascati lavorati con pietre preziose. Portavano acconciature elaborate, impreziosite da fini gioielli e mostravano monili dalle fogge più ricercate, al punto da sembrare in verità, più delle terrene dame di corte che delle rappresentazioni religiose, pur mantenendo però una mistica poetica.
La Madonna con il Bambino (conservata nella Pinacoteca civica di Ancona “F. Podesti”) è una tempera su tavola dipinta da Carlo Crivelli intorno al 1480.
Alta appena venti centimetri, ritrae in primo piano la Madonna che, avvolta in un manto di velluto dorato, tiene con mano elegante e affusolata un piedino del Bambino. Sullo sfondo, un paesaggio descritto con estrema dovizia di particolari e popolato da personaggi con turbanti in testa, allusione probabilmente, ai contatti che la Chiesa di Roma aveva avviato in quel periodo con la Chiesa d’Oriente. La tavoletta, proviene dalla cella di Bernardino Ferretti, esponente di una delle famiglie di spicco della città e nipote del beato Gabriele.
L’opera è pregna di significati simbolici: il Bambino con la mano sinistra, tiene un filo a cui è legato un cardellino, uccellino simbolo della Passione. Sulla mano destra invece è poggiata una conchiglia (probabilmente…) con mollusco, riferimento alla fecondità di Maria, nel cui ventre si è incarnato Gesù.
La frutta che compone il festone in alto (elemento ricorrente nell’opera del Crivelli), è altrettanto ricca di simbologie: le mele straordinariamente realistiche, rimandano al peccato originale, mentre il verdastro cetriolo, associato all’episodio biblico di Giona che se ne cibò per tre giorni nel ventre della balena, è simbolo di salvezza e resurrezione.
Il fine decorativismo, la squillante gamma cromatica, talune licenze tardogotiche dal segno tagliente, insieme ad una concezione conclusa dello spazio, resero Carlo Crivelli un caso unico nel panorama della pittura italiana del Quattrocento. Coniugando una visione moderna della forma con una sintassi antica, egli riuscì a far dialogare le innovative conquiste rinascimentali con le importanti eredità artistiche del tardo medioevo.

