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uaderni de La Scaletta

Ancora sui rami del futuro, la speranza crede al fiore che avvampa

Le navi del sogno

Le variabili dell’evoluzione sociale

  1. Introduzione.

 

Quando la cronaca ci pone di fronte a fatti orribili come quelli dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia o del massacro di giovani israeliti perpetrato dai terroristi di Hamas, non solo si resta estremamente colpiti, ma ci si chiede come sia possibile che all’inizio del XXI secolo possano ancora accadere simili atrocità. Tanto più se consideriamo la storia di questi ultimi tre decenni. In particolare due punti.
1) La Russia viene dal crollo dell’URSS, che per molti aspetti (soprattutto sul piano ideologico-politico) è stato persino peggio del crollo del nazismo. Certo, quest’ultimo aveva perso la guerra e con l’olocausto aveva sistematicamente ucciso circa sei milioni di ebrei. Parecchie migliaia di nazisti erano però fuggiti (soprattutto in America Latina e in Medioriente) per evitare di essere processati (come era stato fatto con il processo di Norimberga), anche se il Mossad
(i servizi segreti) gli dava la caccia. Israele dal 1948 era diventato uno stato autonomo, anche se molto piccolo e situato in una zona circondata di paesi storicamente ostili. Su questo primo punto mi limito a ricordare che per trovare, nella storia dell’umanità, qualcosa di simile, anche vagamente, al crollo dell’Unione Sovietica, bisogna risalile molto indietro nel tempo. Per fare un esempio relativamente recente, si pensi alla scomparsa della civiltà Maya, definitivamente scomparsa a partire dal 1541 d. C., quando venne massacrata dagli Spagnoli. I Maya erano stati capaci di costruire delle enormi piramidi (peraltro assai diverse da quelle dell’antico Egitto), grandi città, scrittura geroglifica e affreschi notevoli. L’impero spagnolo conquistò tutta l’America centro-meridionale assoggettando molti indios con diverse forme di schiavitù, anche se la “copertura” spesso era quella di volerli convertire al cristianesimo. L’oppressione divenne ancora più sistematica quando incominciò a diffondersi l’ “eresia” di Lutero e in Europa centrale scoppiarono le guerre di religione.
2) Dunque, per trovare qualcosa di storicamente vicino al crollo dell’Unione Sovietica bisogna andare indietro di quasi cinquecento anni, quando non solo le mentalità e le culture erano molto diverse da quelle del Novecento. Per altro è proprio verso la fine del 1500 che inizia ad affermarsi l’imperialismo zarista (completamente isolato dall’Europa Occidentale). Molto più influenti erano stato gli invasori mongoli, nei primi del XIII secolo. Si potrebbe quasi dire che il gruppo che sta intorno a Putin sia una sorta di continuazione dell’impero zarista e dei khanati che si erano diffusi sino al Mar Nero.

 

  1. Il caso dell’Inghilterra da Giacomo I alla seconda metà del XVIII secolo: l’enigma della modernità.

 

Conviene partire dall’Inghilterra dei primissimi del Seicento, quando Giacomo IV Stuart  diventa re d’Inghilterra. Elisabetta Tudor era infatti morta senza lasciare eredi diretti: è da questo momento che tutto incomincia. Ciò che chiamiamo Occidente, inclusi gli USA, sorge qui qualche decennio dopo, quando Carlo I (figlio di Giacomo) si scontra con i “rivoluzionari” di Oliver Cromwell. A questo punto bisogna ricordare che Enrico VIII Tudor aveva abbandonato la Chiesa di Roma istituendo la Chiesa Anglicana per divorziare. Imputava infatti alla moglie di non avergli dato un figlio maschio, cosa che il Papa non gli concedeva e per questo fu scomunicato. In realtà si tratta di una Chiesa controllata direttamente dal re. Peraltro nel 1517 Lutero aveva pubblicato (appendendole sulla porta del castello di Wittenberg) le sue novantacinque tesi sulle indulgenze.
Nel 1520 venne scomunicato e a quel punto egli considerò esplicitamente e pubblicamente il “Papa come l’Anticristo dell’Apocalisse”. Da tempo la Chiesa di Roma veniva aspramente criticata e le idee di Lutero si diffusero, soprattutto nell’Europa del nord (sino in Finlandia). Ma è con Calvino (di origine francese ma stabilitosi a Ginevra) che il protestantesimo si diffuse nei paesi che avevano iniziato a svilupparsi economicamente: inizialmente l’Olanda, con una guerra di liberazione dal dominio spagnolo e, dalla metà del Settecento, l’Inghilterra con la prima rivoluzione industriale al mondo.
Come ha sostenuto un grande storico inglese, con la sua Chiesa di Stato Enrico VIII finì col “trovarsi in groppa a una tigre”. Sebbene Elisabetta avesse cercato di calmare le acque, aveva, in realtà, lasciati insoluti gran parte dei problemi religiosi: il protestantesimo si era diffuso anche a livello popolare, anche perché molti nobili erano visti (a iniziare dal Re e dalla sua corte) come cattolici (e alcuni effettivamente erano rimasti tali). Il contrasto religioso si trasformò in lotta per il potere, cioè di fatto in una guerra di religione, come peraltro stava per accadere in quella che verrà chiamata “guerra dei trent’anni” che, tra 1618 e il 1648, sconvolge l’Europa centro-orientale (il regno di Boemia). La rivolta contro gli Stuart è quasi contemporanea, iniziando intorno alla metà dello stesso secolo. Purtroppo a scuola si esalta la rivoluzione francese (1789) e invece si trascura (spesso del tutto) la storia inglese, di cui stiamo parlando. Basti pensare che il primo parlamento al mondo (anche se eletto in via censuaria), in quanto parte centrale del potere, si è istituito in Inghilterra nel 1688-89 (il cosiddetto “Bill of Rights”), giurato in Parlamento dal nuovo re (Guglielmo III d’Orange, che oltre a essere protestante era marito della nuova regina, figlia di Giacomo II).
Il punto centrale di questa storia è che nel giro di circa due secoli e mezzo, pur con grandi contrasti (anche moto acuti: la forte reazione della Chiesa cattolica, il fascismo e il nazismo, due guerre mondiali), il Parlamento si è affermato stabilmente in Occidente. Non c’è dubbio che l’incredibile sviluppo economico, che è iniziato con la “rivoluzione industriale” inglese, si debba all’affermazione e alla stabilizzazione del “capitalismo” (pur con i suoi difetti). Ma è altrettanto indubbio che questa affermazione non ci sarebbe stata se non fosse stata accompagnata dalla democrazia e dalle libertà individuali, garantite da un legge superiore (la Costituzione) e dalla separazione dei poteri. Sul piano strutturale tale formazione sociale viene individuata tramite il concetto di forma sociale per sistemi specializzata in una funzione. Sul piano storico mondiale una tale forma sociale si trova solo e soltanto in Occidente o dove gli USA lo hanno imposto dopo la fine della II guerra mondiale: Giappone, Corea del sud, Taiwan. Limitandoci al caso dell’Inghilterra, vediamo rapidamente le tappe principali di questa svolta epocale.

(a) Presupposto storico: l’ anomalia dello “stato di ceto” inglese. Si deve partire dal fatto che il feudalesimo fu portato in Inghilterra dai Normanni con l’invasione del secolo XI. Esso non aveva quindi quella tradizione e quella stratificazione plurisecolare che aveva sul continente. Inoltre, per eventi che non possiamo discutere, il re si trovò vincolato dalla cosiddetta Magna Charta Libertatum a cui si rivolsero gli oppositori dei Tudor che avevano cercato di imporre uno stato assolutistico. Inoltre, diversamente da altri paesi continentali, in Inghilterra c’erano solo due Camere di rappresentanti dei ceti: quella dei Lords e quella dei Comuni. Quest’ultima era costituita da rappresentanti in gran parte della cosiddetta gentry, ossia di proprietari benestanti e che avevano acquistato prestigio e ricchezza quando Enrico Tudor aveva venduto loro le terre che erano state confiscate alla chiesa cattolica e quando (nel secolo XVI) aveva avuto un ruolo molto importante (legislativo) nell’applicazione e nella istituzionalizzazione del Riforma.
Non solo la gentry era diventata largamente indipendente dalla nobiltà, ma svolgeva un importante ruolo nel governo delle contee e nell’amministrazione della giustizia (imponendo il “common law” contro un diritto altamente centralizzato voluto dagli Stuart), nonché comandando la milizia locale (si tenga presente che non esisteva un esercito centralizzato, con l’eccezione della flotta). La politica Tudor aveva inoltre frantumato le residue dipendenze feudali (corporazioni, patenti reali per i commerci ecc.). Incentivata dal protestantesimo la gentry iniziò a pensare che la ricchezza non provenisse dalla nobiltà, ma fosse il risultato del lavoro e della libera iniziativa. In realtà i nobili realmente titolati erano pochi (alla fine del Settecento i Pari della Camera dei Lord erano meno di duecento). Fatto sta che già nel 1628 i Comuni stabilirono che “ogni suddito libero di questo regno ha un fondamentale diritto di proprietà sui suoi beni, ed una libertà fondamentale sulla sua persona”. Concetti questi che hanno poi animato la rivoluzione contro gli Stuart degli anni quaranta e seguenti.

(b) La rivoluzione del 1640: la “Corte” contro il “Paese”.  Agli inizi la guerra fu una lotta per il potere tra due fazioni che appartenevano alla struttura d’autorità preesistente. In breve: l’effetto finale della rivoluzione fu l’abolizione della monarchia e l’instaurazione della Repubblica, nonché l’affermazione del principio per cui apparteneva al “diritto del singolo soggetto” ribellarsi al sovrano “tiranno”. Si tratta di un effetto “emergente” assolutamente inizialmente non voluto. Si noti: da questo momento, per i protestanti il diritto alla ribellione contro il tiranno appartiene al singolo soggetto. In breve tempo si arrivò alla concezione delle sovranità popolare e ai diritti soggettivi, incluso quello alla ribellione. Questo però era stato preceduto e poi accompagnato dalla dissoluzione degli antichi legami di servitù e di clientele, e sostituto da relazioni basate su rapporti di mercato. Mentre il potere della Corte non riusciva ad adattarsi a queste nuove circostanze, continuava la politica di corruzione e di sprechi. Sulla base di queste nuove fondamenta economiche, gran parte della gentry erano costituita da cittadini indipendenti e agiati, spesso anche istruiti. Era quindi mutato l’equilibrio sociale tra i nuovi ricchi (in cui si trovavano anche mercanti e professionisti: avvocati, procuratori e medici) e i tradizionali detentori del potere (oltre alla Corona, i cortigiani, l’alto clero e l’aristocrazia).
I primi erano sovente  puritani e criticavano fortemente l’episcopato anglicano come corrotto. Nel frattempo il Parlamento, soprattutto la Camera dei Comuni, era andato acquisendo non solo un notevole prestigio, ma anche un importante potere su fisco e questioni religiose. Già all’inizio del XVII secolo è ben visibile la formazione di un’opposizione che era l’espressione di quel nuovo equilibrio tra i nuovi detentori del potere economico, arrivando a una vera e propria crisi costituzionale nel Parlamento del 1640 che, come accennato, contrappose il “Paese” alla “Corte”. Questa veniva accusata di corruzione e sistematica incompetenza e che tramava per restaurare il cattolicesimo romano.
Lo scontro si radicalizzò. Carlo I (figlio di Giacomo) cercò di restaurare un potere assoluto di stampo medioevale che era in netto contrasto con la nuova realtà sociale e finì con il coalizzare tutti gli oppositori. Il Parlamento del 1640 esplose. Dopo un guerra civile di quasi dieci anni il re fu catturato, processato per alto tradimento e giustiziato. La monarchia venne sostituita dalla Repubblica.

(c) Dalla Repubblica alla Monarchia Parlamentare.
Con la guerra civile Oliver Cromwell (il capo dei ribelli) finì di fatto con l’assumere pieni poteri. Quando Cromwell morì gli succedette il figlio, che però dopo un anno rinunciò. In realtà nessuno sapeva cosa fare. Non si trattava solo di confusione. La stessa idea di Repubblica si rifaceva ai  secoli precedenti (addirittura alla Repubblica Romana). Il punto essenziale è che non esisteva ancora un concetto veramente alternativo a quello di Monarchia. E infatti nel 1660 si finì con il richiamare gli Stuart (Carlo II), sebbene il Parlamento si fosse ristabilito e cercasse di esercitare un controllo sui ministri (soprattutto su tasse e gabelle). Una legge aveva persino stabilito che l’autorità del Re si sarebbe dovuta esercitare tramite il Parlamento. I parlamentari non cedettero alle pressioni dei ministri del Re che cercavano di imporre nuove tasse. Ma il punto di svolta vero si ebbe quando Carlo II morì lasciando erede il fratello, che cosi fu incoronato re (Giacomo II). La situazione però precipitò (1688) perché Giacomo era pubblicamente cattolico. La stessa chiesa Anglicana aveva preso drasticamente le distanze, dando un contributo forse decisivo al suo rovesciamento.
Il protestantesimo (sia Anglicano che di tipo calvinista) diventò un centro di identificazione: da un lato i puritani si consideravano il “popolo di Dio”,  chiamavano il Parlamento la “camera degli dei”, affermavano che il diritto divino si era trasferito da Westminster a Whithall e che gli Inglesi erano il nuovo “popolo eletto”. Lo stesso Parlamento (dove i Tories, più conservatori, erano maggioranza) contestò apertamente la legittimità del governo e dello stesso Re Giacomo. Il nuovo Re Guglielmo (1689) giurò in Parlamento  anche l’ “Atto di Tolleranza”, con cui (di fatto) per la prima volta in Occidente si introdusse il pluralismo religioso. Molti erano diventati consapevoli che un uso della religione a fini di potere era molto pericoloso, avrebbe potuto scatenare una nuova guerra civile. La concezione del “voto di sfiducia” in Parlamento si era affermata, e non solo tra le opposizioni. Bisogna rammentare che nel 1688 John Locke aveva pubblicato un fondamentale libro che è considerato l’origine del moderno pensiero liberale, e che tutte le elites avevano letto e discutevano pubblicamente. Nel 1701 si afferma per legge il principio secondo cui l’amministrazione della giustizia è indipendente dal governo, anche se c’è chi continua a creder che la separazione dei poteri sia stata inventata da Montesquieu. Nel 1647, nei dibattiti di Putney tra gli ufficiali di Cromwell e vari gruppi puritani (tra cui i Livellatori), si era infatti discusso su chi dovesse essere dotato del diritto di voto per il Parlamento.
Sebbene nelle truppe vi fossero già dei gruppi che sostenevano una tesi di totale uguaglianza, alla fine fu accettata un tesi di suffragio ristretto (che escludeva chi era privo di proprietà: mendicanti e salariati). Per concludere: non è un caso che ancora oggi la Gran Bretagna non possieda una vera e propria Costituzione scritta. È il risultato di questa lunga e sofferta tradizione (dove ormai il Regno e la Camera dei lord sono figure prevalentemente simboliche,  e dove, quantomeno in Inghilterra-Galles, l‘elezione è basata su un sistema uninominale, a un turno e  in collegi piuttosto piccoli, dove i partiti non sono più di tre o quattro, e quindi i candidati sono molto conosciuti. Non a caso la Scozia ha una certa sua autonomia, pur facendo parte dello stesso regno.

 

  1. Le “variabili” dell’evoluzione sociale

 

Si ricorderà che, come abbiamo detto all’inizio dell’analisi del caso Inglese, il concetto base per l’approccio evolutivo è quello di forme della differenziazione per sistemi (sociali) specializzati in una specifica funzione (governo, economia, giustizia, arte, scienza ecc.)[1]. Si tratta di una sorta di generalizzazione concettuale dell’evoluzione in senso neodarwiniano (presente soprattutto in scienza economica, ma anche in sociologia e biologia). Come si può vedere dalla figura, ciascun sistema è “chiuso su sé stesso”, nel senso che ciascun sistema deve essere colto tramite la distinzione “sistema/ambiente”. Allo stesso tempo ciascun sistema deve esse inteso come una “rete chiusa di produzione” di componenti che ricorsivamente realizzano, tramite le interazioni di tali componenti, la rete stessa che li produce insieme ai confini che lo separano dagli altri sistemi, entro. Poiché questo vale per ciascun sistema di funzione che compone la società, ecco che la società (funzionalmente specializzata) deve essere intesa a sua volta come un sistema composto da sistemi, ciascuno dei quali è in relazione con gli altri solo, e soltanto, sulla base della sua specifica funzione. Qui l’ambiente non è la natura, ma la società. Le componenti prodotte sono “decisioni” di uno specifico tipo, riguardanti quello specifico sistema.
Per esempio, un’azienda può prendere decisioni che riguardano solo sé stessa e avere solo conseguenze economiche (profitti o perdite); un governo può prendere decisioni solo politiche (rispettando le procedure previste dalla legge).  Ovviamente un apparato pubblico (centrale o periferica) richiede soldi, ma questi dipendono dal meccanismo fiscale (e quindi anche dall’andamento economico) e sono vincolati dal livello del debito. Un paese come il nostro, per fare un esempio, ha un debito che quasi il 150% del PIL e questo costituisce un forte vincolo, quale che sia il tipo di governo che, volta per volta, è in carica (anche se effettivamente durasse cinque anni, come prevede la Costituzione). Questa è la ragione (principale, sebbene non esclusiva) per cui il PIL italiano è inferiore a quello che avevamo nei primi anni duemila. Le imprese italiane sono troppo piccole, investono mediamente molto poco e hanno tecnologie non aggiornate. Anche il cosiddetto terzo settore (quello dei servizi) è troppo piccolo. Siamo il paese che ha più negozianti in Europa. Persino la Spagna (il paese,  sino a qualche anno fa, più indietro insieme alla Grecia) ci ha superato nella crescita del PIL. La Germania è stata “fregata” dalla guerra in Ucraina, perchè dipendeva troppo dal gas che importava dalla Russia.

Venendo alle “variabili” utilizzate in questo approccio, distinguiamo:
(a) variazione; (b) selezione; (c) ristabilizzazione. Ovviamente, in base alle definizione appena date e all’esempio del caso Inglese, sul piano storico universale è necessario immaginare come si possa passare dal tipo gerarchico (una specie di “monarchia assolutistica”)  al tipo differenziato in base a funzioni. È per esempio evidente che nella Repubblica Popolare Cinese c’è una solo partito che controlla tutto e reprime chiunque non si allinei (anche se nessuno parla più degli Uiguri, una minoranza etnica che è stata sostanzialmente deportata in massa). L’interazione qui considerata è la comunicazione (di senso), la quale ha la seguente caratteristica: qualsia cosa venga detta può essere negata. Ma la negazione deve, a sua volta, essere comunicata esplicitamente, se vuole valere come effettiva negazione. Ecco perché nei regimi realmente non democratici (come la Russia e la Cina) non si può che accettare. Non si può fare “opposizione”, di alcun tipo.  Si deve tener conto del fatto che la comunicazione, in particolare quella in pubblico, è fortemente condizionata da aspettative sociali. Anche quando si tratta esclusivamente di aspettative di semplice comprensione. Per esempio, nessun telegiornale può essere trasmesso, se non sul presupposto che qualsiasi cosa venga detta sia comprensibile. Questa è la ragione, per esempio, pur cui Putin esercita un controllo assoluto di tutti i media. Chi si oppone finisce in galera, magari nella sperduta Siberia o viene addirittura ucciso. I sistemi di cui stiamo parlando sono quindi sistemi di comunicazione. Persino l’economia deve essere intesa in questo senso perché, qualunque sia la dimensione aziendale, essa funzione in base alla comunicazione (chi si oppone, per dire, non fa carriera o viene licenziato)

(a) Variazione. Dopo quanto appena detto, si può ben comprendere perché la variazione in pubblico sia fortemente condizionata. In questo senso le strutture (considerando il tempo: sistemi autoriproduttivi) per mutare radicalmente richiedono che si affermi una variazione negativa (rispetto a quella attualmente vigente o dominante). Vi si oppongono la “tradizione”, l’ignoranza, l’opportunismo, la convenienza, l’astensionismo (oltre, naturalmente, al controllo). Perciò la selezione positiva, ossia quella che in modo esplicito nega il valore della comunicazione che dissente, non fa che riprodurre la strutture dominante (aspettative). Questo oggi è soprattutto evidente nelle autocrazie. Può sembrare che il “populismo” contraddica questa tesi. Ma in questo caso stiamo dimenticando che il “populismo”  si è sviluppato proprio nelle democrazie occidentali. Non per caso soprattutto in paesi come l’Italia che non crescono e, recentemente, in Germania, ma nei Land che erano appartenuti alla Germania dell’est (che forse hanno subito gli effetti maggiori della recente recessione).

(b) Selezione (negativa). Diversamente dall’evoluzione naturale dove è sempre la natura che fa scomparire una specie, quella sociale opera tramite selezione interna. La selezione è sempre opera di una struttura che per qualche motivo (anche solo contingente) si è affermata. Si pensi al Nazismo, che era salito al potere con il crollo della repubblica di Weimar (a sua volta conseguenza della I guerra mondiale, che la Germania aveva perso). In questo senso, qualche volta la contingenza decide la direzione della storia. Il significato del termine “contingenza” è quello della logica (modale). Il suo significato è: “è accaduto, ma avrebbe potuto accadere diversamente”. Insomma, non vi è (logicamente) una relazione di necessità tra “cause” ed “effetti”, anche se così sembra sul piano storico. Logicamente variazione e selezione sono (quindi) in una relazione “ortogonale”. Anche per questo vi sono storici che utilizzano un approccio comparativo, soprattutto quando si studiano fenomeni così differenti (anche per tradizione culturale) come lo sviluppo industriale di paesi moto diversi come l’Inghilterra e la Cina o l’India.

(c) Ristabilizzazione della struttura complessiva della forma sociale. Con questo termine intendiamo che, quando un variazione deviante si afferma generando una nuova struttura, questo non accade mai per questo scopo. Sebbene sia ovvio che l’autore (magari un piccolo gruppo) si sforzi di realizzare una costruzione di senso alternativa a quella dominante l’affermazione, in quanto struttura alternativa a quella vigente di questa devianza, è storicamente molto rara. Non può essere un caso che ci siano solo cinque tipi generali di forme sociali nella storia dell’umanità, una delle quali è tipica solo dell’India induista. Si tenga presente che la forma gerarchica, mutatis mutandis, vale anche per paesi dominati da una autocrazia. Cambiano alcuni aspetti culturali e organizzativi, ma la società è comunque strutturata in via gerarchica (al vertice può esserci una giunta militare, dei grandi proprietari terrieri, un Partito unico con un gerarchia di funzionari statali o una radicata e plurisecolare tradizione gerarchica-religiosa, come del caso dell’India induista).
In ogni caso, affinché la nuova struttura complessiva della forma sociale si affermi occorre che si realizzi con successo una sorta di complessivo effetto emergente, riguardante l’intero sistema della società: è questa la vera ragione per cui è molto raro. Si tratta di una specie di “salto quantico” della società. Per esempio, storicamente è molto più facile che una società gerarchica di tipo feudale si ristrutturi in senso assolutistico o nella forma centro/periferia come è tipico di ogni variante nota di impero (sia antico che più recente). Non per caso abbiamo descritto il caso dell’Inghilterra. La stessa Europa continentale dell’Occidente ci impiegò quasi due secoli (in via fortemente contrasta) per adottare una forma simile e non a caso vi fu costretta per l’evidente superiorità inglese (e poi, anche qui non certo per caso, americana) in tutti i campi (evidente in quello militare). Per farlo furono costretti a imporre quella che alcuni storici hanno chiamato la “rivoluzione dall’alto”, cioè imposta dallo Stato, specialmente dalla metà dell’Ottocento. Inizialmente riguardava quasi esclusivamente l’industrializzazione e la riorganizzazione dello Stato, con timide riforme sociali e politiche. Iniziò però a diffondersi anche il liberalismo (con i moti del 1847-48). Ma i contrasti sociali e politici erano diventati così acuti che si arrivò allo scoppio della I guerra mondiale, con tutti gli sconvolgimenti che ne seguirono (a iniziare dal crollo dello zarismo e dall’affermazione della dittatura comunista). Ci volle però una II guerra mondiale perché la democrazia si affermasse in Europa occidentale, tramite la disfatta del fascismo e del nazismo e l’occupazione degli Alleati.

In breve, perché si affermasse la democrazia ci vollero due “congiunture critiche” catastrofiche (le due guerre mondiali). Da un lato il crollo di ideologie e regimi reazionari, dall’altro la contrapposizione tra regimi comunisti e democrazie (con relativa “guerra fredda”). In ogni caso, queste vicende illustrano bene sia il carattere eccezionale sia del modo particolare in cui è “emersa” la forma sociale differenziata per sistemi di funzione, nonché il modo ancor più eccezionale in cui si sia diffusa (in realtà imposta) in Occidente. Concludendo, parliamo di ri-stabilizzazione perché non è sufficiente che la deviazione strutturale si affermi. Occorre che l’intera società si ristrutturi seguendo la devianza iniziale, cioè cambi la forma generale della sua riproduzione ricorsiva (detta anche autopoiesi). Perchè ciò possa realizzarsi è necessario che l’affermazione della nuova struttura non generi un’incompatibilità strutturale complessiva, così che la nuova struttura deviante spinga le vecchie strutture ad adattarsi modificandosi nella stessa direzione (come nell’Inghilterra tra Sei e Settecento). In questo modo la nuova forma di differenziazione si stabilizza come modo  perdurante di autoriproduzione. È quindi molto probabile che l’evoluzione sociale utilizzi qualcosa di simile a ciò che il neoevoluzionismo in natura chiama exaptation. Con questo concetto si spiega come l’evoluzione lavori spesso con “materiale” di cui già dispone, eventualmente attribuendo loro nuove funzioni. L’idea generale è che l’evoluzione  sovente lavori con quello di cui già dispone e in modo contingente, ossia sfruttando certe opportunità già disponibili. Applicando questo concetto nell’evoluzione sociale si può, per esempio, spiegare (com’è accaduto nel caso Inglese) come un “parlamento” di origine feudale, in presenza di particolari condizioni, si sia trasformato in un Parlamento rappresentativo democratico che ha favorito l’affermazione della nuova struttura economica che, nel frattempo, si era formata (il capitalismo), cosa che, a sua volta, ha stabilizzato l’affermazione della vera democrazia (e altri sistemi di funzione ad essi correlati: si pensi alla scienza, al diritto, all’arte che in Occidente nessuno si sogna di controllare proprio perché la libertà è attribuita al singolo soggetto.

Nicolò Addario
(Prof.re ordinario di Sociologia generale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
navi-del-sogno-14-2024
Forme della differenziazione: a) gerarchia castale; b) centro/periferia o imperi; c) forma gerarchica europea postfeudale; c) forma differenziata per sistemi specializzati in una funzione [si noti come nelle prime tre figure la religione “avvolga” l’intera società]
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PIL (pro capite) nelle grandi civiltà del G7 (R. Baldwin, La grande convergenza. Tecnologia informatica, web e nuova globalizzazione, Il Mulino, 2018, p. 64)

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