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uaderni de La Scaletta

Ancora sui rami del futuro, la speranza crede al fiore che avvampa

Le navi del sogno

Parlare di nazionalismo e integrazione europea a Matera

Anche se lontana geograficamente da Bruxelles, Matera è al centro della storia europea che Bruxelles rappresenta.
La storia del continente, come quella della città, è fatta di migrazioni, scambi, cambiamenti. Nel continente, quella storia è giunta a generare drammi storici che hanno nomi precisi: guerra, miseria, autoritarismo, ingiustizia. L’integrazione è (ed è stata) la risposta a tutto ciò.
Essa non è il risultato di scelte tecnocratiche, ma è la risposta ai demoni che hanno accompagnato la nostra vicenda collettiva. Con la nascita e poi lo sviluppo dell’Ue, quei demoni sono stati messi (per ora) sotto controllo. In modo pacifico, è stata abolita la guerra, è stato costruito il più grande mercato unico al mondo, sono state create solide democrazie liberali, è stato costituzionalizzato il principio che le società aperte costituiscono la condizione per creare società giuste. Attraverso l’integrazione europea è stata ricomposta la frattura ideologica della guerra fredda, dando vita ad un sistema di interdipendenze tra Paesi europei che ha accentuato la necessità della loro reciproca e leale collaborazione. L’interdipendenza ha dimostrato di essere la risposta anche alle sfide di oggi e del futuro. Cosa potrebbe fare un singolo Paese di fronte all’aggressività imperiale della Russia o alla ferocia impersonale della pandemia?
Oggi, la magnitudine dei problemi che i Paesi debbono affrontare è di gran lunga superiore alle loro capacità (in termini di poteri, competenze, risorse, personale). Come singolo Paese, nessuno potrebbe avere le risorse per affrontare le sfide militari delle grandi potenze autocratiche (come la Cina, non solo la Russia), o la competizione economica e tecnologica di grandi potenze democratiche (come gli Stati Uniti).

La rinascita del demone nazionalista

Eppure, il 24 febbraio 2022, con l’invasione ingiustificata dell’Ucraina da parte della Russia, la guerra nazionalista è ritornata nel nostro continente. Pensavamo che l’epoca del nazionalismo fosse finita con l’Olocausto e la carneficina della Seconda Guerra Mondiale, ma ci siamo sbagliati. Il nazionalismo è una brace che è rimasta accesa sotto la cenere. Dopo tutto, gli Stati nazionali costituiscono una riserva di simboli e protezioni, cui rivolgersi quando si è in cerca di protezione. Se non viene addomesticato da una cultura costituzionale e democratica, il nazionalismo produce inevitabilmente tensioni tra Stati, e tra i cittadini di questi ultimi. Ma anche là dove esso ha un carattere democratico, il nazionalismo produce atteggiamenti divisivi, antagonistici, spesso aggressivi. L’idea di essere diversi può facilmente trasformarsi nell’idea di essere superiori. Una superiorità che spesso si trasforma nel suo contrario. Basta vedere la decisione dei britannici di lasciare l’Ue nel 2016 in nome di una recuperata sovranità nazionale, decisione che ha reso quel Paese più povero ed isolato.
L’Ue nasce propriamente per addomesticare i sentimenti nazionalisti, per pacificarne gli effetti esterni ed interni. Inevitabilmente, ciò ha finito per sfidare istituzioni, culture e interessi che si erano formati intorno alla realtà e al mito dello stato nazionale “sovrano”.
Tuttavia, con le diseguaglianze sociali accentuate dalle crisi multiple dello scorso decennio, il mito nazionalista è stato riabilitato come l’alternativa all’integrazione sovranazionale. Così, il nazionalismo, che sembrava sepolto nelle macerie della Seconda Guerra Mondiale, è risorto in molti Paesi europei. È andato al governo nei Paesi (dell’Europa dell’est) entrati recentemente nell’Ue, ma ha conquistato anche le leve di comando di importanti Paesi occidentali, come l’Italia o la Svezia.
Oltre che nel Regno Unito, il nazionalismo ha fatto sentire la sua voce prepotente anche negli Stati Uniti, con la presidenza di Donald Trump del quadriennio 2017-2020. Certamente, la rinascita del nazionalismo ha incontrato resistenze sulla sua strada. Donald Trump non ha ricomposto il suo Paese, ma lo ha reso ancora più polarizzato. Alla fine, nonostante il tentativo del 6 gennaio 2021 di realizzare un colpo di stato, ha dovuto lasciare la Casa Bianca ed è oggi sottoposto a diverse indagini giudiziarie e congressuali. I Paesi dell’Europa dell’Est hanno dovuto prendere atto che senza l’aiuto dell’Ue sarebbero facile preda della Russia, anche se le loro pulsioni illiberali continuano a condizionare il loro regime interno. Brexit non ha diviso l’Ue, bensì ha diviso il Paese che l’ha promosso. Anzi, l’esperienza britannica si è rovesciata nel suo opposto.
Visti i costi del recesso, gli altri nazionalismi europei hanno dovuto reinventarsi come sovranismi. Si è trattato di una reinvenzione confusa, in quanto rifiutano il carattere sovranazionale dell’Ue, come se quest’ultima fosse una mera associazione di governi nazionali.

Il sovranismo e l’interdipendenza

Se l’interdipendenza è la condizione strutturale dei Paesi europei, la forma (il regime istituzionale e di politica pubblica) da essa assunta è tuttavia il risultato di processi politici, cioè dei negoziati tra gli Stati europei così come dei compromessi tra i leader nazionali e sovranazionali. Sul piano teorico, l’errore delle posizioni sovraniste è quello di pensare che sia possibile regredire dalla condizione di interdipendenza (tra Paesi) a quella di indipendenza (di ogni singolo Paese), trasformando l’Ue in una sorta di organizzazione internazionale. Sul piano pratico, l’errore delle posizioni sovraniste è quello di sottovalutare le implicazioni drammatiche che avrebbe una simile regressione, se si realizzasse.
Basti pensare alle implicazioni sul mercato unico europeo, il più vasto e integrato del mondo. Quest’ultimo rappresenta il frutto più maturo dell’interdipendenza sovranazionale, a sua volta irrobustita dall’adozione dell’euro (da parte della maggioranza, 20 degli attuali 27 stati membri dell’Ue). Quel mercato unico, tuttavia, non è caduto dal cielo della cooperazione internazionale, ma è stato reso possibile dalla formazione di un sistema sovranazionale di regole. Regole approvate dai governi nazionali (attraverso il Consiglio dei ministri nazionali) e dal Parlamento europeo (che rappresenta i cittadini europei dal 1979), sulla base di proposte avanzate dalla Commissione europea (che detiene il monopolio dell’iniziativa legislativa), sotto la supervisione costituzionale della Corte europea di giustizia (CEG). Se è così, come è possibile rifiutare la sovranazionalità e, contemporaneamente, difendere i suoi effetti economicamente benefici?
Il sovranismo è irrimediabilmente semplicistico. Mette in discussione l’interdipendenza, mentre dovrebbe discutere la forma (il cànone) da essa assunta in Europa. Quella forma, infatti, non è stata mai decisa attraverso un chiaro dibattito pubblico. Anche perché, ogni volta che si è cercato di farlo, i nazionalisti, mobilitando idiosincrasie domestiche, lo hanno impedito. Il risultato è quindi un’organizzazione ibrida, basata su istituzioni che rappresentano sia i governi nazionali che i cittadini europei, le cui relazioni sono tuttavia incerte, cambiando nel tempo e con le politiche.
Se l’equilibrio tra quelle istituzioni è preservato nelle decisioni relative alle politiche di regolazione del mercato unico, lo stesso non può dirsi relativamente alle politiche che sono entrate nell’agenda europea con la fine della guerra fredda e l’approvazione del Trattato di Maastricht del 1992. Si tratta, nel caso di queste ultime, delle politiche della statualità nazionale, come la politica di difesa e di sicurezza, la politica estera, la politica dell’ordine interno e dell’asilo, la politica del bilancio e fiscale.
In queste politiche, divenute sempre più cruciali con l’approfondimento del processo di integrazione, i governi nazionali (attraverso il Consiglio europeo dei loro leader, primi ministri o presidenti) hanno rivendicato una preminenza decisionale, che non hanno potuto spesso onorare (per via delle divisioni al loro interno).  È qui, comunque, che il sovranismo può radicarsi, indebolendo dall’interno il processo di integrazione.

Il cànone europeo

Se per cànone intendiamo un “sistema di regole riguardanti le proporzioni architettoniche e scultorie rapportate a un elemento preso come unità di misura”, e se la nostra unità di misura è la democrazia, allora occorre “riformare la forma” dell’interdipendenza europea per prevenire che il tarlo sovranista faccia il suo lavoro corrosivo. Occorre rivedere i Trattati, per bilanciare il potere dei governi nazionali con quello dei cittadini europei, abolendo i poteri di veto che proteggono i nemici interni dell’Ue. Il sovranismo va preso seriamente in considerazione. Attraverso una architettura europea più bilanciata, è possibile irrobustire l’Ue, liberandola dai condizionamenti interni e mettendola nelle condizioni di affrontare le sfide drammatiche della guerra e della trasformazione economica.
Tuttavia, anche la più equilibrata architettura istituzionale non reggerà a lungo se non sarà sostenuta da una cultura pubblica matura e critica. Una cultura che si ricordi dei demoni del nazionalismo ma abbia anche la leggerezza per pensare al modo di superarli.

Sergio Fabbrini
(Professore di Scienze politiche e Relazioni internazionali. Direttore del Dipart. di Scienze Politiche della Luiss “Guido Carli” di Roma)

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