Lo Studio Peregalli Sartori nasce a Milano all’inizio degli anni ’90 con l’incontro professionale di Laura Sartori Rimini, architetto, e Roberto Peregalli, filosofo, nello studio dell’architetto Renzo Mongiardino, di cui successivamente raccolgono l’eredità spirituale.
Ha progettato nuovi edifici e ha effettuato importanti restauri, principalmente in Europa, e nel resto del mondo, trovandosi di volta in volta ad affrontare diversi problemi, non solo progettuali ma anche culturali, di approccio, con normative differenti etc.
Indipendentemente dalle dimensioni del progetto, quanto ne risulta è un’identità temporale, uno scenario senza tempo, volto a produrre un’armonia nella vita quotidiana. E’ un modo diverso di riuscire a creare delle favole, non attraverso la scrittura ma attraverso la progettazione intesa a creare delle emozioni, sensazioni relative alla vita quotidiana , sia essa privata o pubblica.
I lavori si sviluppano nel più profondo rispetto per i luoghi, per i materiali e per i dettagli, basandosi su due principi, il rigore e l’immaginazione.
Roberto Peregalli è nato a Milano nel 1961 e si è laureato in Storia della filosofia antica presso l’Università Statale di Milano. La sua preparazione lo rende speciale, atipico fra i progettisti e la sua abilità di scrittura si manifesta nei suoi lavori.
Laura Sartori Rimini è nata nel 1964 e si è laureata a Firenze in Architettura con indirizzo di Restauro architettonico . Lo studio del rapporto fra la costruzione esistente e la possibilità di un restauro estetico nel rispetto dell’antico, ma con libertà di ispirazione, è stato fin dall’inizio il nucleo del suo pensiero.
Il loro approccio così diverso è stato probabilmente il segreto di un lungo sodalizio durato più di trent’anni e che è ben rappresentato nelle loro due pubblicazioni: L’invenzione del Passato e Il Grand Tour.
Due libri non di favole ma sicuramente di sogni realizzati che permettono anche ad altri di cercare dentro di sé come o cosa vorrebbero la casa diventasse per loro .
La loro concezione dell’architettura è classica. Un elemento importante è, a differenza di ciò che di massima accade oggi, la vicinanza tra architettura e decorazione, due categorie che in passato erano strettamente collegate. La “nostalgia” è da intendere nel loro lavoro come un sentimento che fonda e crea e non come una congerie di ricordi pedissequi di un passato ingabbiato nelle maglie della storia.
“La nostra concezione dei luoghi, che siano da costruire dal nulla o esistano e vadano modificati, è strettamente legata alla memoria e al tempo. Crediamo che tutto sia già sotto i nostri occhi e quindi la possibilità sia quella di ripensare i luoghi e di reinventarli. Il ricordo sognato di un disegno uscito dalle pagine di un vecchio libro, che riaffiora con la sua eco dentro di noi. Forse nella sua imperfezione. La memoria del passato non deve essere intesa come la volontà di riproporne una copia storicistica, ma va letta come un’invenzione che, partendo dal ricordo di forme classiche, si proietta nel futuro. In un mondo in cui il riconoscimento è determinato dalla firma che l’artista lascia sull’opera, il nostro lavoro vuole invece mimetizzarsi con l’ambiente circostante, proprio cercando di eludere la firma. Il suo massimo riconoscimento è l’affermazione: “Sembra che sia sempre stato lì”.”
E’ un lavoro, fortemente caratterizzato, che spazia dall’architettura alle scenografie teatrali, agli allestimenti di mostre e musei, può essere letto come una “rêverie” sul passato.
“Il luogo influenza il risultato, rendendo il progetto indissolubilmente legato alle sue atmosfere, alle sue sfumature, alla sua conformazione vitale. Oggi si tende spesso a sottovalutare l’importanza del luogo in cui si progetta, e si privilegia la continuità e l’uniformità di uno stile (il proprio) che costituisce il nocciolo dell’opera “firmata”. Crediamo invece che le caratteristiche specifiche di un luogo in cui si sta progettando qualcosa (la sua situazione geografica, ma anche la storia della sua architettura, del suo passato) siano elementi fondamentali del progetto stesso. La tradizione decorativa che un luogo contiene, le stratificazioni di cui è composto, costituiscono il primo passo verso la raccolta di tutti i materiali necessari per iniziare a meditare intorno a un progetto, qualsiasi esso sia.
Il luogo è un elemento fondamentale del progetto. Ci vuole tempo per capire un luogo, per sentirlo, per rispettarlo. Avere curiosità per le diversità di culture, farle proprie. Solo nell’interpretazione può avvenire quel processo che porta alla vera invenzione.”
Una volta stabilito e capito questo legame fortemente caratterizzante, si passa all’interpretazione. Non si tratta di copiare il passato, si tratta di rubare, anche per caso, tutti quei dettagli, quelle atmosfere, che possono costituire il sostrato del posto che andiamo creando. Sarà la fantasia, che naturalmente si insinua in questo percorso, a fornire un significato e un tratto speciale a questa nuova creazione.
Progettare, costruire significa in qualche modo sognare e anche trasmettere, narrare. Un po’ come le favole che attraverso un racconto, una narrazione, trasmettono alle volte delle morali, altre volte no, ma sicuramente cercano di trasmettere un insegnamento. In questo caso il fatto di unire ricordi, sensazioni, fantasie per creare atmosfere che ci facciano stare bene. L’unione di storia, tradizione, ricerca, buon senso vanno rimescolati in un fragile equilibrio che alla fine deve funzionare.
La sensibilità, la sfumatura, la patina sono parole desuete in un mondo che viaggia sempre più freneticamente, e non conosce limiti di spazio e di tempo grazie a una tecnologia sempre più esasperata.
Il gesto, l’errore, la differenza, l’idea, l’emozione che un luogo o una stanza possono dare, ci ricorda che siamo esseri umani intrisi di dolore e di felicità. L’importanza che diamo al dettaglio è in questo senso un elemento fondamentale. La qualità dell’opera, oltre che nel suo valore sintetico, ha senso solo nell’accuratezza del dettaglio, e l’immaginazione deve sempre essergli asservita. Perciò il nostro lavoro non può essere interpretato soltanto come un lavoro di progettazione, ma ha fortemente bisogno di essere letto nella sua realizzazione. Ogni parte deve essere legata e armonica: interno con esterno, spazio, volume e pelle di rivestimento.
Per poter realizzare tutto ciò è fondamentale la relazione che negli anni si costruisce con coloro che permettono di realizzare praticamente tutto ciò : gli artigiani. Senza di loro i nostri pensieri rimarrebbero nelle nostre teste. Figure professionali importantissime cariche di tradizioni centenarie che purtroppo negli ultimi anni sono andate scomparendo di fronte ad una evoluzione incessante dell’industria e della tecnologia.
La coppia di architetti ha legato a sé più di cinquanta ditte di artigiani, che lavorano per loro in tutto il mondo. Vi sono falegnami, stuccatori, marmisti, pittori, tappezzieri, parchettisti e restauratori, una squadra di persone in grado di svolgere qualsiasi lavoro e di qualsiasi entità.
Spesso vengono impiegati dei materiali di recupero, che uniti a quelli creati dai loro artigiani creano un insieme armonico.
Elemento fondamentale è la “patina” che sanno infondere ai loro ambienti, unica nel suo genere, che toglie a qualsiasi manufatto sia esso antico o nuovo la violenza del presente e lo immerge in un’aura senza tempo, dove i ricordi si mescolano alle invenzioni in un’armonia sorprendente.
Per lo Studio Peregalli Sartori ,una casa inoltre deve essere per prima cosa vivibile, come una favola deve essere comprensibile. Non è solo, o tanto, un oggetto da mostrare, una scultura, ma è il luogo in cui accade la nostra vita anche nelle sue parti più private. Nulla deve essere di troppo. La decorazione, la dimensione dello spazio, la quantità di luce devono costituire, come dicevano gli antichi, una “giusta misura”. Il lusso non può e non deve essere un metro di giudizio o di pensiero.
Un luogo povero e semplice può essere più bello di uno ricco e sovraffollato.
Ma pensare che la semplificazione dell’alfabeto architettonico corrisponda a una reale semplicità è una chimera. La semplificazione porta purtroppo all’omologazione, all’uniformizzazione e alla perdita del senso che un luogo dovrebbe invece conservare. È la necessità imposta dal luogo che va sempre ascoltata.