La parola “favola” evoca immediatamente un mondo denso di simboli, morale e fantasia, capace di trasportare chi ascolta in una dimensione altra, dove il possibile si fonde con l’impossibile.
Fin dall’antichità, la favola ha svolto un ruolo fondamentale nella formazione culturale e morale dell’individuo, un mezzo privilegiato attraverso cui gli esseri umani hanno interpretato il mondo e dato senso alla realtà circostante. Secondo Platone, la favola possedeva un valore pedagogico imprescindibile, utile per impartire insegnamenti morali attraverso storie allegoriche, mentre Aristotele vedeva nelle favole una forma d’arte narrativa capace di rappresentare universalmente le verità dell’animo umano.
Ma perché raccontiamo favole? È una domanda che si pone Yuval Noah Harari nel suo “Sapiens”, quando afferma che ciò che distingue l’essere umano da ogni altra specie vivente è proprio la sua capacità di inventare storie e di credere collettivamente a narrazioni immaginarie. Questo straordinario potere della narrazione consente alle comunità umane di organizzarsi, di creare coesione e di costruire intere società attorno a miti, leggende e favole.
Le favole, quindi, non sono solo racconti infantili o brevi storie con morale esplicita; rappresentano, piuttosto, una delle forme più raffinate ed elevate attraverso cui l’uomo ha sempre cercato di decodificare il mondo, esplorando gli aspetti più nascosti e contraddittori della propria esistenza. Ed è proprio qui che la favola incontra la fotografia, in particolare quella dello Still Life, aprendo un’infinità di possibilità narrative.
Come fotografo, il mio linguaggio espressivo si fonda sulla capacità di trasformare la realtà in un racconto visivo. Ogni composizione è una narrazione, un racconto breve in cui oggetti apparentemente ordinari diventano protagonisti di storie straordinarie. È una forma di scrittura visuale in cui luci, ombre, texture e colori assumono il ruolo che tradizionalmente spetta alle parole.
Creare una favola visiva significa inventare un mondo coerente che rispetti regole interne precise, proprio come avviene nelle favole letterarie. Ogni elemento dello scatto deve essere scelto con cura, ogni luce e ogni ombra devono trovare il loro posto all’interno della composizione per raccontare una storia unitaria. Si tratta di un processo creativo e metodico, in cui immaginare una narrazione diventa cruciale non solo per il risultato finale, ma anche per verificare la coerenza interna dell’immagine. Per raccontare una storia con una fotografia, infatti, è necessario verificare sempre la validità espressiva delle scelte compositive e degli elementi scelti: nulla deve essere casuale, tutto deve fluire armonicamente verso un unico obiettivo narrativo.
Nella fotografia, come nelle favole, è necessario un punto di vista forte e definito, che stabilisca chiaramente cosa mostrare e cosa lasciare fuori, proprio come fa il narratore con i dettagli della sua storia.
Ogni elemento fotografato assume un significato simbolico preciso, ogni ombra può alludere a qualcosa di nascosto o non detto, ogni colore può evocare una specifica emozione. Questo livello di attenzione ai dettagli trasforma il fotografo in una sorta di narratore silenzioso, capace di suggerire con delicatezza ed eleganza interi mondi interiori, relazioni complesse tra personaggi immaginari, e intere dinamiche emotive e psicologiche attraverso semplici oggetti posizionati con cura davanti all’obiettivo. È questa la forza espressiva della fotografia: un singolo frame può condensare un intero racconto, un’intera favola, suscitando emozioni e riflessioni che vanno ben oltre il primo impatto visivo, trascinando lo spettatore in un percorso che oscilla tra realtà e fantasia.
L’immagine che accompagna questo scritto rappresenta una natura morta dalla forte ispirazione caravaggesca, con un’illuminazione drammatica e un uso delle ombre che rimandano immediatamente all’opera del Maestro. Il tavolo di legno antico, le melagrane mature, il coltello, la stoffa blu e le zucche sono elementi che suggeriscono una scena quotidiana eppure densa di significati nascosti, quasi come se fossero stati colti in un momento di sospensione temporale.
Proviamo quindi ad immaginare brevemente una storia, una favola intima legata a quest’immagine: dopo una lunga giornata trascorsa nella bottega, sotto lo sguardo severo e attento del maestro, il giovane artigiano fa ritorno nella penombra della sua piccola stanza.
Qui, la luce del tramonto filtra appena, rivelando oggetti semplici disposti con cura o forse con la casualità che solo la stanchezza sa dare. Sul tavolo, la melagrana tagliata evoca l’attesa di un piacere meritato dopo la fatica, il frutto simbolo di fertilità e rinascita, metafora della speranza che accompagna la sua fatica quotidiana. Il coltello rappresenta la concretezza della vita vissuta con le mani, strumento del fare e del creare. La stoffa blu, morbida e scivolata sul tavolo, è il sogno, quel desiderio segreto di libertà e bellezza che resiste alla durezza della realtà quotidiana. Il giovane, mentre la guarda distrattamente, immagina di viaggiare oltre le mura della città, verso mari lontani, in terre mai viste ma sognate ogni notte. Le zucche, strane e sinuose, raccontano la fantasia, i mondi immaginari in cui la mente dell’artigiano vaga liberamente, cercando rifugio dalla monotonia della bottega. Sono creature silenziose e misteriose che sembrano prendere vita, sussurrando storie dimenticate, favole che riecheggiano nella penombra. Il giovane si siede, prende la melagrana tra le mani segnate dal lavoro e osserva i semi rosso vivo che brillano nella poca luce rimasta. Ogni seme è una piccola promessa, una piccola speranza che lui coltiva nel cuore, una narrazione che ancora non ha trovato parole per essere raccontata.
In questa sospensione, tra la realtà dura della vita e la dolcezza del sogno, l’artigiano comprende che la sua storia è ancora tutta da scrivere, e che ogni elemento della sua vita è come un oggetto fotografato: carico di simboli, segreti e possibilità infinite.
La favola, dunque, non è solo un racconto morale o fantastico; è un linguaggio universale attraverso cui possiamo esplorare la nostra interiorità, interpretare la realtà e comunicare con gli altri. Utilizzare la fotografia per creare favole visive significa attingere a un potere antico e profondo, offrendo una nuova dimensione narrativa dove l’immagine diventa parola, e la parola immagine.