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Trump: Sogni, Favole o Incubi?

C’è un presidente degli Stati Uniti che, nel perimetro dell’economia, promette prosperità, chiede tassi di interesse più bassi, vuole la deregolamentazione finanziaria. Sono sogni o favole? E’ già accaduto negli Anni Venti  del secolo scorso che il presidente di quel Paese facesse le stesse promesse. E fu la peggior recessione finanziaria che il mondo ricordi, nata dal combinato disposto di lassismo monetario e deregolamentazione finanziaria. Dunque né sogni, e neanche favole, ma c’è il rischio di  incubi.
Il punto di partenza non può che essere un salto indietro di cento anni. Era il novembre del 1928, ed il presidente americano Herbert Hoover dichiarava: “Oggi in America  siamo vicini al momento in cui la povertà sarà sconfitta per sempre, come non mai  è successo prima in alcun Paese al mondo. Non ci sarà più bisogni di ospizi. (… ) Se avremo la possibilità di andare avanti con le nostre politiche ( …) presto, con l’aiuto di Dio, vedremo il giorno in cui la povertà sarà bandita per sempre da questa Nazione”. Evidentemente dichiarare che la povertà sta per sparire è uno slogan che nei tempi moderni ha una sua ricorrenza, ma, in quel momento ed in quel Paese, lo strumento, almeno dal punto di vista del disegno della politica monetaria e finanziaria, aveva una sua specificità.
Dal punto di vista del regime monetario, nel 1928  il sistema aveva una àncora, che doveva assicurare la fiducia che il dollaro avrebbe mantenuto il suo valore: il regime auro. Nel 2025, l’ancora non è un bene fisico come l’oro, ma il fatto che esista una istituzione – la banca centrale, cioè la FED – che deve garantire sia la stabilità monetaria, che la piena occupazione.
Al tempo la FED – creata da  appena un quindicennio, nel dicembre del 1913 – garantiva con la disponibilità  di ampie riserve auree la credibilità della capacità americana di rispettare il cambio tra il dollaro e l’oro. Oggi  la FED, proprio per provare a  recuperare la sua credibilità di saper difendere il potere d’acquisto del dollaro –  intaccata dal fatto di aver intaccato per due anni l’analisi sulla natura dell’inflazione, da lei giudicata erroneamente temporale – con una politica monetaria fortemente restrittiva, rispetto al lassismo monetario dei due decenni precedenti.
Per quel che riguarda nello specifico la condotta di politica monetaria, negli anni Venti la FED implementò una politica monetaria fortemente espansiva, riducendo i tassi, e favorendo una crescita del credito.
Oggi la FED ha iniziato, prima delle elezioni dello scorso novembre, una riduzione della restrizione monetaria, che però avrà un andamento che è tutto da scoprire, visto che l’andamento dei prezzi dei prezzi al consumo nei prossimi mesi è tutt’altro che scontato. Ma il nuovo presidente, Donald Trump, l’abbassamento dei tassi lo pretende.
Non è una novità. Durante il primo mandato il presidente Trump ha già attuato una strategia di pressione politica volta ad influenzare sistematicamente l’azione della FED in una direzione espansiva, utilizzando in modo originale i media a sua disposizione, e di fatto condizionando tutta la comunicazione esistente. In questo secondo mandato il presidente Trump appare ancor più vicino ai media in grado di influenzare il consenso politico e sociale.
Inoltre negli Anni Venti il lassismo monetario andò a braccetto con la deregolamentazione finanziaria. La motivazione è che il credito, ed in generale la finanza, dovesse favorire lo sviluppo di settori dell’economia reale giudicati vitali per la crescita complessiva dell’economia americana: le costruzioni, i beni durevoli, i settori ad alta – per l’epoca tecnologia.
In questo 2025, il presidente Trump ha fatto in generale della deregolamentazione, ed in particolare di quella finanziaria, un cavallo di battaglia della sua campagna elettorale.
L’enfasi sulla deregolamentazione è diventata di riflesso una campagna di legittimazione istituzionale per il settore delle cripto attività finanziaria, con effetti, politici e personali, assolutamente inediti.
Anche qui: sogni, favole e incubi? Più semplicemente: parlano i fatti. Febbraio si è chiuso con una settimana nera per le crypto attività: prezzi in caduta, perché l’effetto Trump non basta, se ci sono furti, truffe  e crisi di fiducia.
I setti giorni neri delle crypto attività sono iniziati venerdì scorso, quando è stata resa pubblica la notizia che da  Bybit, un mercato virtuale di scambio sono sparite attività virtuali corrispondenti ad un miliardo e mezzo di dollari. La sparizione è ritenuta il più grosso furto finora avvenuto nel settore.
E’ la stessa società derubata che ha annunziato il fatto, aggiungendo che il presunto furto è stato seguito da una emorragia di fonti, poi tamponata, e che la società stava mettendo in piedi un prestito ponte per dare la certezza a chiunque avesse voluto di uscire dall’investimento virtuale di recuperare ogni spicciolo, si immagina quelli veri.
Poi il silenzio. Fino alla prossima truffa. Cambierà la società coinvolta, l’entità della sparizione, vera o presunta, le sue modalità di attuazione, ma la sostanza sarà la stessa: cioè che è virtuale sparisce più facilmente.
I prezzi virtuali continueranno a scendere? Certo che no.
Se in generale il prezzo di una attività finanziaria dipende anche dalle aspettative sul prezzo futuro di chi quella attività detiene o vuol detenere, nel caso delle attività virtuali dipende esclusivamente da quelle aspettative. Nessuna meraviglia se l’ottovolante riprenderà: è il destino delle attività meramente speculative.
E la politica e le autorità di controllo cosa devono fare? La bussola è una sola: tutelare esclusivamente la trasparenza e la veridicità delle offerte di chi produce e distribuisce attività virtuali, ma solo se  e per quanto è possibile. Prendiamo il nostro Paese: oramai quotidiana e continua è l’attività della Consob a tutela degli investitori, ma non si può pretendere che qualunque avido possa usare l’usbergo della buona fede per chiedere protezione pubblica.
Di riflesso, occorre evitare anche solo di chiamare le attività virtuali con il termine di “monete”. Le monete sono solo quelle pubbliche, oppure quelle emesse  da operatori privati – le banche – che hanno una funzione macroeconomica: creare credito. Solo i settori che hanno una funzione di rilevanza macroeconomica – oltre le banche, le assicurazioni ed i fondi pensione – sono meritevoli di una tutela pubblica ai fini della stabilità.
Di riflesso, ogni contatto di tali settori con il comparto delle cripto attività deve evitare qualunque forma di rischio per i cittadini che di quei settori si fidano.
Negli Stati Uniti la nuova presidenza ha un approccio diverso. Sotto lo slogan della deregolamentazione, stanno emergendo proposte normative che in realtà usano le regole come cavallo di Troia per legittimare il settore delle attività virtuali, in moda da dargli patenti che non merita. Guadagnare con gli ottovolante è legittimo, purché chi ci sale lo sappia, e che gli  eventuali mal di pancia individuali non diventino un problema di salute pubblica.
Quindi l’equazione del presidente Trump è che la crescita economica degli Stati Uniti sarà anche il risultato di due addendi fondamentali: lassismo monetario e deregolamentazione finanziaria. L’equazione è la stessa che caratterizzò il periodo del presidente Hoover.
E’ un’equazione che sottostima il rischio di una crisi finanziaria, che poi innesta una recessione economica.  Nel 1928 quella sottostima innescò la Grande Depressione. Nel 2025 la campana dovrebbe suonare in tempo. A patto che la si voglia ascoltare. Altrimenti, avremo un sogno, basato su una favola, che produce un incubo.

Donato Masciandaro
(Prof.re Ordinario di Economia Politica, Università Bocconi-Milano)

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