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uaderni de La Scaletta

La memoria è più di un sussurro della polvere…

Mediterraneum

La scuola favolosa (tra Piccinato, Rodari e Tonino Sacco)

Sono gli anni Settanta. Anche se raramente, il Maestro si deve assentare per pochi attimi dall’aula chiamato dal Direttore didattico, Domenico Sciandivasci, che lo coinvolge nella direzione della Scuola elementare del quartiere “Serra Venerdì” a Matera, in Piazzetta Francesco Saverio Nitti. Si chiama Serra perché è una cresta ampia e alta rispetto sia all’area murgiana a est sia alla Val Basento a ovest e alla Fossa bradanica a nord-nordest.
È un quartiere con una storia tutta sua, contemporaneamente nuovo, addirittura innovativo, ma anche antichissimo. Io arrivo lì che il quartiere esiste da meno di vent’anni. Antichissimo perché lì vivono molte delle famiglie gradualmente sfollate dai Sassi con la Legge “Colombo” (619/1952), e con loro hanno portato le radici profonde della Città dall’imbuto della Gravina su in collina. Moderno e innovativo perché popolare e semplice, ma costruito come quartiere ideale sull’esempio delle città giardino anglosassoni, progettato da un nome famoso per l’architettura e l’urbanistica del Secondo Dopoguerra, Luigi Piccinato.
Il quartiere è ben disteso sulla serra, con palazzine di diversa forma e composizione interna, per incontrare bisogni e percorsi molto differenziati e che si immagina, e si spera!, si evolveranno rapidamente nel volgere di una generazione.
Ci sono edifici a più piani con appartamenti di varia metratura a seconda dei nuclei familiari. Ci sono le case basse a schiera con affaccio direttamente all’aperto. Ci sono i balconi, novità assoluta. È quasi tutto incluso in una comoda circonvallazione, che nel contempo definisce la forma (ricorda quella originaria dell’EUR) e collega in tutte le direzioni. Tra edifico ed edificio ci sono spazi comuni, aiuole, angoli per orti urbani, piazzette; e poi c’è la piazza centrale con i servizi, il tabacchi, le Poste, il dopolavoro, l’alimentari che negli anni Settanta prepara per i ragazzini panini all’olio con mortadella da 50 o da 100 Lire.
La parrocchia ha un campo di calcio a undici, miracolosamente pianeggiante.  Il forno è qualche metro al di fuori della circonvallazione, e lo stesso è per il mercato coperto di frutta a verdura, defilato anche per favorire scarico e carico e metterlo in comune con le aree limitrofe della città.
Se il quartiere è frutto di scelte coraggiose e lungimiranti, i suoi gioielli sono le due scuole, anche loro nel segno di Piccinato. Io arrivo lì per quelle. A guardarle ancora oggi, dopo quasi settanta anni di onorato funzionamento e manutenzione non sempre impeccabile, continuano a stupire. Ho frequentato l’una e l’altra. Le aule sono ampie e regolari con grandi finestre, quelle del piano terra con una intera parete finestrata e aperta verso il prato nella scuola elementare e verso il terrazzo su terrapieno nell’asilo. Fanno parte di un unico campus, separate da una lunga scala porticata che dalla scuola elementare dà accesso alla palestra, e dal terrazzo dell’asilo lascia spaziare lo sguardo (lasciava, prima di un inopportuno tamponamento) verso il prato della scuola elementare. Gli ingressi sono ampi e adattabili a più funzioni. L’ingresso delle elementari è un porticato dove, finita scuola, i ragazzini si rincorrono su tavole con sotto rudimentali cuscinetti a sfera. No, non siamo nei Paesi scandinavi da sempre famosi per qualità e originalità delle strutture scolastiche. Per realizzare due scuole di un quartiere popolare che accoglie le famiglie di contadini, braccianti e piccoli commercianti sino a quel momento nella conca dei Sassi, la neonata Repubblica si affida alle migliori teste in circolazione. Va ricordato, senza retorica, ma va ricordato.
Quando il Maestro si assenta per andare dal Preside, a sorvegliare la classe arriva il bidello Antonio Sacco, da tutti chiamato Tonino. Più anziano del Maestro di un po’ di anni, mano offesa senza dita sempre coperta da un guanto a forma di sacchetto, magro, alto, con baffetto, uno dei tanti residenti a Serra Venerdì che lavorano nelle due scuole, come mi ha aiutato a ricordare Francesco Bimbo. Ah, è il Francesco Bimbo che in quella metà dei Settanta fa un corso di danza e sa imitare perfettamente le movenze della gallina, e che un giorno, assentatosi da scuola per qualche ragione, bussa alla porta finestra dell’aula arrivando direttamente dal giardino. «Maestro, che mi date i compiti per domani?». «Dai, corri a casa a metterti il grembiule e vieni qui ché c’è ancora tempo». E poco dopo ribussa ingrembiulato e infiocchettato ed entra direttamente dalla porta finestra. Spesso mi chiedo come mai sia tra i ricordi più forti che mi restino di quegli anni.
Tonino, per intrattenerci in attesa Maestro, si siede al suo posto e racconta. Io ricordo molto bene quella della botte con dentro le prugne, e Francesco quella del corvo cracra. Chissà che ai ragazzini cresciuti di quella classe non ne vengano in mente altre. Un gruppo di bambini prende di mira la cantina di un contadino dove c’è una botte piena di prugne. Entrano di soppiatto. Non riescono ad aprire il coperchio della botte, ma possono usare un foro a mezza altezza che ha un tappo di sughero che si rimuove facilmente. Il primo infila la mano, prende quante più prugne può, prova a ritirare la mano che non passa nel foro, e allora deve rinunciare a qualche prugna per ridurre le dimensioni del pugno. La stessa cosa accade al secondo.
Poi arriva il terzo, testone, riempie quanto più può la mano e comincia a forzare il foro per fare passare il pugno chiuso senza rinunciare a nessuna prugna. Prova e riprova, non bastano gli incitamenti degli amici, si sveglia il cane che avvisa il contadino che scende in cantina col mattarello e fa pelo e contropelo a tuti e tre. Ad aiutarmi a  ricordare questa favola, che è anche una parabola a metà strada tar Collodi e  Comencini, c’è la mano offesa che Tonino usa per mimare il pugno dei ragazzini mentre, con le dita sopravvissute dell’altra, disegna una specie di foro.
Si svolge in campagna anche quella del corvo. C’è un contadino che deve fare lavori nei campi prima che arrivi la brutta stagione. Più che alla temperature in discesa, ai venti, alle nuvole, alle mosche che non ci sono più, alle foglie ingiallite, etc., gli piace credere a un corvo. Gli chiede: «Quando devo iniziare i lavori?». E Il corvo ogni volta la stessa risposta: «Crà!, Crà!». In dialetto materano, come in molti altri dialetti dell’area murgiana sino a Bari, domani si dice crà e dopodomani pjscrà. L’etimo è evidente, dal Latino cras e post cras.
Il contadino non vuole sentirsi dire altro per rimandare di giorno in giorno e nel frattempo restare in panciolle sull’amaca sotto il patio, sinché una mattina si sveglia mentre diluvia a dirotto e il suo campo è completamente allagato. Cerca inutilmente il corvo per chiedergli ragione dello sfascio, ma non ce n’è più traccia. Volato chissà dove in luoghi più asciutti e tranquilli. Una favola parabola anche questa.
Sono racconti così sintetici ma chiarissimi, quasi recitati perché accompagnati da gestualità spontanea e con citazioni di animali antropomorfi, che quando, dopo molti anni, mi imbatto nell’ ” Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι …” di Esopo e nei tanti “Haec scripta est fabula propter …” di Fedro mi sembrano entrambi subito familiari.
Allo stesso modo, appare a tutti in perfetta continuità la visita in quel di Serra Venerdì di Gianni Rodari, autore qualche anno prima delle settanta brevi “Favole al telefono” raccontate una al giorno dal varesotto ragionier Bianchi, sempre fuori casa per lavoro, alla sua figliola per farla addormentare. Non so dire se quella mattina, nella palestra appositamente tirata a lucido, c’è anche Tonino Sacco a specchiarsi nello scrittore per ragazzi più famoso del momento ma che fa grande uso dei suoi stessi mezzi per attirare l’attenzione e convincere.
Rodari legge alcune delle sue favole a una palestra gremita di bambini accovacciati per terra attorno a lui. Alberto D’Angelo ricorda in particolare la novella su un barone di nome Lamberto, e in effetti cerando in rete si trova di Rodari “C’era due volte il Barone Lamberto ovvero I misteri dell’isola di San Giulio”, con la prima edizione fresca del 1978.
Quella di Gianni Rodari è una delle tantissime iniziative formative e di svago creativo della scuola elementare di Serra Venerdì durante gli anni Settanta. Ne ricordo tante altre. Si va una giornata intera in visita ai cantieri della Ferrosud, la metalmeccanica avviata carica di promesse nel 1963 con l’intervento straordinario per il Mezzogiorno della EFIM. Finiamo tutti in un breve servizio sulla locale emittente televisiva, Nico Cirillo intervistato speciale. Si partecipa ai giochi atletici di categoria nel vicino Campo scuola (realizzato anni dopo dal CONI, faceva parte dell’iniziale progetto di Piccinato), e la classe ha il suo campione in Leonardo Lapolla che abita proprio lì, di fronte all’ingresso dell’asilo e a pochi metri dall’elementare. Sono due i cugini Leonardo Lapolla e per distinguerli il più corpulento diventa Leonardone.
Poi c’è la visita al Museo archeologico “Ridola”, con guida d’eccezione la appassionante Direttrice Pina Canosa amica di Zia Pina Sacco. Poi la visita al Consorzio ortofrutticolo della Piana metapontina e alle piantagioni di tabacco e candonga, e la lezione di scienza nel laboratorio del Liceo scientifico assieme alla Prof.ssa Manfredi Cappiello, e l’incontro con il calciatore Federico Righi, e la giornata con Mario Cresci su fotografia e macchine fotografiche.
Cresci si presenta in classe con una macchina fotografica antica, tutta in legno su treppiedi e quasi antropomorfa, che soprannominiamo “Giacomina girasole”. Chissà se Rodari e Cresci si siano mai incontrati, perché “La macchina fotografica Giacomina girasole” sarebbe stato un bellissimo titolo per la settantunesima favola al telefono e, a pensarci bene, anche di un artigianale racconto di Tonino Sacco.
Il disegno di “Giacomina” di Alberto D’Angelo si guadagna gli onori della Gazzetta del Mezzogiorno. Qualcuno sostiene che il Prof. Navone abbia trovato conferma proprio allora della sua passione per la camera oscura su cui già si cimentava. In chiusura di giornata Cresci ci fa foto di classe, all’aperto vicino al portico di ingresso, ed è un bianco e nero parlante che ha tutto il sapore di stagione. È grazie a questa foto, scattata a metà del primo anno delle elementari, che tra noi compare Leonardone Lapolla che di lì a qualche giorno saluta tutti e si trasferisce in Germania con la famiglia per il lavoro del padre, ed è infatti assente dalla fotografia ufficiale scattata a fine anno dall’indimenticabile Campagna, lo zio di Marica compagna in quella classe.
Alla base di quella energia di fare ci riconosco col senno di poi tante cose. C’è l’onda lunga di quelli che gli economisti chiamano Roaring Sixties, i ruggenti anni Sessanta. Ci credono i grandi e a seguire ci credono anche i più piccoli. C’è il gruppo dei genitori che collabora con la scuola, con quelli che hanno più possibilità e capacità di azione che si mettono al servizio. E poi c’è il Maestro. Ci passa la prima conoscenza in un clima di pace e di allegria in quel contesto complesso, che mette in comunicazione parti molto diverse della città e si potrebbe dire anche epoche diverse. A Giuseppe Andrisani, con grafia tutta inclinata e le “f” e le “p” lunghissime, predice che sarà un medico.
A Dino Santorsola, che almeno una volta al mese porta in classe una invenzione con lampadine, circuiti, dinamo, ventole, etc. e il Maestro gli cede per un po’ di minuti la cattedra, dice che sarà ingegnere. A Simona Mancuso, che parla a filo di voce, riesce a farla alzare di un tono: «Ma come la chiami la mamma quando ti deve buttare pane e cioccolata dalla finestra?». Di massima concretezza e antiretorico, quando si arriva a studiare il Risorgimento ci fa conoscere l’inno e lo cantiamo tutti in piedi. Succede una sola volta, e forse proprio per questo lascia una traccia così bella e lo ricordo così bene, in una scuola che, proprio in quegli anni lì, non porta nessun tipo di bandiera. E poi tante altre cose favolose che prima o poi verranno fuori… Si chiamava Pietro Moliterni.

Nicola C. Salerno
(Statistico economista in ANAC)
Matera Scuola elementare di Serra Venerdì anno scolastico 19761977, classe prima, sezione A, maestro Pietro Moliterni.
Matera, Scuola elementare di Serra Venerdì anno scolastico 19761977, classe prima, sezione A, maestro Pietro Moliterni.

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