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uaderni de La Scaletta

È nel cuore dell’istante che si trova l’improbabile

Stazioni di Partenza

Le farfalle non mentono

Trecento anni fa, uno dei miei padroni si perse dopo il secondo desiderio. Il mio compito termina solo dopo che tutti e tre i desideri vengono espressi, quindi rimasi bloccato in una sorta di limbo. Dovevo trovarlo, sperando fosse ancora vivo, così da poter esaudire il terzo desiderio e tornare a dormire nella mia lampada.
Nel corso della mia ricerca, vissi esperienze “umane” incredibili. Iniziai a osservare meglio gli uomini: erano tutti pazzi e mortali. Come ci si sente a morire? Mi chiesi. Se morissi, importerebbe a qualcuno? Ma io non posso morire, quindi nessun problema. Protetto dalla mia lampada, non soffro, non desidero, esaudisco solo i desideri altrui. Ma attraverso loro, posso conoscere la vita.
Durante i miei vagabondaggi incontrai Couscous, un cane giallo e peloso, solo come me. Parlavamo, camminavamo, mangiavamo e dormivamo insieme. Diventammo amici.
Un giorno, un passante ci disse di aver visto un uomo dirigersi verso la montagna. Pensai fosse lui, il “tizio dell’ultimo desiderio”. Accelerammo il passo, ma scalare una montagna era troppo per Couscous. Poteva morire di freddo, cadere, morire di fame. Troppo rischioso. Decisi di lasciarlo nella tenda e andare da solo, senza dirglielo. Quella notte mi chiese se fossi mai stato innamorato, “È tardi, Couscous. Dormiamo”, risposi. Maledetto Couscous e le sue domande stupide. Non chiusi occhio. Cos’era quell’amore che gli umani inseguivano? E perché mi importava ora?
All’alba, dopo aver condiviso qualche biscotto, gli spiegai che sarei andato solo. “Certo che sì, amico mio. Io sono qui solo per farti considerare ciò che non considereresti mai”.
“Di cosa parli, Couscous?” “Sei un genio, sei potente, immortale. Ma hai una scelta”.
“Una scelta?” “Sì. Non sei il primo genio che incontro. In Tibet ci sono i yeti, geni intrappolati nella neve, liberati dai viandanti. Anche loro devono esaudire tre desideri, ma uno di essi può liberarli.
È raro, ma c’è un altro modo: l’amore”. “Amore, scelta, via d’uscita… Couscous, mi confondi”. “No, hai paura”, rispose quel bastardo. “Hai paura di diventare mortale. Vuoi essere libero, ma sei disposto a morire? Solo chi accetta la morte può davvero vivere”.
Non mi ero mai sentito così impotente. “Voglio essere libero”, dissi, “ma non so cos’è l’amore. Ho visto persone distrutte per amore”. “E io ne ho viste migliorare, ridere, giocare. Dipende da cosa scegli di vedere e come ti permetti di essere. Ma devi essere te stesso, non qualcun altro”. “Io sono me stesso!”. “Davvero? Non mi hai mai detto il tuo nome, eppure mi chiami amico. Non hai idea di chi sei, ahah!”. “Non ridere di me! Dimmi come si riconosce l’amore!”. “Lo devi scoprire. Gli umani dicono che è come sentire farfalle nello stomaco. Segui le farfalle”. “Siamo in montagna, Couscous!
Le farfalle non volano sopra i 3.500 metri!”. “Non ti servono farfalle. Ti serve una Farfalla.
O la Farfalla! Abbi pazienza, tieni gli occhi e il cuore aperti”.”Non so nemmeno se ho un cuore”, dissi scioccamente. “Lo saprai, lo saprai”.
Partii all’alba. Mentre scalavo, le parole di Couscous riecheggiavano: libertà, amore, morte. Non sapevo nulla. E se avessi trovato il mio padrone, sarei tornato prigioniero nella lampada. Chi sapeva quando mi avrebbero liberato di nuovo?
Dalla cima della montagna vidi valli e nuvole, un paesaggio celestiale. Finalmente scorsi il mio padrone accampato presso il fiume. Non sapevo se essere felice per la fine del mio viaggio o triste per il ritorno nella lampada. Chi ero io? Già mi mancava Couscous. E se fossi innamorato di un cane? Proprio allora, sul bordo della vetta bianca, una piccola farfalla nera sbatté le ali. “Ciao, eccomi qui”. Una farfalla a 6.500 metri? “Cosa ci fai qui?”. “Couscous mi ha mandato. Ti aspettavo da ieri, ha fatto freddo”. “Conosci Couscous?”.
“Lui è un yeti, genio. Non l’hai capito? È un yeti libero, diventato mortale trasformandosi in un cane. Sa più di te sulla vita”. “Ma mi ha parlato anche della morte”. “Non c’è vita senza morte, né morte senza vita. Ciò che conta è il tempo in mezzo. Ma sì, alla fine la tua vita finirà, se sarai liberato. Meglio essere immortale e non sapere, o vivere e sapere?”.
“Cosa devo fare? Ho paura. Non voglio morire”. Le nuvole calavano nella valle, rischiavo di perdere il mio padrone. “Hai chiesto un segno all’universo, lo hai ricevuto e ancora dubiti.
È lì che nasce la sofferenza. Hai sofferto tutta la tua vita. Devi arrenderti. Guarda me.
Vivo solo 29 giorni. Ho volato per incontrarti e tra un minuto morirò. Ho vissuto per te.
Non sto morendo per te, ho vissuto per te, per aiutarti a trovare le risposte”.
“Non hai paura?”. “No. E so che farai la cosa giusta. Ti ho appena dato un esempio di amore incondizionato: dare tutto, senza aspettarsi nulla in cambio”.
Un soffio di vento portò via il corpo della farfalla. Scesi al fiume, raggiunsi la tenda del mio padrone, che tremava ma era vivo. “Salvami, genio! Riportami a casa, è il mio ultimo desiderio!”. “Sia così”, dissi, e con un semplice schiocco di dita, l’uomo tornò a casa.
E io… tornai nella mia lampada.

 

Post scriptum:

Questa favola prende ispirazione da un evento realmente accaduto. Nel maggio 2022, mentre scalava il Mera Peak (6.476 m) per dedicare la vetta alla libertà, Leonardo ha vissuto un incontro straordinario. La sua salita era un omaggio alla giornalista Shereen Abu Akleh, uccisa circa dieci giorni prima. Un gesto simbolico, un tributo alla verità e alla giustizia.
Dopo ore di scalata nell’aria rarefatta, giunto finalmente in cima, Leonardo ha trascorso circa un’ora ammirando l’infinità del mondo sotto di sé. Ed è stato allora, tra le nevi eterne e il vento sottile, che ha visto l’impossibile: una piccola farfalla nera, che muoveva le ali come a sfidare l’altitudine e il gelo.
Quel momento ha racchiuso un significato profondo, come se la natura stessa volesse dare un segno. La farfalla, fragile e resistente, era lì, in un luogo dove non avrebbe dovuto essere. Forse un messaggio, un simbolo di libertà, di memoria, o semplicemente la prova che la vita trova sempre un modo per esistere, anche dove sembra impossibile.

Leonardo Antonio Avezzano
(Fotografo)
1
La Valanga nell’aria”, scattata a 6500 metri nella Valle del Silenzio, Everest. Lo scatto e’ epico dato che la valanga e’ ancora nell’aria, e cio’ che lascia dietro di se non e’ distruzione ma opere d’arte fatte di ghiaccio e neve. - Leonardo Antonio Avezzano - AljuneidiMediaProd all rights reserved.
2
CousCous, il mio fedele amico, osserva la valle che i siamo lasciati dietro, prima di stabilizzarci al campo alto (5500 metri), dove lo lascero’ mentre che vado in vetta, cosi che lui sia riparato e non rischi la vita.
3
La foto della farfalla scattata a 6500 metri, in vetta al Mera Peak. E’ una delle mie foto preferite, dato che sigilla una sorta di legame tra sogno e realtà’.
4
“Vertigo”, Ama Dablam, Himalaya, Nepal 2019. panorama scattato in bilico nel vuoto di circa 1200 metri. Tenuto legato da una corda, mi sporgo fino ad avere una visione “vertiginosa”, dopo di che ho scattato diverse foto, unite assieme, mantenendo quanto piu’ possibile l’effetto visivo della vertigine, impossibile da descrivere ma forse possibile mostrarlo con una foto.
5
Leonardo Avezzano, sulla vetta del Mera Peak (6500 metri) in Himalaya. Dietro di lui le cime dell’Everest, Lhotse, Nuptse, Ama Dablam e Pumori.

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