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uaderni de La Scaletta

La verità è spesso più vicina al silenzio che al rumore

Le stanze dell'anima

La filosofia e il suo canto

E’ cosa nota che l’Accademia Platonica, nonostante le riserve del filosofo che vedeva l’arte come imitazione dell’imitazione e quindi di ben due gradi lontana dalla verità, era consacrata al dio Apollo e alle Muse poiché il dialogo filosofico è sempre un canto, una musica emessa dalla mente. D’altra parte tutto risuona, perfino l’universo come diceva Pitagora e come confermato dalle scienze moderne.
Andando a indagare l’etimo, mio fedele alleato, la parola “musa” rimanda a una radice indo-germanica che ha a che vedere con il pensare e quindi con la mente, con il desiderio dell’intelletto di aspirare o “andare a caccia” (come avrebbe detto Giordano Bruno) della verità. Dunque la separazione tra pensiero ragionato e arte come immediata via d’accesso al vero non è del tutto legittima; la storia degli uomini ha semplicemente costruito delle varianti sul tema per cui le Nove Muse, figlie di Zeus e Mnemosine, protettrici della danza, della poesia epica, della storia e del canto, sono, oserei dire, declinazioni di quel pensiero occidentale che da oltre duemila anni scrive il cammino di una parte dell’umanità.
“Cantami o Diva…” è l’incipit dell’Iliade, il poema che di fatto è un’ enciclopedia del perfetto uomo greco, Omero si rivolge a Calliope affinché possa ispirarlo a raccontare la storia di una cultura che è stata madre delle altre.
La filosofia è dunque un’ispirazione e un’aspirazione e possiamo ammettere, anche i puristi possono farlo, che il rapporto tra pensiero e Muse è un rapporto duraturo e fecondo.
Il pensiero filosofico è anche ascolto di una “musica altissima” e questo ascolto rimane decisivo per rendere possibile la “sinfonia dell’anima“, come scrive Franco Toscani in un articolo pubblicato nel 2017 sull’Officina dei Saperi, che “non va interpretata in un senso astratto o metafisico, ma nella direzione della salvaguardia del mondo, dell’umanità, delle cose, dell’essere, della verità”.
Nel XIX e poi nel XX secolo, filosofi come Nietzsche o Heidegger non fanno che confermare le corrispondenze e le contaminazioni profondissime tra arte e pensiero; nel “Saggio sull’origine dell’opera d’arte” è famosa l’analisi che Martin Heidegger fa a partire da un quadro di Van Gogh dove sono rappresentate un paio di scarpe da contadina e mirabile, seppur contestato da altri filosofi, è il passaggio che il filosofo tedesco descrive quando fa scivolare l’oggetto dalla categoria delle cose-mezzo (la scarpa in sé) al canto di una vita solitaria e faticosa, affanno per la sicurezza del pane, rispetto e timore della terra.
La filosofia di Nietzsche parte da una musica, parte dalla tragedia greca (che è tragos odé, canto del capro Dioniso) e si sviluppa come una serie di “poemi” in cui l’espressione artistica è il paradigma a cui si lega ogni teoria, da Zarathustra, profeta dell’oltre-uomo, al tempo ciclico, dall’uomo folle che annuncia la morte di Dio all’uomo Nietzsche come figlio e seguace di Dioniso. La vita di questo filosofo è costellata di Muse, dalla musica di Wagner ai versi di Paul Ree, dall’amicizia con Overbeck all’amore per Lou Salomè che chiese in moglie per realizzare quel sogno segreto di sposarla come fece Dioniso con Arianna e che molto ispirò il pensiero di Nietzsche come una Musa che assiste il suo poeta.
Se nella storia della filosofia contemporanea c’è una musa vera questa è Lou Salomè, con i suoi occhi intensi e i suoi abiti austeri, scuri, abbottonati fino al collo, con la sua fierezza e la sua libertà, fu faro per Nietzsche e per Rilke, incontrò Freud e comprese la sua scienza nuova, la psicanalisi, come pochi del suo tempo seppero fare; fu donna libera e cedette al matrimonio, platonico per altro, solo perché il suo futuro marito si piantò un coltello in corpo di fronte al rifiuto di una donna che aveva la statura di una dea.
Dobbiamo a lei lo stile di Nietzsche, soprattutto nello Zarathustra e nella Gaia Scienza. L’aforisma 125 in cui il filosofo annuncia la morte di Dio per mezzo dell’uomo folle che in pieno giorno con una lanterna accesa si recò al mercato, è figlio del profondo rapporto intellettuale tra i due, quando il filosofo scrive :“Vengo troppo presto, non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni…” noi stiamo leggendo, a mio avviso, un componimento a quattro mani.
-Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione […]. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!”. Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: “Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina”.
Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: “Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?” graverebbe sul tuo agire come il pensiero più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun’altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?,
così scrive nell’aforisma 341 e non è forse parola poetica? Non è forse un tributo a Lou e alla sua grandezza intellettuale?
Se poi volessimo veramente arrivare alla commozione, allora andremmo a rileggere la poesia di Rilke e lì troveremmo Salomè in ogni afflato, troveremmo la sua ispirazione, la sua forza, la vera parola che crea mondi, troveremmo la musa, l’amica, l’amata, la maestra.

“E come posa lieve
sulle spalle Amore e Addio, come se fosse
d’altro che da noi? Rammentate le mani,
come posano senza peso, e sì che nei torsi c’è vigore.

Questi maestri della misura sapevano: noi arriviamo fin
qui,
questo è nostro, di toccarci così, più forte
ci gravano gli Dei. Ma è cosa degli Dei”

(Seconda Elegia Duinese)

Lou e Rainer sono cosa degli dei, sono cosa sacra, separata dall’ordinario, lontani dal mondo eppure immersi nel mondo.

“Per te sono come un preludiare
e sorrido lievemente quando sbagli;
so che dalle solitudini
tu muovi incontro ad una felicità che è grande
e troverai le mie mani.
Con te io attraverso il quotidiano
e i miei consigli ti insegnano a capire
i valori profondi dei comuni destini
e questo vuol dire: in ogni piccola rosa
veder nascere la grande primavera”

(Canti della nostalgia, V – Rilke a Lou, 31 maggio 1897)

Il “preludiare” di Rilke è termine sublime, il poeta potrà splendere solo con la sua Musa, egli è una fiammella che può scoppiare in luce pienissima e accecante solo con l’intervento di una donna che non è solo donna ma che è sostanza divina, leggera e fiabesca.
Lou Salomè è una favola, un racconto che rimanda a contenuti altri e alti, uno sguardo pieno sull’umanità, la decima Musa, colei che poteva essere molte persone in una persona sola. Come amava ripetere “io vorrei essere stata sotto la pelle di ogni essere vivente”; ebbene, io credo che lei sia stata davvero sotto la pelle di molti esseri viventi, di questa substantia abbiamo traccia palpabile, possiamo leggerne le grandi parole che attraversano il tempo e che cantano l’umanità.

Vanessa Iannone
(insegnante)
Rilke
Rainer Maria Rilke (1875-1926) ritratto da Helmut Westhoff, 1901 (Photo by Apic/Getty Images)

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