Nelle poche immagini che avevo visto dei Peul Bororo, o Wadabee/Wodaabe, una sub-etnia del popolo Fulani, li avevo trovati buffi, spettrali, inavvicinabili. Con i loro corpi allampanati, i visi dipinti di ocra o rosso, gli occhi strabuzzati e i sorrisi forzati, mi sembravano maschere incomprensibili. Ma l’incontro ha spazzato via il pregiudizio e aperto l’orizzonte a un nuovo canone di bellezza estetica e sociale.
Eravamo arrivati esausti a Iférouane per il Festival dell’Aïr dopo un lungo giorno di sobbalzi in jeep, al centro di una densa nuvola di polvere attraverso cui vedevamo a sprazzi diverse forme di deserto.
Quello dell’Aïr è uno dei magnifici festival in cui i popoli nomadi Tuareg e Fulani si incontrano, scambiano le loro mercanzie ed esprimono la loro ricchezza culturale con concerti, danze, corse di cammelli, concorsi di bellezza. Un tempo a questi festival accorrevano frotte di turisti occidentali. Da quando il Niger è diventato uno snodo fondamentale del flusso delle migrazioni – da Agadez parte l’attraversamento del Sahara, la prima grossa barriera per l’Europa, il primo grande cimitero – i turisti si sono fatti molto rari.
Ne ho contati al massimo una ventina a Iférouane in mezzo a una gran folla dei popoli del deserto. Ma io non appartenevo allo sparuto popolo dei turisti. Ero stata incaricata di documentare il Programma Cultura e Sviluppo dell’ONG CISP (Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli) per la salvaguardia del patrimonio e dell’eredità culturale nigerini e per la creazione d’impiego per la gioventù locale. E il Festival dell’Aïr era appunto sostenuto da quel bel Programma.
Dopo aver passato la notte a casa del sindaco dove eravamo alloggiati, mi svegliai in un mondo brulicante di nomadi che si incontravano, scambiavano, esibivano. I più appariscenti erano senz’altro i Tuareg, gli uomini blu, blu la poca pelle che mostrano, solo le mani e il contorno degli occhi, blu i grandi turbanti, alti anche più di due metri, maestosi sui loro cammelli.
Mi avevano fatta sognare nel film “Il tè nel deserto” di Bernardo Bertolucci – dove peraltro la casa in cui l’affascinante nomade porta la protagonista è la Maison du Boulanger della città vecchia di Agadez, che il CISP stava restaurando per lo stesso Programma.
Ma l’incontro più sorprendente, inaspettato ed emozionante è stato con i Peul Bororo. Gli incontri più significativi per me vanno sempre al di là dell’esotismo, perché nonostante la differenza toccano corde intime del mio cuore, creando profonda affinità e diventando così in qualche modo familiari.
I primi che ho visto erano accucciati fuori dalle loro tende, intenti a truccarsi con uno specchietto in mano, eccitati come delle adolescenti che si preparano per una festa da lungo aspettata.
Poi li ho ammirati nel loro splendore al concorso di bellezza, in cui si esibivano con grazia, ansiosi di piacere alle donne che avrebbero scelto i più belli per una notte o per la vita.
La loro bellezza è consapevole in quanto legata a un canone preciso fatto di altezza (accentuata dal trucco e da copricapi appuntiti o turbanti con piume di struzzo), ascetica magrezza, nobiltà di nasi aquilini, purezza del bianco di occhi e denti (le smorfie e gli strabuzzamenti servono a mostrarla), e tanta grazia.
Ma mi fa pensare a quella bellezza inconsapevole che tanto amava Pier Paolo Pasolini, perché del tutto priva di arroganza e di edonistica vanità.
I Wadabee sono fra gli ultimi nomadi del pianeta.
Attraversano il Niger, la Nigeria, il Ciad, la Repubblica Centrafricana e la Repubblica Democratica del Congo con le loro mandrie di bovini.
Vivono dei loro animali, che usano come moneta di scambio, e sacrificano per mangiare solo in occasioni di festa. A parte le bestie, possiedono il minimo indispensabile: pochi vestiti, vasellame, calebasse, stuoie per dormire in capanne di rami.
I beni materiali e la comodità non rientrano nei loro interessi. Come la gerarchia sociale: non ci sono né classi, né capi, ma solo anziani che danno consigli.
Anche se formalmente hanno aderito all’Islam, mantengono una grande libertà sessuale prima e dopo il matrimonio, pure le donne. E sono le donne a scegliere i compagni per la loro bellezza. I valori del loro mondo meravigliosamente rivoluzionario sono per primo la bellezza, poi il coraggio, la dignità, la libertà.
Un mondo che rispetta un canone di rivoluzionaria bellezza estetica e sociale che non immaginavo esistesse e che mi ha fatto innamorare.