Con il modulo tenuto da Mario Rodriguez il 2 e il 3 dicembre scorso sulla comunicazione politica si è concluso il ciclo di seminari Democrazia e Futuro organizzato dal Circolo culturale La Scaletta di Matera, fra il 2022 e il 2023. Un anno e mezzo di attività, a partire dal primo modulo tenuto sulla democrazia da Gianfranco Pasquino il 9 e 10 luglio 2022.
Nove moduli, ciascuno dei quali organizzato su due incontri, che hanno avuto per protagonisti alcuni fra i maggiori esperti di scienza politica, filosofia, sociologia, economia, e comunicazione a livello nazionale e internazionale. Studiosi, intellettuali del nostro tempo, impegnati in molteplici ruoli: editorialisti di grandi quotidiani di informazione, esperti di riferimento di importanti organizzazioni internazionali.
Nove personaggi della cultura italiana, che ci hanno accompagnato in un lungo percorso di riflessione su temi di frontiera al centro della riflessione scientifica e della discussione pubblica: nodi che accompagnano il nostro complicato procedere nei tornanti di una società in continua trasformazione e che incarnano le sfide da affrontare in questo scorcio di nuovo millennio.
Abbiamo pensato di offrire questo ciclo di incontri a Matera, alla sua classe dirigente, così come ai suoi giovani, nella convinzione che ragionare insieme in questo particolare momento storico, in questo passaggio d’epoca, su come il mondo sta cambiando avrebbe anche potuto creare un ideale ponte fra generazioni diverse. Questo obiettivo, di per sé molto ambizioso, forse non è si realizzato secondo quelle che erano le nostre aspettative. Far dialogare generazioni diverse, giovani e adulti, avrebbe richiesto maggiori opportunità di interazione fra i destinatari del nostro progetto. Tuttavia, nel corso del tempo, siamo comunque riusciti a coinvolgere questi due pubblici, ognuno con le sue motivazioni e i suoi interessi, che pur non interagendo direttamente fra loro, hanno fatto esperienza comune di tutti i temi che sono stati affrontati, traendovi gli stimoli che più ritenevano opportuni dai rispettivi punti di vista.
Ciò ha trovato una sua rappresentazione simbolica anche nell’alternarsi dei luoghi che, volta per volta, sono state le sedi dei nostri incontri: la Camera di Commercio di Matera e l’Istituto di Istruzione Superiore Pentasuglia. E possiamo con orgoglio sottolineare che un modello come il nostro ha sicuramente rappresentato un’occasione unica e singolare per un ciclo di seminari di formazione politica, che solitamente è organizzato da un partito, che abitualmente si rivolge soprattutto ai giovani e che quasi mai è capace di rappresentarsi al di fuori di una linea politica ben definita.
Fin dall’inizio del nostro percorso, abbiamo tenuto a precisare che non si trattava di un corso di formazione politica tradizionale. Poiché a differenza di un corso di quel tipo, il nostro ciclo di incontri non si proponeva di condividere e sedimentare una certa prospettiva politica e culturale.
Per questo motivo, più che richiamarci all’idea di formazione politica, abbiamo sempre preferito parlare di formazione sulle “questioni pubbliche”, intendendo con questa espressione indicare temi di rilevanza collettiva, salienti per tutta la comunità, la cui importanza prescinde dalle specifiche preferenze di questa o quella parte politica, poiché di fatto discende direttamente dalla natura del tema trattato. In questa cornice, servendoci di interlocutori qualificati anche se con sensibilità culturali anche molto diverse fra loro, abbiamo inteso fornire un primo messaggio fondamentale: la politica, come discussione e decisione su questioni di rilevanza pubblica, deve anzitutto caratterizzarsi per il dialogo. Dialogo fra prospettive diverse, dialogo fra posizioni politiche diverse.
Ed è stato un punto di onore per noi ospitare, nell’ambito dei nostri incontri, politici e amministratori locali del territorio appartenenti a diverse forze politiche. In un tempo in cui va sempre più affermandosi la convinzione che un efficace discorso politico passi attraverso la delegittimazione dell’avversario, abbiamo voluto andare controcorrente, cercando di mostrare che la forza della discussione pubblica e la sua capacità di tradursi in consenso riguarda la qualità delle idee sottoposte al confronto.
La nostra speranza è che questo messaggio sia stato in primo luogo accolto dai giovani, i tanti studenti universitari e delle scuole superiori che hanno partecipato attivamente ai nostri incontri. Sebbene non possiamo negare che fra le nostre aspettative vi fosse anche l’intenzione di arrivare agli adulti. Poiché l’impegno de La Scaletta, nell’ideare e realizzare il ciclo di seminari Democrazia e Futuro, nasceva proprio dalla profonda convinzione che occorresse dare un segnale forte e chiaro in favore di un’idea di discussione pubblica capace di valorizzare dati e informazioni, contenuti e idee, progetti e visioni, per sottrarre il confronto politico a quella sterile contrapposizione ideologica che se, da un lato, rischia di non favorire la ricerca di soluzioni concreti ai problemi, dall’altro, è certamente motivo di disaffezione dei cittadini. Nel tentativo di fare formazione non politica, in senso tradizionale, ma sulle “questioni pubbliche”, speriamo, per quanto ci sia stato possibile, di aver dato un contributo a immaginare la politica e la discussione pubblica in un modo diverso: come il prodotto di un “canone” diverso.
“Canone” è il termine chiave di questo numero dei Quaderni. Per “Canone” si intende una “regola”, una “norma”, un “principio” che modella in maniera esemplare una certa attività umana. Esistono canoni artistici e architettonici, anzitutto; e poi ancora canoni letterari, canoni liturgici, canoni musicali, canoni dei testi sacri religiosi.
Sembra che il primo canone della storia sia stato quello che Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia”, attribuisce a Policleto sostenendo che “sua caratteristica è di aver inventato che le statue insistessero su una sola gamba”. Policleto, nella sua attività di scultore alla ricerca della creazione di un corpo idealmente perfetto, aveva eseguito misurazioni sugli uomini, per definirne in maniera analitica le proporzioni, al fine di poi riprodurle fedelmente nelle sue opere.
E proprio “Canone” fu il titolo che Policleto diede alla sua opera sulle leggi della simmetria della figura umana. E allo stesso modo chiamò anche la sua statua del Doriforo, proprio perché doveva rappresentare l’esemplificazione concreta del suo ideale plastico di scultura. Ma non si limitò a questo, perché ideò una nuova posa per le statue stanti, il cosiddetto “chiasmo”, che consisteva in una disposizione incrociata tra arti inferiori e superiori, in cui parti attive e statiche del corpo umano si combinavano in una sorta di struttura a “S”, in modo da apparire più spontanee ed eleganti.
Tutta l’esperienza degli artisti d’Argo si ispirò a quel canone, che resterà poi praticamente immutato per secoli, rappresentando il principale riferimento sul modo di plasmare le proporzioni fra le diverse parti del corpo umano nell’arte scultorea e pittorica.
Restando fedeli a questa idea del “canone” e richiamandoci alle motivazioni che hanno ispirato il progetto Democrazia e Futuro (si parva licet!), viene spontaneo immaginare che i nostri incontri possano – nel loro piccolo – aver contributo alla rivalutazione di un diverso canone della politica e del discorso pubblico. La politica come discussione e decisione, informata e razionale, aperta al confronto fra prospettive diverse, capace di intendere il pluralismo come valore (e non soltanto come un fastidioso dato di fatto delle società in cui ci accade di vivere), che si occupa di questioni di rilevanza pubblica, cioè problemi che investono la vita di ciascuno e chiunque e che richiedono soluzioni collettive. La nostra idea di questo canone è presto detta. A partire dai due principali fili conduttori di tutti i nostri incontri: Europa e Mezzogiorno. Europa perché, all’inizio del Terzo millennio, non possiamo più dirci italiani senza considerarci europei.
Dalla pandemia per il Covid-19 alla guerra in Ucraina, è sempre più chiaro che le scelte fondamentali che riguardano il nostro come gli altri paesi del Vecchio continente debbano prima di tutto considerarsi nella prospettiva dell’appartenenza comunitaria. L’Unione Europea, con tutti i suoi limiti – che abbiamo anche avuto modo di delineare criticamente in alcuni dei nostri incontri – è e sarà sempre più il nostro scenario di sviluppo. Nel mondo globalizzato, che tale resta anche dopo la pandemia, in uno scenario che sta sempre più assumendo la configurazione di un nuovo bipolarismo, attraverso il confronto a distanza fra Cina e Stati Uniti, il nostro destino non può che delinearsi all’interno di un soggetto in grado di svolgere un ruolo da protagonista.
E l’Unione Europea, con poco meno di 500 milioni di abitanti, è l’unica possibile dimensione rispetto alla quale i paesi del Vecchio continente potranno considerarsi sufficientemente attrezzati per affrontare le sfide globali del futuro. Mezzogiorno perché occorre ripensare il ruolo futuro del Sud, sforzandosi di sottrarlo a quella predestinazione fatta di emarginazione e marginalità che ne ha per troppo tempo contraddistinto la storia.
Le rapide trasformazioni sociali ed economiche che stanno avvenendo in questi anni aprono nuovi scenari e inedite finestre di opportunità per la Basilicata e le altre regioni meridionali. Rivoluzione digitale, cultura e creatività, economia circolare, sostenibilità ambientale e fonti rinnovabili, non solo turismo ed enogastronomia, sono i fronti di investimento dai quali il meridione potrebbe trarre nuove occasioni di sviluppo.
Mezzogiorno vuol dire anzitutto Mediterraneo, e a Sud del nostro paese si trovano quei paesi africani e del Medio oriente che nei prossimi decenni saranno al centro dei processi di sviluppo dell’economia globale. Ragionare sul Sud vuol perciò dire pensare al futuro del nostro paese nella dimensione europea, fra il Vecchio continente e il Continente nero. In anni recenti troppo spesso abbiamo rivolto il nostro sguardo verso l’Africa esclusivamente con la preoccupazione di chi non vuole essere invaso. Raramente abbiamo immaginato quelle aree del mondo come luoghi di investimento e sviluppo, quando viceversa questa è l’unica prospettiva in grado di contrastare concretamente quei flussi migratori che, per le pesanti condizioni di povertà in cui vivono le popolazioni di quei paesi, stanno assumendo ormai dimensioni straordinarie.
Infine, non in ordine di importanza, Mezzogiorno perché questo deve essere il principale motivo dell’impegno civico delle nuove generazioni meridionali. Il Sud potrà risollevarsi solo se i giovani del Sud impegneranno i loro sforzi futuri (magari anche dopo aver compiuto esperienze formative e lavorative altrove) nelle loro terre di origine.
Europa e Mezzogiorno hanno perciò costituito le stelle polari del nostro ciclo di incontri biennali: il minimo comun denominatore dei diversi interventi, il filo rosso che li ha uniti nel corso del tempo, il leitmotiv delle nostre riflessioni. Entro questa cornice, ci siamo poi occupati dei temi che, a nostro avviso, sono al centro dell’agenda di questo scorcio di secolo. La crisi delle democrazie, la fine dell’ordine internazionale liberale, le sfide della modernità all’inizio del Terzo millennio, la cultura europea e le sue difficoltà a ritrovarsi, le filiere economiche e produttive fra centri e periferie del mercato globale, l’identità italiana e l’assenza di un progetto nazione, l’economia alla sfida della sostenibilità e delle fonti energetiche rinnovabili, l’Unione Europea come democrazia composita e come risposta alle sfide dell’interdipendenza globale, la comunicazione come forma di relazione sociale. Abbiamo scelto di affrontare questioni non scontate: gran parte dei nostri incontri avevano come punto di origine una situazione di crisi, ovvero di sfida rispetto allo stato di cose esistenti.
Abbiamo voluto avvalerci della collaborazione di personalità certo importanti, ma anche scomode, poiché abbiamo individuato nell’impertinenza caratteristica del loro modo di affrontare le questioni una chiave di lettura dei problemi dell’oggi che non fosse indulgente nei confronti dei luoghi comuni.
Già in questi primi giorni del nuovo anno, dando una scorsa alle pagine dei quotidiani, troviamo riproporsi situazioni e interrogativi che sono stati al centro delle nostre riflessioni. Ciò che è accaduto in Brasile, con l’attacco alle sedi istituzionali del governo, dopo quanto era già accaduto il 6 gennaio 2021 con l’assalto a Capitol Hill, ci dicono di una democrazia rimessa in discussione come mai lo era stato dal secondo dopoguerra ad oggi.
E con Gianfranco Pasquino ci siamo interrogati sui capisaldi dei regimi liberal-democratici e sulla necessità di manutenzione e rinnovamento di cui hanno bisogno le loro istituzioni rappresentative. Abbiamo assistito allo scoppio di una guerra nel cuore dell’Europa, a causa di un’aggressione indiscriminata della Russia all’Ucraina, e prima ancora che la guerra scoppiasse ci siamo interrogati con Angelo Panebianco sui limiti e le insidie di un ordine internazionale liberale che, inaugurato all’indomani del crollo del Muro di Berlino, si avvia ad essere avvicendato da un nuovo equilibrio bipolare fra Stati Uniti e Cina.
Le nostre società sono attraversate da nuove tensioni, che trovano talvolta espressione in forme di rifiuto della modernità, e con Nicolò Addario abbiamo ricostruito l’evoluzione storica che ha condotto l’Occidente a definire una singolare quanto efficace forma di organizzazione sociale, caratterizzata da quella differenziazione e varietà che ne costituiscono ancora oggi la vera chiave di successo. I modelli culturali del Vecchio continente stanno sperimentando una crisi paragonabile a quella vissuta agli inizi del secolo scorso e con Massimo Cacciari abbiamo indagato criticamente i tratti originali della cultura europea e le ragioni che oggi ne rendono difficile un radicale rinnovamento.
Assistiamo quasi impotenti alle conseguenze economiche e sociali di una crisi energetica provocata dalla guerra fra Russia e Ucraina, che ci rende ancora più consapevoli delle strette interdipendenze che alimentano i flussi dell’economia globale, e con Gianfranco Viesti abbiamo delineato le dinamiche economiche e finanziarie delle filiere produttive transnazionali, mettendo in luce l’esistenza di centri e periferie che ancora oggi rappresentano un limite per uno sviluppo economico e sociale più equo.
Avvertiamo ogni giorni i limiti di un paese che da sempre fatica a intendersi come una comunità nazionale e con Ernesto Galli della Loggia abbiamo messo a fuoco i tratti culturali e identitaria della nostra fragile idea di nazione, indagando quei mali tipicamente italiani che solo la volontà e coscienza civica di una cittadinanza attiva e responsabile potrà riuscire a rimuovere. Registriamo quotidianamente le drammatiche conseguenze del cambiamento climatico e con Valeria Termini abbiamo delineato le caratteristiche di un modello di sviluppo in grado di coniugare esigenze di sostenibilità ambientale a obiettivi di crescita economica, fidando anche nel contributo di cittadini impegnati in prima persona nelle comunità ecologiche a svolgere un ruolo attivo nella produzione dell’energia di cui hanno bisogno.
Assistiamo ogni giorno al proliferare, dalla televisione ai social media, di una comunicazione propagandistica, in cui ciò che conta è affermare assertivamente la propria verità come l’unica possibile, e abbiamo visto con Mario Rodriguez come la comunicazione, in politica come nella vita, sia una attività anzitutto rivolta alla costruzione di una relazione sociale, e come in tale relazione ciò che conta non sia convincere l’altro ma trovare con lui quei, minimi punti di contatto che permettano di continuare a comunicare.
È in questa rapida carrellata dei temi al centro della nostra riflessione che si ritrovano le coordinate di quello che per noi è il “canone” corretto del fare politica. La nostra speranza è che questa idea sia stata per quanto possibile compresa. E siamo in modo particolare grati ai giovani che hanno seguito il nostro ciclo di seminari, anzitutto gli allievi dell’Istituto Pentasuglia e gli studenti della sede di Matera dell’Università degli studi della Basilicata, così come agli insegnanti e professori che ne hanno con passione sollecitato l’interesse, di aver contribuito, con il loro straordinario protagonismo, a rivalutare insieme a noi quella forma della discussione pubblica, – informata, razionale, mai pregiudiziale – che è oggi più che mai necessaria per restituire ai cittadini il vero senso della politica.