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uaderni de La Scaletta

Su quale capo il cielo pone la sua corona di stelle?

Per conquistare il cielo

Elizabeth Lee Miller, o della roccaforte mistica della femminilità

                                                    “Sembravo un angelo di fuori. Mi vedevano così.
Ero un demonio, invece, dentro.
Ho conosciuto tutto il dolore del mondo fin da bambina.”
(Lee Miller)

 

Monaco di Baviera, 30 aprile 1945, Lee Miller e David Sherman, fotografi al seguito delle forze armate americane, entrano in un lussuoso appartamento al numero 16 di Prinzregentenplatz. Dopo essersi aggirati per i diversi ambienti, raggiunta la stanza da bagno, Miller si spoglia, riempie la vasca da bagno con un’ abbondante schiuma, e una volta immersa, chiede al suo compagno di scattarle una foto. Quello scatto (in realtà
più di uno) divenne  storia, icona di una verità che non poteva essere detta altrimenti. Quell’appartamento era di proprietà di Adolf Hitler, quell’appartamento era il suo famoso nido d’aquila.

Lee Miller nacque il 23 aprile 1907 a Poughkeepsie, nello stato di New York. Il padre Theodore era un ingegnere, inventore e uomo d’affari di origine tedesca (con un interesse particolare per la fotografia che trasferì presto alla figlia, introducendola ai segreti della ripresa e del laboratorio), la madre Florence, donna tenace di origine canadese, scozzese ed irlandese. A soli sette anni Lee subì una violenza sessuale (in seguito alla quale contrasse anche la gonorrea) che la segnò profondamente.
Vent’anni dopo in una strada del centro di New York, la Miller venne per caso salvata da un sicuro incidente da Condé Montrose Nast, l’editore delle prestigiose riviste di moda Vanity Fair e Vogue. Nel marzo di quello stesso anno Lee divenne la protagonista della copertina di Vogue. Era nata una stella; per due anni la giovane Miller fu l’indossatrice più ricercata, incarnando la figura di donna glamour, elegante ma rivoluzionariamente moderna.
Posando per Alfred Stieglitz e Edward Steichen padri della fotografia artistica, Lee Miller divenne il volto angelico e desiderato delle campagne di successo di Vogue e Vanity Fair, nonché l’anima indiscussa dei party che Condé Nast organizzava nel suo favoloso appartamento di trenta stanze a Park Avenue. Ma in quegli anni Lee comincia anche a studiare metodi e tecniche dai grandi professionisti dai quali veniva ritratta.
Nel 1928 però, all’apice della carriera , uno scatto di Edward Steichen la coinvolse in uno scandalo. Un suo ritratto a figura intera venne utilizzato per la pubblicità di assorbenti femminili. Per la prima volta l’immagine di una donna veniva associata ad un prodotto così intimo e personale. Le reazioni e le proteste non tardarono a divampare.
Un anno dopo, la Miller lascia l’America e raggiunge l’Europa. Soggiorna a Firenze e Roma, prima di trasferirsi a Parigi, cuore pulsante delle avanguardie artistiche.
Nella capitale francese il destino la pone sulla strada di Emmanuel Radnitzky al secolo
Man Ray, fondatore del dadaismo americano e primo fotografo surrealista. Lee diviene ben presto non solo musa ispiratrice (collaborando attivamente al ricercato percorso creativo dell’artista), ma sua compagna e complice di una straordinaria stagione di arte e passione. Come chi scopre una luce nella notte e ne vuole la fiamma, i tre anni di collaborazione, segnarono profondamente la storia di entrambi.
Tornata a New York nel 1932, Lee Miller apre  uno studio fotografico con il fratello Erik, ricominciando a collaborare con la rivista Vogue, nella doppia veste (è il caso di dire…)
di modella e fotografa. Ai ritratti su commissione e foto commerciali alterna scatti artistici, che le permettono di partecipare a diverse mostre collettive. Nel 1933, Julien Levy, visionario mercante d’arte fondatore dell’omonima galleria newyorkese, organizza l’unica mostra personale a lei dedicata.
Nella grande Mela, durante una delle tante serate mondane a cui era solita partecipare,
Lee conosce Aziz Eloui Bey, un ricco funzionario ministeriale di origini egiziane che sarebbe divenuto il suo primo marito e che seguirà trasferendosi in Egitto. Qui la Miller affascinata dall’ambiente esotico del Cairo e l’arido deserto, realizza foto cariche di sorprendenti  suggestioni. Ma ben presto il suo matrimonio si trasforma in pura noia e  routine e Lee decide di far ritorno nella sua adorata Parigi.
Nella capitale francese ritrovati Man Ray , gli amici di un tempo e nuove e vivificanti conoscenze, una volta ancora durante una festa in costume, incontra un uomo che illuminerà la sua vita, è Roland Penrose, pittore e storico britannico, nonché celebre collezionista d’arte del 900. Insieme si trasferiscono in  Cornovaglia e in quelle che passeranno alla storia come le “vacanze surrealiste”, Lee ritrae in scatti iconici gli amici che presto li raggiungono: Man Ray, Max Ernst, Leonora Carrington, Paul Éluard, André Breton, Jacqueline Lamba e Pablo Picasso.

Ma lei, Lee, sapeva che l’angelo è oscuro, che l’angelo è maculato, e può chinarsi nella foga della iena…

Allo scoppiò della Seconda Guerra Mondiale, Miller ottenne di poter seguire sul campo l’esercito americano come reporter e prima tra le fotografe di guerra. Tra il 1939 ed il 1945, con tenacia e passione implacabili, documenta le drammatiche vicende di un brutale oltre ogni limite, conflitto. E’ al seguito dell’avanzata delle truppe alleate a Saint-Malo, assiste alla liberazione di Parigi, alla battaglia dell’Alsazia, all’incontro fra le armate americane e quelle russe a Torgau, e documenta con crudo verismo, gli orrori dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald.
Con la sua inseparabile Rolleiflex, Lee realizza un reportage per Vogue all’interno del quale una foto la  ritrae accanto ad un misero cumulo di ossa e un piccolo gruppo di deportati tratti in salvo, mentre esclama Believe it !  Ha l’ardire di mostrare con i suoi scatti l’effetto delle bombe al napalm, ma le foto le vengono sequestrate, e viene anche denunciata per essere entrata in zona di combattimento, violando i termini del suo ingaggio.
Eppure la musa iconica e consapevole che aveva incantato la rutilante Parigi Surrealista e Dada, non arretra dinanzi alla cruda essenza dell’ Espressionismo più estremo e cupo, continuando imperterrita  nel suo afflato di verità.
Dopo gli orrori della guerra Lee abbandonò progressivamente la fotografia per ritirarsi a Farley Farm House, proprietà dell’East Sussex acquistata nel 1949 con il marito Roland Penrose, divenuta ben presto un felice luogo di ritrovo per artisti e amici intimi della coppia. Qui la Miller si reinventò superba cuoca gourmet, organizzando cene surrealiste,
e preparando piatti estremamente sperimentali, come il pollo verde o il pesce azzurro, ispirati in parte, pare , alle opere del pittore J. Mirò.

Come un fiore in fiamme…

Lee Miller ebbe una personalità complessa e tormentata. Dotata d’alto ingegno e di vitalità creativa, si spinse spesso oltre ogni limite, pur mantenendosi sempre sulla vetta, nel reame dell’estetica.
Aveva un talento sensibile alla gioia, alla levità dell’intelligenza. Trasformò attraverso i suoi scatti, ogni esperienza in forme d’arte. Giovinezza e sfrontatezza, fede nell istinto e nel metodo, senso di libertà assoluta e tensione verso l’estremo, e a volte perfino il confidare nel caso, avevano reso la sua fotografia unica e irripetibile permettendo agli occhi del mondo di vedere ciò che fino ad un attimo prima avevano spesso a malapena guardato.

Il figlio Antony Penrose, dopo la sua morte (avvenuta il 21 luglio del 1977) decise di raccogliere, studiare, e catalogare la sua straordinaria opera, trasformando Farley farm House in uno splendido museo dove, accanto alla produzione di Lee Miller e di Roland Penrose, sono oggi esposti anche tutti i capolavori della loro collezione privata.

Edoardo Delle Donne
Lee Miller
Lee Miller, modella
War_correspondents-Lee-Miller
Lee Miller, corrispondente di guerra

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