Esistono parole che condensano in sé una miriade di significati e che sanno rivelarci come dei piccoli simboli preziosi, la via più breve alla comprensione, anche di ciò che in apparenza, può sembrare inesprimibile.
Questo è un piccolo glossario di quelle parole.
Nella cupa ebbrezza del tempo: le Muse
“Destatevi nove muse, cantatemi una melodia divina”
Emily Dickinson
Sopravvivere nel ricordo dei posteri era per gli antichi Greci così come per i Romani, l’unica forma di immortalità alla quale un uomo potesse aspirare.
Soltanto la memoria era in grado di ampliare i ristretti confini dell’esistenza tramandando nel tempo, le gesta e le opere dei mortali. Persino gli dei erano consapevoli che, senza ricordo, la loro gloria sarebbe stata incompleta, e dunque vana.
Al termine della creazione del cosmo, Zeus chiese allora agli altri abitanti dell’Olimpo cosa avesse dimenticato, e gli immortali risposero che mancava una divinità destinata a celebrare per sempre la sua magnifica opera, facendo giungere all’orecchio delle future generazioni degli uomini, l’eco di tale impresa.
Fu così, contro l’ascia irreparabile del tempo, che secondo il mito ripreso da Pindaro nel perduto Inno a Zeus, nacquero le Muse, le ancelle degli Dei.
Erano nove e proteggevano le varie forme di poesia e d’arte: Clio (poesia epica), Urania (astronomia e geometria), Melpomene (tragedia), Talia (commedia), Tersicore (poesia corale e danza), Erato (poesia amorosa), Calliope (poesia elegiaca), Euterpe (lirica monodica), Polimnia (danza e canto sacro).