La mia prima volta a Matera. La prima sensazione provata, scendendo per via Muro, è stata quella di essere in un luogo. Un luogo con tratti distintivi evidenti, una personalità forte, una identità solida. Dove il passato è presente. Conta. Il contrario dei non luoghi su cui ha riflettuto magistralmente Marc Augè, definendoli come il tratto distintivo più forte del nostro tempo.
Per il sociologo e antropologo francese i non luoghi sono il contrario dei luoghi antropologici, sono spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Sono quegli spazi costruiti con forme architettoniche che potrebbero essere collocate ovunque nel mondo e dove si svolgono attività che solo la nostra epoca ha generato e fatto vivere.
Primi fra tutti i centri commerciali, ma anche gli aeroporti, le autostrade, gli autogrill e le grandi stazioni di servizio. Luoghi dominati dall’automazione, dall’aria condizionata e da sistemi di illuminazione che creano spazi del tutto artificiali e danno luogo a esperienze del tutto inedite. Sono gli spazi caratteristici della Milano dei decenni più recenti la mia città da più di 50 anni, veri e propri canoni della surmodernità: City life il nuovo centro commerciale sulle aree occupate un tempo dalla “Fiera campionaria” con le sue tre torri: il dritto, il corvo e lo storto. O la piazza Gae Aulenti con la guglia di Unicredit. Esperienze architettoniche che hanno modificato per sempre uno skyline dominato prima dalla Madonnina del Duomo poi dal Pirellone.
Evidenza incontestabile del cambiamento dei valori simbolici del nostro tempo. Veri e propri segni del passaggio d’epoca. Ecco, percorrendo via Muro la sensazione che provavo era quella di camminare in un luogo pieno di passato che non passa, che condiziona ancora il presente e che impone ai suoi abitanti di avere la capacità di trasformare il peso della storia in una leva.
Una opportunità. Facile a dirsi ma difficile a farsi e soprattutto da non far diventare una affermazione retorica perché è chiaro a tutti che fare in modo che l’adattamento indispensabile non sia accondiscendenza passiva ma contributo attivo, voglia di intervenire, non è assolutamente semplice.
Fuori standard. Fuori canone. Fuori regola
La seconda sensazione forte mi ha riportato alla meraviglia, lo stupore che rivivo sempre tra le calli di Venezia o i caruggi della città della mia adolescenza, Genova. Città che oggi non considereremmo lecito costruire, fuori da ogni standard ma la cui conformazione difendiamo (e spero difenderemo) con tutte le nostre forze come un esempio splendido della capacità, tutta umana, di cercare nell’adattamento all’ambiente naturale non solo la sicurezza per la sopravvivenza fisica ma anche il piacevole, il bello: quel superfluo essenziale per dare senso.
Quello che a me appare evidente è il legame tra i Sassi e i valori estetici e spirituali. E qui un canone estetico c’è, indiscutibilmente.
Omologazione. Raffinatezza. Sofisticazione. La vecchia merceria e gli oggetti di design
Camminando poi nelle strade dello “struscio” a me è apparso evidente che Matera e i suoi abitanti siano del tutto omologati al resto d’Italia! Solo una questione di quantità, di estensione ma non di qualità!
Qualche decennio fa non era così. È vero che le mie permanenze significative nel Meridione, che non fossero vere e proprie toccate e fuga di poche ore, si riferiscono agli anni ‘80 se non ai ‘70 del secolo scorso. Ma allora la sensazione della differenza era palpabile: non solo le mercanzie esposte in vetrina e nel modo di esporle, non solo i menù e gli arredi dei bar, ma anche il modo di passeggiare e di relazionarsi agli altri. So che a molti l’omologazione può evocare concetti negativi ma a mio parere la sfida è portare elementi della propria identità “passata” dentro un mondo che globale sta diventando tale con accelerazioni e frenate da decine di secoli.
Farli rifiorire in un habitat diverso, ecco la sfida. E a me è parso che la raffinatezza e la sofisticazione di alcune vetrine, o mi si passi, di alcuni menù di ristoranti e “impiattamenti” di chef abbiano accolto e superato la sfida.
Matera mi è parsa europea non solo italiana, fortemente integrata. E questo credo che ponga ai governanti locali in modo più forte che altrove la necessità di riconoscere che i collegamenti, l’accessibilità e la mobilità siano cruciali per sentirsi e viversi come cittadini europei. A cominciare dalle connessioni internet a banda larga ma soprattutto non con una stazione ferroviaria senza treno!
Terra di confine. A sud dell’Europa. A ovest di Bisanzio
E l’essere messi in condizione di viversi pienamente come cittadini europei significa non dare le spalle al Mediterraneo! Matera non l’ho pensata come sud d’Europa ma come ovest di Bisanzio!
La sua estetica profondamente mediterranea, il colore del tufo che mi ha richiamato Napoli – la città dove sono nato – e i balconi con le ringhiere di ferro battuto così profondamente mediterranee me l’hanno fatta vivere immersa in quel tempo cresciuto attorno al Mare Nostrum, quando il baricentro della storia non era ancora uscito dallo stretto di Gibilterra per stabilirsi nel triangolo Parigi, Londra, Amsterdam come ci ha raccontato Francois Braudel.
Credo che presto il rapporto con i Paesi e le civiltà sulle sponde del Mediterraneo torneranno centrali per il futuro stesso dell’Europa continentale. Forse lo è già. L’attenzione dovrà concentrarsi sulle relazioni con le civiltà, le economie, le abitudini dei Paesi del vicino Oriente e del nord Africa.
Se questo è vero, il cardine, il connettore, diventa essenziale. E questo ruolo potrebbe essere svolto egregiamente dalle città italiane del nostro Sud come Matera. Vere porte, linee di confine.
Un confine inteso non come barriera ma come porta di ingresso, punto di incontro. Luogo attrattivo per chi intende interagire e far crescere le opportunità connesse alla interazione. Per essere alla moda oggi diremmo luogo preposto alla inclusione.
Dal reddito alla autorealizzazione. Un’offerta di lavori che rispondano alle aspettative
Con le ragazze e i ragazzi dell’I.I.S. Pentasuglia parlando di democrazia e di futuro ho provato un’altra sensazione forte che legherò per sempre alla mia presenza a Matera. Una conferma piuttosto che una novità. I ragazzi che sono intervenuti mi sono sembrati aggiornati, informati, curiosi, capaci di esprimersi con proprietà di linguaggio anche sui temi che non sono necessariamente patrimonio della loro attività scolastica. E credo di aver fatto bene a entrare con prudenza nei temi di loro competenza. Il rischio di qualche gaffe sulle nuove tecnologie digitali è sempre in agguato per la mia generazione. Questi ragazzi acquisiranno conoscenze e competenze che difficilmente potranno essere assorbite dall’offerta di lavoro che esiste o presumibilmente potrà esistere nei prossimi anni a Matera e dintorni.
Ecco di nuovo due spinte contrastanti e ineliminabili: quella dal basso di chi vuole accrescere conoscenze e competenze, coloro che sono attratti dalle dinamiche più innovative presenti nella nostra società, che non hanno genitori che possano tramandare una professione o un’attività che ritengono rispondente alle proprie aspettative, o che sono attratti dal nuovo, dal viaggio o che hanno necessità di affermare sé stessi fuori dal loro ambiente di socializzazione.
Dall’altra un sistema economico e sociale che non riesce a proporre attività o ambiti di lavoro corrispondenti a queste necessità e aspettative. Storia vecchia, anzi antica: famiglie che spingono i propri giovani a costruirsi un futuro migliore e un ambiente che non offre queste possibilità.
E così, come spesso è accaduto, se ne vanno i migliori, i più dinamici, i più disposti ad assumere il rischio del viaggio. Restano i garantiti dalle posizioni familiari, orientati per necessità alla conservazione e alla difesa del loro status che spesso diventa privilegio. Di qui l’amarezza e la domanda di difficile risposta. Come offrire opportunità di realizzazione (non parlo volutamente di reddito di sopravvivenza ma di occasioni di realizzazione) a queste ragazze e ragazzi attratti dalle cose più caratteristiche del nostro tempo?
E qui la mia flebile risposta che è soprattutto una ragionevole speranza: riqualificando la politica con nuove energie e idee cariche di speranze ragionevoli. Ragionevoli, mi raccomando, visto il disastro che hanno procurato nel ‘900 le speranze smisurate!