«Strega. Posseduta. Pazza. Secoli di donne bruciate, esorcizzate, curate, solo perché si rifiutavano di recitare la parte della donna giusta, oppure non ne erano capaci.
Non ne ero capace nemmeno io e per questo, anche se non era più tempo di roghi, mi sentivo uguale a quelle donne torturate, mi pareva quasi di provare sulla mia carne le fiamme e gli anatemi. Non sapevo come fare a essere la donna giusta, non mi piacevano le pentole, i cosmetici e le sete, pensavo di essere strana, pazza, diversa, e si può dire che lo fossi davvero.
Perché ero diversa dal personaggio dipinto nel quadro che avrebbe dovuto essere la mia vita: un quadro pieno di bianco. Il bianco delle staccionate, il bianco dei piatti e delle lenzuola, di un filo di perle e di un sorriso perfetto da perfetta moglie e madre.
Ci ho provato, a vivere in quel quadro. Ero giovane, non avevo ancora capito chi ero in realtà, ma conoscevo la parte che avrei dovuto recitare, e mi impegnavo a muovermi e a dire le battute nel modo corretto. Ma nella mia testa continuavano a esserci altri colori, altri desideri.
C’erano pensieri che credevo, e io credevo che tutti quelli intorno a me, andassero curati, ma invece non dovevo guarirli, ma solo esprimerli, e alla fine ho trovato un modo, il mio modo (la poesia) per strappare la tela e uscire dal quadro, il mio modo per dire e capire chi sono: sono una strega, sono una pazza, sono una donna, sono una persona».