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La fortuna del genio musicale tra espressione artistica e slancio imprenditoriale

L’unione tra il mondo dell’economia e l’universo artistico e musicale, se osservata con occhi storici disincantati, apparirebbe inconcepibile. Da un lato, la detenzione ferrea delle leggi del mercato, dall’altro la ricerca intensa di un significato profondo della vita. La figura del musicista e quella dell’imprenditore incarnano due necessità e predisposizioni fondamentali dell’essere umano: astrattezza e concretezza, genio e sregolatezza, spirito e materia.
Eppure, cosa accadrebbe se sfidassimo questa netta distinzione tra i due mondi, ponendo l’attenzione sui musicisti di alto livello e sul loro duplice ruolo che oscilla tra performance musicale e predisposizione imprenditoriale? La riflessione di questo articolo, basato su un elaborato di tesi presentato al Conservatorio Duni di Matera, porta a riflettere su come i musicisti abbiano individuato e intrapreso imprese musicali o business. In che modo, dunque, essi si siano resi manager di se stessi o autentici imprenditori nello svolgimento delle loro attività musicali quotidiane.
Nel contesto della carriera musicale, il concetto di fortuna critica si lega strettamente all’idea di imprenditorialità e gestione razionale delle proprie risorse. Essa denota l’importanza dell’incontro tra talento e opportunità, sottolineando l’importanza di essere pronti a cogliere le circostanze favorevoli offerte dal mercato musicale. Infatti, il successo di un musicista dipende non solo dalla sua maestria artistica, ma anche dalla capacità di utilizzare con sagacia le occasioni offerte dal mercato, attraverso una gestione imprenditoriale adeguata e una visione strategica a lungo termine. Tuttavia, l’approccio imprenditoriale dei musicisti non si limita alla ricerca del profitto, ma abbraccia anche la visione di un significato più profondo nella vita. In tal senso, i musicisti incarnano una figura eroica, la cui forza trainante è guidata dalla passione per risolvere i problemi e migliorare le cose, piuttosto che dal mero guadagno economico. Confrontando l’idea schumpeteriana dell’imprenditore con la concezione romantica dell’artista, emergono una serie di affinità sorprendenti. Entrambi esibiscono creatività nei rispettivi campi, generando nuove idee e pratiche. Entrambi godono di una qualità visionaria, una capacità di vedere oltre ciò che è e di creare nuovi stati, precorrendo i tempi.
Alcune fonti testimoniano che la compravendita di prodotti musicali risale a diversi secoli prima della nostra era. Ad esempio, si racconta che il poeta greco Pindaro avesse inviato ben 470 testi dalla sua città natale, Theben, al tiranno Gerone in Sicilia nel V secolo a.C., accompagnando i suoi versi lirici con performance musicali e di danza, da lui stesso coreografate. Grazie alle sue capacità di mettere in scena spettacoli a tutto tondo, Pindaro ottenne commissioni da parte di potenti mecenati in tutta l’antica Grecia, diventando così uno dei primi esempi di impresari artistici.
Tuttavia, mentre “musicista” e “imprenditore” possono apparire due facce della stessa medaglia, non significa che l’una possa confluire nettamente nell’altra. Mentre tutti i musicisti possono essere imprenditori per necessità, non tutti gli imprenditori sono artisti o musicisti. Con “imprenditori” si intendono quei musicisti che hanno individuato opportunità musicali e professionali, percorrendo strade inesplorate di composizione, di performance o di produzione.
La storia della vita musicale riunisce diversi sforzi imprenditoriali, di successo o meno, che hanno causato un impatto sui gusti stabiliti e sulle istituzioni preesistenti. Non era sufficiente essere un buon esecutore o compositore perché, per raggiungere l’apice della carriera musicale, era necessario individuare mecenati, attrarre un pubblico adeguato, guidare altri musicisti e intraprendere vere e proprie produzioni di opere.
Spesso ciò implicava apprendere tecniche di autopromozione attraverso l’esposizione al pubblico e alla stampa, costruire un vero e proprio network, sviluppare contatti e comportamenti personali idiosincratici, per poi collegare tutto ciò a uno stile musicale distintivo e piacevole. Un musicista doveva intraprendere una serie di ‘imprese’ quali quella di esecutore, di compositore, di arrangiatore e, spesso, di insegnante.
I musicisti hanno enfatizzato se stessi con pratiche di self-promotion e di manipolazione del mercato attraverso network sociali, che sono tutt’oggi essenziali per un tipo di attività imprenditoriale. Ciò è stato reso possibile dall’instaurazione di rapporti solidi con famiglie ricche che necessitavano di musicisti per vari compiti. Queste erano relazioni di tipo personale, professionale ed economico.
Inoltre, in passato, per i compositori era cruciale instaurare rapporti di collaborazione con copywriter ed editori, fondata sulla fiducia reciproca. Lavorando direttamente con gli editori, i compositori si trovavano ad affrontare diverse sfide, tra cui la necessità di mantenere un’elevata reputazione per evitare che i loro manoscritti fossero manomessi o alterati. In questo senso, lavorare con compositori “rispettabili” rappresentava un privilegio per gli editori.
Per garantire la tutela del proprio lavoro, i compositori richiedevano la presenza dei copywriter nelle proprie residenze, al fine di controllare con attenzione eventuali modifiche apportate ai propri manoscritti e prevenire eventuali tentativi di falsificazione.
È interessante adottare una prospettiva evolutiva, sostenendo che gli antecedenti della composizione freelance si possono trovare già nel Settecento e che il passaggio alla composizione orientata al mercato è stato graduale e affonda radici ben più profonde rispetto allo slancio imprenditoriale correlato all’industria musicale moderna.
Nel tentativo di individuare esempi concreti si nota come la convergenza tra le sfere dell’arte e dell’economia non abbia avuto inizio soltanto nell’ultimo secolo, ma nutre radici ben più profonde, risalenti addirittura alla fine del XVIII secolo. Difatti, molte sono le figure di musicisti che hanno manifestato uno slancio imprenditoriale, cogliendo le opportunità offerte dal mercato e dalle nuove forme di organizzazione dell’epoca.
Tra questi, il celebre Johann Sebastian Bach si distinse per la sua maestria musicale, ma anche per la sua abilità come manager dell’organizzazione musicale nella chiesa. La sua Kapelle rappresentava un’impresa di grande rilevanza, che richiedeva una gestione attenta e meticolosa.
Ma non è solo Bach ad aver manifestato una pronunciata propensione imprenditoriale: Haydn e Handel si dimostrarono dei veri pionieri dell’imprenditoria musicale, organizzando i propri concerti in modo indipendente e svincolandosi dall’influenza della corte imperiale. In questo modo, hanno contribuito a ridefinire il ruolo del musicista nella società dell’epoca. Grazie alla loro determinazione e alla fortuna di trovare un pubblico sempre più ampio e appassionato, questi compositori hanno contribuito a ridefinire il ruolo del musicista nella società dell’epoca.
Anche Ludwig van Beethoven, oltre a essere un genio della musica, rappresenta una vera e propria icona dell’imprenditoria musicale, grazie alla sua abilità nel negoziare con i committenti e gli editori, diventando il primo compositore freelance e musicista indipendente della storia. Secondo la studiosa Nicole Kämpken, il sistema delle dediche nella musica classica rappresenta un’importante forma di marketing che molti compositori hanno sfruttato nel corso dei secoli.
Tuttavia, nessuno lo ha fatto con la stessa astuzia e successo di Beethoven, il quale già nei primi anni della sua carriera viennese  comprese l’importanza della pubblicazione. Egli eccelleva non solo nella creatività musicale, ma anche nell’editoria e nella gestione commerciale, decidendo con cura la selezione di opere da pubblicare, l’ordine e l’editore di riferimento. Beethoven era estremamente esigente sulle dediche delle sue opere, sapendo che il suo reddito dipendeva in gran parte dalla pubblicazione.
Per questo motivo, era determinato a proteggere i suoi diritti d’autore, inviando lettere minacciose a editori erranti e pubblicando avvisi sui giornali per contrastare la pirateria, il plagio e la falsificazione. In questo modo, Beethoven rappresenta non solo un grande compositore, ma anche un abile uomo d’affari e un precursore dell’integrazione tra creatività e imprenditorialità nella carriera musicale.
Questa tendenza è stata ereditata anche da Chopin che curava personalmente i rapporti con committenti e editori, dimostrando una grande capacità di gestione dei propri affari. Da astuto businessman, Chopin pubblicava la sua musica in Italia, Francia, Germania e Inghilterra simultaneamente, sapendo bene che all’epoca non esistevano diritti d’autore internazionali. Per evitare la pirateria, il compositore inseriva piccole differenze e annotazioni in ogni Paese, in modo che chi suonava le sue opere dovesse eseguire piccole aggiunte e modifiche a seconda della nazione in cui aveva acquistato l’opera. Questo sistema consentiva un rapido tracciamento degli atti di pirateria. Il compositore doveva contattare vari editori, negoziare i prezzi, le date di uscita, i manoscritti da preparare per l’incisore e le bozze da correggere. Il suo lavoro manageriale era tanto impegnativo quanto la sua creatività musicale, ma Chopin lo considerava un prezzo necessario per proteggere i propri diritti. Successivamente, la figura di Liszt ha esemplificato i trend emergenti del Novecento e si affermò come un imprenditore a tutto tondo, capace di innovare il mondo della musica con l’organizzazione di concerti itineranti e la figura di manager e agenti che intrecciavano i loro interessi con quelli degli artisti.
La rivoluzione nel management teatrale è stata introdotta da Giuseppe Verdi, che con l’avvento dell’Opera ha portato all’affermarsi di nuovi modelli di gestione degli spettacoli, aprendo così la strada a nuove figure imprenditoriali nell’ambito musicale.
Infine, la musica applicata al business cinematografico è stata rivoluzionata dalla figura di Nino Rota, mentre Roberto Cacciapaglia rappresenta un esempio di grande rilevanza per illustrare il rapporto attuale tra la musica, la pubblicità e i mega-eventi dimostrando come la musica possa essere utilizzata con successo per promuovere anche brand e prodotti, e per coinvolgere il pubblico in eventi di grande rilevanza quali Expo. Grazie alla fortuna di essere stati chiamati a collaborare con grandi registi e aziende di successo, Rota e Cacciapaglia hanno dimostrato come la musica possa essere un efficace strumento di marketing e di coinvolgimento del pubblico.
Dalle dinamiche sociali del Settecento, caratterizzate dal patronage e dalla Chiesa come principale mecenate delle arti, alla decadenza dei teatri reali e allo scioglimento dei grandi istituti musicali privati dell’Ottocento, i nuovi modelli di produzione hanno trasformato la musica in merce di scambio attraverso la vendita di spartiti e partiture.
La distinzione tra valore estetico e valore commerciale ha una lunga storia nella cultura occidentale e, nonostante gli sforzi per superare questa dicotomia, ancora oggi chiamare un’opera musicale “commerciale” equivale, almeno in un contesto occidentale, ad appiattirla in senso estetico. In realtà, come hanno sostenuto i critici Terry Eagleton e Martha Woodmansee, l’ascesa dell’opera d’arte autonoma è strettamente connessa al suo status commerciale.
La liberazione dalle tradizionali forme di mecenatismo ha portato all’emergere della musica come merce, destinata a diventare parte integrante del dialogo tra il compositore e il suo pubblico anonimo. Tuttavia, in una società in cui il giudizio estetico è spesso influenzato da fattori commerciali, rimane importante considerare l’impatto che il mercato può avere sulle opere d’arte e sul loro valore culturale.
Ma l’evoluzione non si è fermata qui. La crescente domanda di educazione musicale privata ha alimentato la produzione di strumenti musicali, mentre l’avvento del capitalismo musicale nel Novecento ha portato l’introduzione di nuove tecnologie di fotografia, registrazione, broadcasting, televisione e cinema, che, assieme al business pubblicitario, sono diventati strumenti indispensabili per i compositori per raggiungere il grande pubblico attraverso il potentissimo marketing televisivo, radiofonico e cinematografico.
Questo processo è stato influenzato ulteriormente dai successivi progressi tecnologici che hanno rivoluzionato il modo di produrre, diffondere e ricevere la musica. Nella storia dell’industria musicale si possono distinguere tre fasi, ognuna delle quali caratterizzata da un tipo di organizzazione predominante: inizialmente, le case editrici musicali erano al centro del potere quando gli spartiti erano il principale veicolo di diffusione della musica; successivamente, le case discografiche hanno assunto il controllo del mercato quando la musica registrata ha raggiunto il predominio; infine, le società di intrattenimento si sono affermate come organizzazioni che promuovono la musica come una serie in continua espansione di flussi di entrate, vendite, entrate pubblicitarie e streaming audio su Internet.
L’industria della musica classica e le istituzioni artistiche e culturali rimangono, tuttavia, ancorate a un’idea elitaria di arte e cultura, ancora poco inclini alla fruizione di massa e a una promozione allargata.
Ciò rischia di compromettere non solo la sopravvivenza dei singoli artisti, ma anche del settore delle istituzioni artistiche e culturali nel suo complesso. Questa sfida importante può essere affrontata dagli artisti, che hanno dimostrato di essere degli imprenditori naturali capaci di visualizzare qualcosa che non esiste, come il dipinto sulla tela o la partitura sul pentagramma. Tuttavia, per emergere in un’industria altamente competitiva, la passione deve essere accompagnata da un’organizzazione solida e una gestione strategica dell’immagine e dell’identità.
La vita e la carriera musicale richiedono una scalata verso il successo che può essere raggiunta solo attraverso la regolarità e l’organizzazione.
Solo attraverso una solida organizzazione e una corretta gestione dell’immagine e dell’identità, gli artisti possono consolidare la propria posizione nell’attuale industria musicale, contribuendo così a dare maggiore solidità finanziaria alla figura del musicista o del compositore classico contemporaneo. Negli ultimi anni è emerso il concetto di ‘musica preneur‘, attribuito al profilo di musicista indipendente e poliedrico che cura sia l’aspetto artistico che l’aspetto imprenditoriale della carriera musicale, creando veri modelli di business.

Per concludere, l’essenza stessa di imprenditorialità è una forma d’arte e il vero artista dovrebbe presumibilmente essere concettualizzato come un imprenditore. Da questo punto di vista, infatti, l’imprenditore è intrinsecamente artistico e l’artista intrinsecamente imprenditoriale.

Martina Lorusso
(Strategy consultant, Emirati Arabi Uniti)

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