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uaderni de La Scaletta

Sono le note, come uccelli che si sfiorano, che si inseguono salendo sempre più in alto, sino all’estasi…

Ultime note

Carmina Burana

                                                               “O Fortuna
Velut luna
Statu variabilis
Semper crescis
Aut decrescis
Vita detestabilis
Nunc obdurat
Et tunc curat
Ludo mentis aciem,
Egestatem,
Potestatem
Dissolvit ut glaciem…”


Carmina Burana 

I Carmina Burana (Canti di Benedictbeuern) rielaborati tra il 1935 e il 1936 dal musicista tedesco Carl Orff[1] (Monaco 1895 – 1982), furono eseguiti per la prima volta a Francoforte nel 1937 sotto la direzione di Oskar Waelterlin.
Durante la secolarizzazione del 1803 un rotolo di pergamena, contenente circa duecento poesie e canzoni medievali, fu ritrovato nella biblioteca dell’antica Abbazia di Benedictbeuern nell’Alta Baviera. Si trattava di poesie in latino medievale, versi in vernacolo medio-alto-tedesco con qualche infarinatura di dialetto francone di monaci e chierici vaganti. Il glottologo bavarese Johann Andreas Schmeller ne curò un’edizione a stampa della collezione, che apparve nel 1847 con il titolo appunto di Carmina Burana.
Il latino medievale dei canti dei chierici è pervaso dall’antica convinzione secondo cui la vita umana è soggetta ai capricci della ruota della fortuna, e natura, amore, bellezza e vino sono alla mercé della legge eterna del cambiamento; da qui l’appello del coro alla dea della fortuna (“O Fortuna, velut luna”), che introduce e conclude la serie di canti profani.
La rappresentazione si divide in tre sezioni: il rapporto dell’uomo con la natura, in particolare con il risveglio primaverile (“veris leta facies”), quello tra l’uomo e i doni naturali che culminano nel vino (“In taberna”); e infine il rapporto dell’uomo con l’amore (“Amor volat undique”), riflesso di un’antica tradizione francese e borgognona.
Dal punto di vista strettamente musicale l’opera di Orff (una Cantata scenica, per soli coro e orchestra, con sottotitolo “Canzoni profane da cantarsi da cantori e dal coro, accompagnati da strumenti e immagini magiche”) è caratterizzata dalla costante presenza ritmica, compressa in grandi ostinati. Una struttura strofica che non conosce sviluppo, e che si arricchisce di un sapiente rimaneggiamento delle figure retoriche barocche (studiate in Monteverdi), ed un incalzare ritmico, figlio degli insegnamenti della danza e della “musica primitiva”. Al posto dell’armonia intensamente cromatica del tardo romanticismo infatti, si hanno qui tonalità chiaramente definite.  Vi è una rivisitazione originale e moderna, del canto gregoriano e della canzone strofica medievale (la litania per esempio), basata su una sequenza più o meno variata di curve melodiche, ognuna delle quali corrispondente ad un verso del testo con più ripetizioni di varie sequenze.
Per quanto riguarda poi la scrittura corale essa è invece prevalentemente declamatoria.
I singoli gruppi strumentali risultano compressi in ampie masse sonore. Le percussioni, rinforzate dai pianoforti, accentuano i ritmi ostinati ed energici della partitura.

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Carmina burana o Fortuna codex

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