Mettendo in ordine il voluminoso archivio personale e professionale di mio padre, in un apposito scaffale ebbi la sorpresa (e la fortuna) di rinvenire documenti gelosamente conservati. Slegando i lacci che tenevano una rigida custodia di colore marrone mi trovai tra le mani gli atti e i documenti del processo penale a carico di Rocco Scotellaro.
Come è noto, l’8 febbraio 1950 il giovane sindaco socialista di Tricarico, insieme a Domenico Scaiella, venne arrestato sotto l’infamante imputazione del duplice reato di concussione.
Mio padre assunse la sua difesa che venne estesa all’avv. Enzo Pignatari di Potenza, poiché il processo per competenza era stato incardinato nella sede giudiziaria del capoluogo regionale. All’epoca, infatti, il reato di concussione era di competenza della Corte di Assise con sede in Potenza e per la sua gravità imponeva l’obbligatorietà del mandato di cattura. Per tale ragione Rocco Scotellaro su richiesta della Procura Generale e su ordine del Giudice Istruttore presso il Tribunale di Matera venne arrestato e quindi associato alle carceri della nostra città. Dopo quarantaquattro giorni di detenzione Rocco Scotellaro venne prosciolto dalla pesante imputazione e messo immediatamente in libertà. Mio padre fu totalmente assorbito da tale caso processuale sia per la evidente incolpazione di un innocente, sia per le pressioni di un suo carissimo amico, l’avv. Vincenzo Milillo, vicino, anche per militanza politica, al giovane sindaco di Tricarico.
Mio padre spesso indugiava nel racconto di tale vicenda giudiziaria, frutto di rancori politici e priva di ogni elemento fondativo dei gravi reati contestati. Narrava dei pellegrinaggi a Potenza per offrire all’attenzione del rappresentante dell’accusa, il Procuratore Generale dott. Leonardo Giocoli, la prova della infondatezza di una denuncia, maturata in un clima di pesante scontro politico. Le visite continue nel carcere materano per incontrare il particolare detenuto punteggiavano i suoi ricordi, sottolineando la serenità “carceraria” dell’imputato, la insofferenza per non poter tornare ad offrire il servizio istituzionale alla sua comunità e l’angoscia per il dolore provocato alla madre. La sua sofferenza era acuita dalla mancanza di letture edificanti, che mio padre cercava di contenere procurando libri a lui graditi. Fu in una di tali visite che mio padre, dopo aver ricevuto la notizia da Carlo Levi, gli comunicò l’assegnazione del premio “Roma” di poesia. Il racconto paterno si concludeva con la soddisfazione per la conseguita sentenza assolutoria pronunciata in Camera di Consiglio dalla Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Potenza, su conforme parere del Procuratore Generale della Repubblica; con l’arrivo nel carcere insieme a Rocco Mazzarone con il “biglietto di scarcerazione”; con il trepidante viaggio in auto a Tricarico per riconsegnare alla comunità tricaricese il suo sindaco libero, perché innocente, e con la folla commossa che li accolse nella piazza centrale. Il rinvenimento del particolare incartamento suscitò tali memorie a testimonianza del vissuto impegno professionale di mio padre.
In verità i ritrovati documenti risultano ulteriormente preziosi in quanto il fascicolo processuale, conservato nell’archivio del Palazzo di Giustizia di Potenza, non è stato rintracciato perché forse distrutto nel crollo parziale dell’edificio che lo custodiva, a causa del sisma del 23 novembre 1980.
Per tale ragione la requisitoria del Procuratore Generale dott. Leonardo Giocoli, la sentenza assolutoria della sezione istruttoria della Corte di Appello di Potenza e alcuni altri documenti si rivelano atti inediti. La loro lettura rappresenta un essenziale elemento informativo che fa piena luce sull’inqualificabile episodio e illumina di innocenza la condotta istituzionale di Rocco Scotellaro. Infatti, dalle nebbie di sfumati ricordi e di imprecise notizie, emerge la verità storica di un fatto processuale e dei reali comportamenti degli imputati.