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uaderni de La Scaletta

Editoriale

Il carattere è il destino

“Il carattere è il destino” affermava Eraclito di Efeso. Ma da dove origina il destino, il fato o la sorte ? Probabilmente in quell’istante della vita pronta a richiudersi su se stessa come è richiusa una gemma, protetta da un’armatura di farfalle. Dove perdersi è un ritrovarsi, e dove l’attesa, il vuoto di significato, spesso precedono l’apparizione miracolosa di un senso. A noi non resta che  riconoscerlo, dare l’assenso, caricandoci delle nostre responsabilità uniche e individuanti, al fine di portarci oltre e altrove. Per vedere le stelle è necessario dimenticare le costellazioni…
Il movimento di elevazione a cui porta la conoscenza necessita, per darsi pienamente, del supporto di altre ascensioni come ad esempio il “sogno”, che conduce allo scavo nel buio della nostra psiche e fa da contrasto alla memoria, atto introspettivo seppur evidente, luminoso. L’insieme di queste azioni porta a comprendere la caducità dell’uomo e l’impossibilità di rallentare o modificare in qualsiasi modo l’eterno divenire del mondo. L’infinito è un fiore d’inaccessibile cristallo, il fato, la sorte o la fortuna, sono le voci di un vento errante a cui offrire il cuore.

Al tempo resiste solo quel che si fa col tempo.

Antoni Gaudì (il massimo esponente del modernismo architettonico catalano) da bambino fu spesso costretto a lunghi periodi in casa per malattia. Il suo svago in quei giorni di solitudine era la contemplazione del giardino di casa: galleggiando sulle onde di foglie verde pallido e tra i petali profumati, immaginando d’ essere accerchiato dal cielo, non avrebbe dimenticato mai più l’eterna lezione di bellezza della natura, riproponendola poi in tutte le sue incredibili fantasie architettoniche (come ad esempio il bosco di luce all’interno della Sagrada Familia di Barcellona).
Per ricondurre allo splendore, l’artista deve rovesciare i valori costituiti, deve fare del caos che lo circonda il suo ordine, deve seminare fermento e discordia, così che, per uno slancio emotivo, ogni ombra vitale (diversa dalle ombre degli oggetti naturali, perché il tempo umano vi si è accumulato come polvere mai spazzata) possa essere restituita alla vita.
Gli artisti non hanno doveri precostituiti, l’apologia del caos equivale all’elogio dell’ordine. L’arte consente di muoversi nello spazio, riportare al cuore e alla coscienza eventi un tempo incomprensibili e, partendo da questo rinnovamento, attribuire loro nuovi significati, trovare bellezza là dove forse non la scorgevamo, ricreare la bellezza, l’umanità.
Essa parte da un’esigenza primaria dell’essere umano, trasversale alle culture e ai periodi storici; se l’obiettivo dell’ arte deve essere rendere visibile ciò che non lo è, ecco dunque che l’esito naturale e finale non può che essere andare oltre l’uomo. Sbarazzarsi dell’uomo come di una corteccia e proseguire, seguire quel flusso millenario ma con la peculiarità che, dinnanzi al paradigma della globalizzazione, l’arte si presenti come un luogo di resistenza, resistenza dinnanzi alla dittatura dell’utilitarismo, del mercantilismo. Uno spazio dove insediare l’essere umano nella sua vulnerabilità e anche nella sua potenza.
Se autentica e non banale, l’arte si situa sempre nel territorio della ulteriore possibilità, è come una seconda chance rispetto alla realtà. Non si accontenta. Non ha pace (nel tentare di comprimere gli opposti, di sedare gli eccessi, di dare logica all’impossibile), vuole esistere contro le norme statuite. Vuole evadere dalle sensazioni prevedibili e diventare una galassia parallela. Se non fosse così, mai avremmo potuto ammirare le opere di Benvenuto Cellini o Jackson Pollock, leggere Jane Austen o Louis Ferdinand Celine, ascoltare la voce graffiante di Amy Jade Winehouse. Alla fine di tutto, conta solo il segreto più grande: l’anima che torna e che ci rende nascenti, non più mortali. Per sempre.

Da ogni lato sale la notte

Non è esatto dire: cala la notte, si dovrebbe invece dire : sale la notte, perché è dalla terra che giunge l’oscurità. Ai piedi del bosco era già notte, in cima era ancora giorno…
Il fisico tedesco Werner Karl Heisenberg (uno dei principali artefici della meccanica quantistica) dimostrò matematicamente che l’osservazione ravvicinata disperde e annuvola gli elementi, spazientisce il senso profondo che anima le cose, inducendole a opacizzarsi.
La scienza consegue i suoi traguardi, ma vi sono confini oltre i quali il territorio è inesplorato, inesplorabile. L’uomo analitico divora sé stesso e sposta sempre più avanti una torcia che non illumina, se non quella mezza luna di cammino rischiarato che lo asseconda, non rivelandogli null’altro.
Nell’apparente confusione del nostro misterioso mondo, gli individui sono così opportunamente adattati a un sistema, e i sistemi adeguati uno all’altro e a un tutto, che mettersi in disparte per un attimo ci espone alla temibile eventualità di perdere il nostro posto per sempre. Eppure Friedrich Hegel (1770-1831) un tempo non troppo lontano, aveva sostenuto che lo spirito doveva frammentarsi e concretarsi nella realtà per farsi consapevolezza che via via si riconosce. La sua Fenomenologia andava per asserzioni e negazioni, verso un assoluto che è risultato, pienezza in movimento, che integra e include ogni contraddizione. E dimora dello Spirito in questo lungo processo, era la coscienza dell’uomo, che può arrivare a comprendere ontologicamente il mondo e sé stesso attraverso stadi progressivi di concettualizzazione, in cui l’ideazione non può che far perno sul linguaggio. E nella sfera della contemplazione sovrasensibile, il mondo spirituale, l’invisibile, non era da qualche parte lontano da noi ma attorno a noi.

Tutto ciò che nella vita accettiamo veramente subisce un cambiamento.

Se solo potessimo cadere come i fiori di ciliegio in primavera così puri, così luminosi” (Okabe, pilota kamikaze pattuglia Shinpu).
Il caso è la scintilla, il destino è la fiamma. Scienza, filosofia, psicologia, umanesimo sono, dopo tutto, solo bagliori di candela di fronte al fato (alla sorte, al destino o alla volubile fortuna) con le sue infinite riserve di stranezza, terrore e sublimità.
C’è un tempo che ci supera sempre, e l’esistenza ci appartiene solo per una breve prova, come una veloce mano di smalto data al vento.

Edoardo Delle Donne

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