Arnold Bocklin nasce il 16 ottobre 1827 a Basilea, in Svizzera.
Studia all’ Accademia di belle arti di Düsseldorf sotto la guida di Johann Wilhelm Schirmer, esponente del Romanticismo tedesco, e nel 1848 si reca a Parigi dove ha l’opportunità di conoscere l’opera di artisti come Corot, Delacroix e Couture. Tornato in Svizzera entra in contatto con Jacob Burckhardt (il famoso storico che impose il concetto di Rinascimento, con il suo splendido saggio La cultura del Rinascimento in Italia, pubblicato nel 1860) il quale gli procura le prime committenze e lo incoraggia a soggiornare in Italia. Giunto a Roma nel 1850, vi si stabilisce fino al 1857, sposando nel 1853 la diciassettenne romana Angela Pascucci, e scoprendo il mondo antico e la mitologia classica che diventeranno un forte stimolo per la sua ispirazione pittorica e poetica. Nel 1859 si trasferisce a Monaco e l’anno dopo diventa professore alla Scuola d’arte di Weimar. Lascia l’insegnamento nel 1862, per far ritorno a Roma. Particolarmente suggestiva per Böcklin in quel periodo, sarà una visita a Napoli e la scoperta degli affreschi pompeiani che offriranno nuovi e originali spunti allo sviluppo tecnico e tematico della sua arte.
I colori delle sue opere si contrappongono in maniera sempre più netta, per esprimere al massimo le potenzialità delle cromie e conferire ai dipinti un surrealismo maggiormente accentuato, grazie all’utilizzo di tonalità molto luminose e vibranti. Nel settembre del 1866 rientra a Basilea, e dal 1868 al 1870, affresca con soggetti mitologici lo scalone del Museum für Natur und Volkerkunde. Nel 1874 si trasferisce a Firenze. E’ qui tra l’altro, che nel 1879 dipinge la prima delle cinque versioni del celebre quadro l’Isola dei morti. Lasciata Firenze, dal 1885 risiede a Zurigo, dove stringe amicizia con il poeta Gottfried Keller e dove, in quello stesso anno, viene colpito dal primo attacco apoplettico. Dopo una ricaduta nel 1892 trascorre la convalescenza a Viareggio e a San Terenzio, per poi rientrare definitivamente a Firenze nel 1893, dove la Galleria degli Uffizi gli commissiona un autoritratto per la propria collezione. Nel 1895 acquista Villa Bellagio a San Domenico di Fiesole; qui dipinge opere famose come la Peste (1898) il Trittico (1899) e Melancholia (1900), e vi rimane fino alla morte, avvenuta, in seguito a numerose ricadute della sua malattia, il 16 gennaio 1901. Viene sepolto a Firenze al cimitero evangelico “agli allori”.
Mistero, enigma, dubbio appartengono al limite che noi chiamiamo vita.
Arnold Böcklin fu uno degli esponenti più maturi e convinti del Simbolismo pittorico. Orientò la sua opera al superamento delle poetiche naturalistiche del Realismo e dell’Impressionismo, non dal punto di vista scientifico, come accadeva nelle ricerche degli artisti divisionisti, bensì da quello spirituale. Era convinzione infatti dei Simbolisti, e di Böcklin in particolare, che lo scopo dell’arte fosse quello di rivelare mediante l’utilizzo di un linguaggio non più logico, ma analogico, la realtà «altra» che si celava dietro quella immediatamente percepibile con l’uso dei sensi e della ragione. Svelando così le molteplici possibilità offerte dall’esplorazione della realtà psichica delle cose, con un utilizzo accorto di «simboli» d’ispirazione mitologica e in grado di indagare il mondo dell’interiorità in maniera particolarmente evocativa. La natura ad esempio, misteriosa e affascinante (e piena di riferimenti all’antichità classica trasfigurata da una interpretazione contemporanea), era paesaggio interiore, e specchio esteriore dell’anima. Bocklin rivendicava la libertà di sondare il significato del contenuto riducendo il valore puro della bellezza ed esaltando invece quella della sorpresa come percezione dell’ignoto.
Ma nell’intera opera dell’artista svizzero, in maniera quasi ossessiva e in particolar modo in alcuni dei suoi capolavori assoluti come Autoritratto con la morte che suona il violino (1872), le varie redazioni de L’Isola dei Morti (1880-1886) e L’isola dei vivi (1888), sarà ricorrente una tematica molto particolare: quella della morte.
Autoritratto con la morte che suona il violino
Negli anni della maturità, l’inquieto genio della pittura simbolista sembra subire l’ambigua seduzione del tema della morte.
L’ “Autoritratto con la morte che suona il violino” (conservato all’ Alte Nationalgalerie di Berlino ) è un quadro del 1872. Böcklin si immortala in una posa tradizionale (di forte ascendenza romantica), con tavolozza e pennello tra le dita. La scena mostra il pittore raffigurato con un potente chiaroscuro, in primo piano: ha i capelli bruni, scarmigliati e guarda la sua immagine riflessa in uno specchio. È intento a dipingere, ma con la testa leggermente voltata, quasi interrotto e distratto dalla presenza di una sinistra figura alle sue spalle. E’ la Morte, personificata in uno scheletro (come avveniva frequentemente nelle opere di “danse macabre”, assai ricorrenti nella pittura medievale ed in particolare in Svizzera, il paese di origine di Böcklin) che sembra quasi sussurrare al suo orecchio.
Suona un violino con una sola corda (le tre corde più acute sono saltate), quella che produce un misterioso e intrigante suono, il Sol (sol3, la corda più bassa; il sol che si trova subito sotto al do centrale del pianoforte). Le tre corde spezzate sono un riferimento al mito delle Parche romane, le terribili filatrici che presiedevano al destino e alla fortuna dell’uomo dalla nascita alla morte, (neppure le divinità del consesso olimpico potevano infatti frenare l’ineluttabilità cieca delle Parche), rispettivamente filando, svolgendo e tagliando il filo della vita. Lo scheletro è ritratto dall’artista animato da una sorta di gioia, i suoi denti orribilmente scoperti, si aprono in un ghigno folle, soddisfatto, che lascia trapelare una sottile eccitazione ed una imminente rivelazione: l’ora sta per giungere.
Ma Bocklin non pare affatto turbato da questa orrenda visione, egli possiede una luce interiore capace di guardare alla notte, a tutta la notte, a tutte le notti.
“… Ci sono buone ragioni per sfidare l’inevitabile vincitrice. I mandorli dell’Amalienburg fioriscono per non più di dieci giorni, e solo per due o tre appaiono gonfi e ardenti di colore… E quanti miei bambini ho visto morire con gli occhi celesti o scuri che si chiudevano… Lei suona la quarta corda: è il suo mestiere, io ho in una mano il pennello, nell’altra la paletta. Il mio mestiere è un contrappunto che non la dimentica. Perciò mi sono ritratto così fiero, la mia è una vera impresa.”
A. Bocklin