“La vita è una ciliegia
La morte il suo nòcciolo
L’amore il ciliegio”.
(J. Prévert, Chanson du mois de mai, 1963)
Il Ciliegio, nome comune di parecchie forme coltivate di piante del genere Prunus (riunite nelle specie: Prunus avium e Prunus cerasus ) è un albero che appartiene alla famiglia delle Rosacee. La sua origine va ricercata nelle regioni dell’Asia Minore e della Persia. A partire dal VII secolo a.C. si diffuse in Egitto e successivamente in Grecia, come citato dal filosofo e botanico Teofrasto, vissuto nel III sec. a.C.
La sua coltivazione oggi si estende dalle Isole Britanniche fino alla Russia, passando per Francia, Penisola Iberica, Italia, Germania, e a tutto l’est nelle zone montuose, per arrivare infine anche alle zone montane dell’Asia minore.
Storia ed etimologia
Il nome del ciliegio proviene dal greco κέρασος (kérasos; latino: ceresium per cerasium,), derivante dalla città di Cerasunte nel Ponto (attuale Turchia) dalla quale, secondo Plinio il Vecchio (che descrisse dieci varietà del frutto, nella sua Naturalis Historia), furono importati a Roma nel 72 d.c. i primi alberi di ciliegie per merito di Lucullo, che aveva partecipato alla campagna militare contro Mitridate.
Gli antichi Romani se ne innamorarono immediatamente e lo celebrarono in uno dei luoghi più suggestivi del loro impero: la villa di Poppea (Poppea Sabina, seconda moglie dell’imperatore Nerone) nella zona suburbana pompeiana di Oplontis, (seppellita insieme a Pompei, Ercolano e Stabiae dopo l’eruzione del Vesuvio del 79) dove in uno dei mirabili affreschi parietali, per fortuna preservati, sono raffigurati uccelli che si cibano di ciliegie.
Presenti nelle ricche mense rinascimentali, è a partire dal XVI secolo che abbiamo notizie diffuse e precise della coltivazione del ciliegio in Europa. Divennero celebri poi, le ciliegie che nel ‘600 provenivano dai frutteti di Versailles (voluti dal Re Sole in persona, per poterle consumare in qualsiasi periodo dell’anno), dove ampie serre erano adibite alla coltivazione di frutta per la tavola e gli studi botanici.
Simbologia
Per la tradizione Cristiana, tutto rimanda a significati reconditi, la rossa drupa diventa il medium per simboleggiare il sangue di Cristo versato per la redenzione umana.
La connotazione eucaristica (e paradisiaca, secondo un significato secondario) porta la ciliegia ad essere presente in alcuni quadri dedicati all’Ultima Cena e in alcune madonne (dal Sassetta a Tiziano). La stessa forma della ciliegia ricorda il cuore umano, e quindi l’amore di Dio.
A cavallo fra manierismo e barocco, l’urbinate Federico Barocci (1528-1612) dipinse
Il riposo durante la fuga in Egitto, conosciuto come la Madonna delle ciliegie, opera commissionata nel 1573 da Simonetto Anastagi. Nel dipinto non è la palma a nutrire lungo il percorso Giuseppe, Maria e Gesù, ma una pianta di ciliegio: simbolo eucaristico al pari del pane che spunta dalla bisaccia collocata a terra vicino ai piedi della Madonna. E il paesaggio luminoso che si apre alle spalle, allude a quella futura umanità per la quale si consumerà il sacrificio di Gesù.
La Ciliegia è anche l’attributo di Gerardo Tintore, patrono di Monza, noto come “il santo delle Ciliegie”. Secondo la leggenda, una sera d’inverno egli si recò nel Duomo per recitare le sue solite preghiere, manifestando l’intenzione di voler rimanere tutta la notte. Per convincere i chierici, il Santo promise che l’indomani avrebbe fatto dono di un cestello di ciliegie. I custodi acconsentirono e il giorno successivo Gerardo si presentò con il dono promesso.
Hanami
L’Hanami (chiamata anche La Notte del Ciliegio), è un’antica ricorrenza che celebra in Giappone la rinascita della natura, espressa al meglio dai fiori di ciliegio e dalla presa di coscienza della loro caducità. Questi infatti, fioriscono in breve tempo e così come nascono, altrettanto velocemente sfioriscono, creando delle suggestive piogge di petali.
Il fiore di ciliegio, o Sakura, richiama nella sua simbologia l’intera filosofia giapponese legata alla cultura della pazienza, del rispetto della natura e della pace interiore. Nondimeno esso è anche un segno di ricchezza e di buon auspicio.
Secondo un’antica leggenda sarebbe il sangue dei samurai ad aver colorato di rosa “la fioritura di ciliegio degli alberi ai piedi dei quali venivano seppelliti, per tradizione, i corpi dei samurai. Esclusivamente a queste guardie imperiali era riservato il tatuaggio dei fiori dei ciliegi, rimasto in seguito a simbolo di tutte le arti marziali”.
Nella Seconda guerra mondiale, i Kamikaze giapponesi (altro esempio di legame con l’arte della guerra) se li facevano dipingere sulla carlinga degli aerei prima di immolarsi contro il nemico nell’ultimo volo suicida. “Così i soldati cadevano sul campo di battaglia in ordine sparso come petali di fiore di ciliegio trascinati dal vento e (secondo una credenza popolare propagandata in tempo di guerra) le loro anime proprio in questi si reincarnavano”.
La leggenda del Ciliegio del Sedicesimo giorno
Nel distretto di Wakegori, che appartiene alla provincia di Iyo, c’è un ciliegio famoso e antichissimo chiamato Jiu-roku-zakura, ovvero “ciliegio del sedicesimo giorno”, perché fiorisce tutti gli anni il sedicesimo giorno del primo mese (secondo il vecchio calendario lunare), e quello soltanto. Il tempo della sua fioritura cade quindi nel Periodo del Grande Gelo, sebbene per regola naturale i ciliegi attendano la primavera prima di azzardarsi a fiorire. Il fatto è che nello Jiu-roku-zakura fiorisce una vita che non è – o almeno non lo era in origine – la sua. In quell’albero alberga lo spirito d’un uomo. Era egli un samurai di Iyo e l’albero cresceva nel suo giardino e fioriva, insieme a tutti gli altri, verso la fine di marzo e i primi di aprile. Aveva giocato sotto quell’albero quando era bambino; i suoi genitori, i suoi nonni e i suoi antenati avevano appeso ai suoi rami in fiore, una stagione dopo l’altra, per più di cento anni, strisce di carta colorata che recavano scritte poesie di lode.
Lui stesso era diventato vecchissimo sopravvivendo ai suoi figli e non gli era rimasta altra creatura da amare che non fosse il ciliegio. Ma, ahimè, durante l’estate di un certo anno, l’albero si avvizzì e morì. Il vecchio se ne dolse oltre ogni dire. Invano cortesi vicini gli trovarono un altro ciliegio, giovane e vigoroso, e lo piantarono in giardino, con la speranza di recargli conforto. Li ringraziò di cuore e dette mostra di aver ritrovato la felicità.
Ma in realtà aveva la morte nel cuore, perché così teneramente aveva amato il vecchio albero che nulla avrebbe potuto consolarlo.
Alla fine gli venne in mente una buona idea: si ricordò come si può salvare un albero morente. Era il sedicesimo giorno del primo mese. Si recò da solo in giardino e s’inchinò davanti all’albero avvizzito rivolgendogli le seguenti parole: «Ti scongiuro di fiorire ancora una volta… perché sto per morire al posto tuo» (è convinzione diffusa, infatti, che si possa immolare la propria vita per un’altra persona, o per qualsiasi essere creato, compreso un albero, purché si ottenga l’aiuto degli dèi; e questa trasmigrazione dell’esistenza è espressa dalle parole migawari ni tatsu: «agire per sostituzione»). Allora il vecchio distese sotto l’albero un telo candido e vi depose alcuni cuscini, quindi vi s’inginocchiò e fece hara-kiri, alla maniera dei samurai. E il suo spirito trasmigrò nell’albero e lo fece fiorire in quel preciso istante. E tutti gli anni continua a fiorire il sedicesimo giorno del primo mese, nella stagione delle nevi.
Curiosità
Il Ciliegio è un albero straordinario, da esso non si ricava solamente un delicato e dolcissimo frutto, ma è anche una buona pianta mellifera, che produce cioè nettare od altre sostanze bottinate dalle api e da queste utilizzate per produrre miele. La resina del ciliegio inoltre è molto aromatica e viene usata per dar sapore alle gomme da masticare.
Non ultimo, il legno di ciliegio, i cui colori variano dal bruno dorato al rosso, è un ottima essenza per la costruzione di mobili e pregevolissimi strumenti musicali poiché altamente resistente ed esteticamente raffinato.