Originario delle pendici dell’Himalaya o della Persia, il gelsomino è citato dagli egizi all’inizio del I millennio a.C. (utilizzato per profumare l’acqua del bagno e le statue degli dèi).
In quello stesso periodo in Cina se ne faceva uso soprattutto come aroma principale del tè nero, la varietà riservata agli imperatori, divenendo poi agli albori dell’era cristiana, durante la dinastia Tang, la fragranza più pregiata destinata ai nobili cinesi.
In India appare già citato in epoca vedica, sebbene la sua coltivazione si sviluppasse solo più tardi, intorno alla città di Madurai, a partire dal V secolo a.C. Ed è proprio grazie alla sua fragranza che il gelsomino venne associato a Kâma, l’equivalente indù del nostro Eros.
La leggenda narrava infatti che le punte delle sue frecce fossero costituite da cinque fiori profumati, con il gelsomino a simboleggiare l’amore languido. Elogiato dai poeti sanscriti, divenne sinonimo di candore perfetto, tanto da dare origine all’espressione “bianco come il gelsomino”.
Nell’antica Arabia del Sud (molto diversa dal deserto che conosciamo oggi) rigogliosa e piena di piante aromatiche, e conosciuta come la terra dei profumi, l’aroma del gelsomino era un’offerta giovane e dolce del mattino. Non a caso nel libro sacro dell’Islam, il Corano, il paradiso è descritto come un luogo odoroso pieno di giardini, alberi e grandi fiumi.
Nei profumi di Baghdad (la mitica Babilonia, di cui non abbiamo più tracce se non in leggende, scritti e rovine) divenne essenza assai privilegiata, tanto da ritrovarlo in numerose occasioni nelle formule di incenso e attar compilate da Al Kindi (primo dei filosofi peripatetici musulmani, famoso per aver introdotto la filosofia greca nel mondo arabo).
Fu in quel periodo che prese il nome con cui è oggi conosciuto, gelsomino dal persiano Yasmeen.
In Europa è associato alla Vergine Maria, poiché fiorisce a maggio, il mese a Lei dedicato
(il suo colore bianco ne evoca il candore e la purezza) e vi furono per tal motivo attribuite accezioni positive di grazia, eleganza e divino amore. Si trova dunque frequentemente in molte scene cristiane del Rinascimento, tessuto in ghirlande o raccolto in mazzi di fiori nelle mani di Cristo o di sua Madre. Ne sono pregevolissimi esempio le opere di Filippino Lippi, Madonna con bambino e San Giovannino (1480 circa) e la Santa Caterina di Bernardino Luini (1527/31 circa). Raramente lo si può scorgere dipinto sul bastone di San Giuseppe nelle scene dello sposalizio della Vergine. Se associato alle rose infine, il gelsomino può assumere il significato di fede. In ambito non religioso, appare in un altro raffinatissimo capolavoro di fine quattrocento (1485 – 1490 circa), Il Ritratto di giovane (La dama dei Gelsomini) dipinto da Lorenzo di Credi.
Sebbene fosse coltivato nella rigogliosa terra di Andalusia già dal XII secolo, è solo nel cinquecento che il gelsomino troverà una sua decisa collocazione nella cultura occidentale. Dalla seconda metà del secolo, come un liquore di esultanza cominciava ad inebriare i giardini di Londra, e più tardi nel XVII secolo, i maestri guantai di Grasse (città della Costa Azzurra, nelle colline a nord di Cannes) lo utilizzarono per profumare i loro guanti. Un’intuizione che trasformò una città di conciatori nella capitale mondiale del profumo, sede delle più grandi e famose profumerie di Fragonard, Molinard e Galimard.
Con quasi 200 diverse varietà e fino a 259 molecole che compongono la sua fragranza, il gelsomino o Regina della Notte, è un fiore dal profumo mielato, fruttato e vivace, al centro di bouquet di candidi boccioli.
Il suo aroma floreale è particolarmente delicato da estrarre. Poiché il fiore è molto fragile, deve essere raccolto all’alba e distillato il più rapidamente possibile. A seconda che questo avvenga di primo mattino o più tardi, come pure in stagione avanzata, il suo profilo aromatico cambia: più verde e floreale all’alba e più animale e fruttato la sera.
Il gelsomino deve inoltre la sua fragranza inebriante a un cocktail di molecole, due delle quali sono l’indolo e methyl dihydrojasmonate.
L’indolo, gli conferisce quel suo carattere decisamente animalesco, sensuale e persino inquietante ( per affinità, l’indolo si trova infatti anche nelle feci umane…). Solo e puro,
il suo odore è più simile alla naftalina, il che spiega quel conturbante odore delle collane di gelsomino in India. Questo strano composto aromatico rende inoltre comprensibile l’attrazione che molte persone hanno per il fiore poiché, oltre ad essere prodotto dalla nostra stessa flora batterica, l’indolo è un derivato del triptofano, l’aminoacido precursore della serotonina, molecola del buonumore.
Il methyl dihydrojasmonate dona invece al gelsomino tutta la sua freschezza vaporosa, il suo scintillio alleggerisce la pesantezza dei suoi composti odorosi, le cui sfaccettature sono più spesse, dense e inebrianti delle altre.
Fiore della Vergine e fiore del Piacere, innocente e traditore insieme, dal candore immacolato e che nasconde un profumo oltremodo lussurioso, il gelsomino non ha ancora finito di svelare i suoi segreti. Una dicotomia, che assume ed evoca emanazioni eccitanti ed illusorie, animalesche e fruttate, verdi, esotiche, narcotiche, mistiche e indolenti!