Alle soglie dei novant’anni continuo, temerario, a dar vita ai miei anni. Una scelta ritmata dalla necessità di inchiodare nel tempo che passa la concretezza delle azioni.
È in questa calda atmosfera che, provocato da Edoardo Delle Donne il curatore dei Quaderni, ho declinato il tema stimolante della “affinità”, traducendola nel parallelismo relazionale tra il valore del vicinato dei Sassi di Matera e il concetto olivettiano della “Comunità concreta”, tra i fremiti innovativi di Ivrea e “il tesoro della vita sopravvissuta” della millenaria Matera.
Questo legame virtuoso inizia il 18 ottobre 1952 a Venezia, quando l’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), presieduto da Adriano Olivetti, organizzò il IV congresso nazionale.
La pianificazione regionale fu il tema del congresso e lo spirito dell’assise rispecchiò la tesi innovativa di Olivetti del primato del lavoro dei tecnici sulla “politica”, lavoro tonificato nell’azione dalla competenza degli uomini di cultura divenuti carne e sangue dell’azienda. In quella sede fu anche affermato che il piano regionale doveva assumere come spazio operativo la “scala locale” ed investire un’area territoriale funzionalmente delimitata.
Come simbolo di tale novità propositiva il manifesto del congresso fu illuminato dal rilievo planimetrico del vicinato a pozzo del rione Malve di Matera.
A Venezia si incontrarono, come tesi “affini”, la matrice pianificatoria dello studio sui Sassi di Matera e la proposta di governo del territorio per il Canavese, costruendo in tal modo la coerenza di un’asse Ivrea-Matera per rendere “affine” il percorso, in gran parte inedito, del lavoro comune di pianificazione urbanistica.
I valori e i disvalori del vicinato dei Sassi di Matera attraversarono orizzontalmente e verticalmente le sessioni congressuali e il “caso Matera” indusse a valutare positivamente le tracce di comunità antiche, ancora vigili ed esistenti, pur sottoposte all’urto demolitore della società industriale.
Un passaggio strategico dell’assise veneziana venne, quindi, dedicato alla comunicazione dei risultati raggiunti dalla Commissione di studio sulla comunità di Matera, la cui indagine, finanziata con risorse del Piano Marshall, fu promossa da Adriano Olivetti in qualità di presidente dell’INU e dell’UNRRA CASAS.
L’argomento trattato fu provocatorio perché il vicinato degli storici rioni materani, con le abissali miserie e con le vitali relazioni, rappresentava una tessera millenaria della tesi solidaristica propugnata dall’imprenditore di Ivrea. L’unità sociale organizzata in un comune spazio abitativo, cioè il vicinato, per Olivetti indicava un concreto passaggio dell’evoluzione umana verso l’auspicato traguardo della “sua” Comunità. Il confronto congressuale portò a definire quello dei Sassi un mondo di stampo profondamente comunitario – e perciò in grado di interagire, anche se su un versante speculare, con il pensiero olivettiano – nel momento in cui la trama di un vivere “insieme” disvelava un fitta rete di relazioni e “dove una porta significa un punto di ingresso ma anche l’apertura della casa a certe persone (e la chiusura ad altre) a tal punto che le linee interrotte del tracciato urbanistico dei Sassi si insinuano nel profondo della vita dei gruppi, impregnate come sono di quel vissuto millenario, calde dei significati che incessantemente riflettono”.
Secondo Olivetti il microcosmo materano poteva entrare nella sua ipotizzata rete di piccole governabili molecole che, per gradi successivi, sarebbero confluite nella forma vitale di una strutturata Comunità, quale componente sociale, umana e spaziale, “concreta, visibile, tangibile, territorialmente definita”, dispensatrice di quel “rispetto della personalità umana, della cultura e dell’arte che la civiltà dell’uomo ha realizzato nei suoi luoghi migliori”.
L’attrazione di Olivetti verso Matera, dunque, fu provocata da una riconosciuta “attinenza” tra la comunità concreta del vicinato, figlia del “determinismo della speranza”, e il suo “comunitarismo radicale”, espressione di una intransigente responsabilità sociale.
Nacque una “confidenza geniale”, cioè una “affinità”, perché il verginale cammino della comunità olivettiana incontrò il nucleo sociale del vicinato materano subendone la naturale seduzione. In tal modo la sperimentale direttrice del mondo nuovo di “Comunità” trovò un ancoraggio stabile nella lettura dello spazio antropologico dei Sassi di Matera.
Fu il tempo di ricercate e ritrovate affinità, gestite dal potere delle idee olivettiane e partorite dalla fecondità preveggente dell’imprenditore piemontese.
In questo scenario esplose la sorprendente “affinità” tra bellezza e utilità, capace di relazionare la creatività culturale alla produzione industriale, riuscendo così ad armonizzare tanto le aspettative economiche quanto le più raffinate esigenze estetiche.
La bellezza, affermava Olivetti, è la carta migliore consegnata dalla natura e dalla storia nelle mani del nostro Paese e la bellezza deve impossessarsi dell’architettura e della distribuzione spaziale delle fabbriche perché sia di conforto al lavoro e trovi presenza nel prodotto industriale. Per questa convinzione, nella proposta olivettiana l’estetica industriale doveva improntare di sé ogni strumento, ogni espressione ed ogni momento della attività produttiva: era il compimento del suo rivoluzionario umanesimo industriale.
Ma il matrimonio tra “affini” divenne solenne nel “battesimo” delle macchine, quando la cultura olivettiana coniugò il lessico del suo classicismo moderno con l’alfabeto delle macchine prodotte, battezzandole con vocaboli della grecità. Una “affinità strutturale” tra il livello di bellezza del prodotto industriale e il sigillo identificativo (nome) della sua funzione. Infatti Olivetti e i suoi autorevoli “chierici” erano portatori convinti del “credo” che non poteva esserci tecnologia orfana del senso della tradizione classica.
Le macchine da scrivere e le calcolatrici, come di recente ha ricordato Giuseppe Lupo, furono vestite di grecità: “Lexicon” è il nome dei dizionari dove si raccolgono tutte le parole che la macchina per scrivere, in potenza, contiene; “Synthesis” è il nome greco di quell’atto della mente che riunisce gli elementi dell’analisi ed è quindi adatto al lavoro burocratico di schedatura e di classificazione; “Refert” è la parola di sapore araldico per uno strumento (magnetofono) che ripete e riporta suoni e parole; “Tetractys” è la potente calcolatrice battezzata in onore di Pitagora e del numero quaternario. Non si trattò di una affinità merceologica ma di una pensata struggente parentela culturale tra “nobili affini” esaltata in una macchina, la “Lettera 22”, divenuta opera d’arte per la sua elegante struttura e perché, “leggera come una sillaba, completa come una frase”. Anche questa una incredibile “affinità” in una tastiera meccanica.
Non posso chiudere questa riflessione senza richiamare lo snodo cruciale della vicenda politica di Adriano Olivetti, caratterizzata dalla traduzione puntuale del pensiero in azione. Una “affinità strumentale” tra indirizzi valoriali e attività politica, perché Olivetti era convinto della capacità di trasformazione delle idee nella sfera del potere, potere da ricostruire nella comunità quale emanazione diretta della cultura e delle idee portate in posizione di comando.
Qualcuno, per liberarsi di un personaggio ingombrante come Olivetti, lo definì visionario, utopista e sognatore; la efficienza della sua organizzazione aziendale e le avveniristiche realizzazioni in Ivrea, in Matera ed in Pozzuoli sconfessano tali strumentali e astiose definizioni.
Mi chiedo: è blasfemo coniugare i verbi al futuro? È blasfemo vedere il sole di notte? È blasfemo forzare il mondo ad entrare nel proprio sogno come ha fatto Adriano Olivetti?