“ Una mela è una cosa eccellente
fino a quando non hai provato una pesca.”
George du Maurier
Il pesco (Prunus persica) è un albero da frutto della famiglia Rosaceae che produce un frutto commestibile chiamato pesca, dalla buccia di colore giallo-rossastra di consistenza sottile e vellutata o liscia. La polpa è dolcissima e profumata e, secondo la varietà, può essere gialla o bianca con venature rosse più evidenti in prossimità del nocciolo che può aderire alla polpa (pesche duracine) o non aderire (pesche spiccagnole).
Storia ed etimologia
In un intreccio di memorie e leggende la storia del pesco affonda le sue origini e le sue radici negli altopiani del Tibet, da dove si diffuse, e poi in Cina. I noccioli risalenti al Neolitico (6000 a.c.) rinvenuti nei villaggi Hemudu sulle rive dello Chang Jiang (il fiume azzurro), ne sono la testimonianza più certa.
Dall’oriente il pesco arrivò, al seguito delle innumerevoli carovane, in Persia per giungere poi in Europa, e proprio dalla Persia deriverebbe il nome della specie, “persica” o “persico”, inteso come mela o pomo persico. Fu grazie ad Alessandro Magno (incantato dalla bellezza dell’albero in fiore che vide per la prima volta nei giardini di Dario III di Persia), che le pesche raggiunsero, in modo indipendente e quasi contemporaneo, tutto il bacino del Mar Mediterraneo sino alla Francia, tanto che, nel Medio Evo, proprio la Francia divenne il secondo centro di origine di questa specie, dopo la Cina.
L’albero giunse quindi a Roma nel I secolo d.C. (i romani chiamarono i frutti mala persica, mele persiane, come testimoniato dal gastronomo Apicio che le conservava in aceto e santoreggia).
Più tardi Carlo Magno ne promosse la coltivazione in tutti i giardini dei monasteri.
L’introduzione delle pesche nel continente americano avvenne infine in due ondate distinte: la prima, ad inizio del XVI secolo, operata dagli Spagnoli in Centro America e la seconda, molto più recente (intorno alla metà del 1800) tramite l’importazione diretta dalla Cina agli Stati Uniti. Dal secolo XIX in poi le pesche conobbero un tale successo gastronomico che ad oggi, risultano tra i frutti freschi con il maggior numero di varietà prodotte.
Simbologia
“ E’ gentile, butirrosa, liquescente e piena di sugo: ha un poco di acidulo, ma se è ben matura, esso non serve che a rilevarne il sapore. Il suo nocciolo è sempre rosso, e la polpa che lo circonda, sebbene bianca, prende presso di questo un’atmosfera di rosso paonazzo da cui resta raggiata in modo grazioso. Tale è la Pesca che conosciamo ora in Italia sotto il nome di Poppa di Venere…”
Giorgio Gallesio, botanico italiano (1772 – 1839)
In Oriente la pesca è associata all’immortalità: Shou Xing, il dio cinese della longevità, veniva raffigurato come un anziano che in mano regge una pesca dorata, un frutto che secondo una leggenda matura ogni tremila anni. I suoi fiori incantevoli, simbolo di amore eterno e segno di rinascita, appaiono raffigurati sulle più antiche e preziose porcellane.
Ed ancora oggi durante il matrimonio, le spose cinesi si circondano di fiori di pesco come auspicio di unione felice, desiderio e sogno di prosperità. In Egitto, la pesca era invece sacra ad Arpocrate, dio del silenzio e dell’infanzia.
Nell’antichità questo frutto succoso e prelibato, non veniva consumato come alimento, ma esclusivamente come farmaco: il nocciolo (che contiene amigdalina, una sostanza che rilascia l’acido cianidrico, altamente velenoso) era utilizzato per curare mal di testa e disturbi della digestione, mentre dalle foglie dell’albero si ricavava un infuso che abbassava la febbre. Nei primi anni del cinquecento, Francesco Berni nelle Rime, dedicò un “capitolo in lode delle pesche” ( Le pesche fanno un ammalato sano, tengono altrui del corpo ben disposto, son fatte proprio a beneficio umano…) per esaltarne le proprietà medicinali.
In Italia e in Francia si raccontava che mordendo la corteccia di un giovane pesco si potessero addirittura trasmettere alla pianta, liberandosene, i propri malanni.
In Giappone infine la pianta proteggeva dalle forze malefiche e dai fantasmi.
Il frutto del pesco figura spesso nella storia dell’arte, comparendo come elemento ornamentale, dagli affreschi delle meravigliose rovine di Pompei alle delicate Madonne del Rinascimento, fino ad arrivare sulle tele di Giacomo Balla e Janet Fish.
Nella simbologia cristiana le pesche rappresentano la salvezza e venivano per questo raffigurate nei dipinti con la Vergine Maria e il Bambino Gesù. Racconta Rutilio Tauro Emiliano Palladio, scrittore latino di chiara fama, che Giuliano, l’ultimo imperatore romano pagano fece abbattere gli alberi di pesco in tutto il territorio imperiale, per via del racconto biblico secondo cui Gesù e la sua famiglia pare avessero trovato rifugio sotto un pesco durante la fuga in Egitto.
Sempre nella tradizione dell’arte rinascimentale la pesca rappresentava anche il cuore, mentre le foglie attaccate al picciolo, la lingua. Di conseguenza, una pesca raffigurata con le sue foglie simboleggiava il parlare a cuore aperto, senza menzogne o sotterfugi.
Una delle pittrici pioniere del genere della natura morta, Fede Galizia (1578-1630), precoce artista milanese figlia di un valente miniaturista, immortalò le pesche in maniera sublime nel celebre Pesche in una fruttiera di vetro, fiori di gelsomino, mele cotogne e cavalletta e nella Natura morta con cesto di pesche e prugne.
Leggende
Una leggenda legata a questo frutto, narra che la scoperta dell’albero di pesco si deve alla curiosità di un pescatore. Trovato uno strano nocciolo nel ventre di un pesce appena pescato, l’uomo decise di piantarlo vicino alla sua capanna. Passato qualche mese, crebbe una piccola pianta che in primavera si copriva di bellissimi fiori rosa. Il frutto che ne derivò venne allora chiamato pesca proprio in omaggio a quel ricordo.
…e curiosità
Fu l’invenzione della tecnica dell’inscatolamento ad inizio 1800 a permettere di poter gustare tutto l’anno tra tanti alimenti, anche le pesche.
E’ al pasticcere francese Nicolas Appert (Châlons-en-Champagne, 17 novembre 1749 – Massy, 1º giugno 1841) che si deve l’invenzione del metodo per la conservazione ermetica dei cibi. Appert era un venditore di dolci che da anni si era dedicato a studiare la scienza alla base della preservazione degli alimenti. Fu sua l’idea di inserire alimenti in bottiglie di vetro, sigillarle e riscaldarne il contenuto. Nacque così la cosiddetta “appertizzazione” del cibo in bottiglia, bollito a bagnomaria, e poi in scatole di latta (di fatto, un metodo di sterilizzazione prima ancora della sua invenzione da parte di Louis Pasteur). L’espediente verrà però brevettato di fatto, dagli inglesi Donkin e Hall, che nel secondo decennio dell’Ottocento iniziarono a produrre contenitori in latta adatti all’uso, in una fabbrica di Bermondsey.
La funzionalità delle prime scatolette, contenenti minestre di verdure e carne di manzo, venne sperimentata durante le spedizioni al Polo Nord delle flotte inglesi.
Tornando alle nostre pesche, quelle sciroppate divennero famose durante le guerre del XX secolo a causa della scarsità di frutta fresca da far giungere ai soldati impegnati al fronte.