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uaderni de La Scaletta

Consegnare il giorno di oggi a quello di domani custodendo la memoria delle tempeste

Storie

L’uomo che attraversò tre secoli

L’invito a presentare il mio romanzo su una rivista impegnata nella conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e ambientale di Matera, ha fatto riemergere lontani ricordi di bambina, abbandonati nel tempo, che inaspettatamente hanno trovato il loro posto nel flusso dei pensieri e della memoria, e che diventano imprescindibili per parlare de “L’uomo che attraversò tre secoli.”
A Matera ho fatto il primo viaggio da sola con papà: frequentavo le elementari, non ricordo se fui io a chiedergli di andare con lui o fu lui a proporre che lo accompagnassi, fu deciso all’improvviso dopo scuola: mamma mi comprò un pigiama nuovo, preparò la valigia e dopo poche ore ero in macchina con papà e con i suoi colleghi che avevano partecipato e vinto il Concorso Internazionale per il restauro urbanistico-ambientale dei Sassi, era il 1977.
Fu il mio primo approccio, fuori del contesto familiare, con un mondo di soli adulti; ricordo che loro, i grandi, parlavano… parlavano: convegni, mostre, cene ufficiali, e io ascoltavo e inconsapevolmente assimilavo. E fu il mio primo contatto con l’architettura, che poi è diventata, forse non a caso, la mia professione. Ricordo la visita al Sasso Caveoso e al Sasso Barisano, all’epoca erano zone disabitate, eravamo solo noi ad aggirarci tra abbandono e arretratezza; ricordo precisamente alcuni disegni, che potrebbero essere ancora nello studio di mio padre, che illustravano come si viveva, fino a qualche decennio prima, all’interno di quelle caverne: in un unico ambiente dai contorni informi c’era una cucina a legna, un solo letto dove dormivano genitori e figli, e a seguire, in fondo, separato da un muretto o un tendaggio, asini o capre, mancavano del tutto i servizi igienici. Mentre scrivo, mi tornano in mente particolari insignificanti di quel viaggio, ma che evidentemente mi colpirono e si fissarono dentro di me: un gioco da tavolo, era un solitario di legno a casa di un professore che ci invitò a cena, e un ciondolo che indossava una collega di papà, aveva la forma di un seme di zucca, o qualcosa di simile.
I ricordi lontani accompagnano immancabilmente il presente, riemergono quando meno li si aspetta, alla vista di un luogo, con una frase detta, un odore, un sapore dal gusto antico, rivivono come sogni, nebulosi, intangibili, astratti. La spinta emotiva che induce Nina a raccontare del suo bisnonno Costì ne L’uomo che attraversò tre secoli è la stessa che mi ha fatto raccontare di Matera e del mio papà. Nina adulta, ricorda di sé quando era una bambina di circa dieci anni e riporta ciò che le è restato dentro e sente il bisogno che non vada perduto.
Rievocazioni che si trasformano in narrazione, di un fatto vero nel caso della visita a Matera, attraverso episodi frutto di fantasia nel romanzo.
In Nina ho trasferito il mio vissuto: gli insegnamenti ricevuti in famiglia, le amicizie, il senso di appartenenza, l’amore per la montagna, il bisogno di perpetuare, attraverso la scrittura, per conservare vivo il ricordo delle persone care.
L’uomo che attraversò tre secoli è un romanzo di ricordi, diretti o ereditati da genitori e zie; capita quasi in ogni famiglia di avere delle zie, dei parenti, degli amici che ci hanno trasmesso il passato raccontandoci aneddoti di cui ci si appropria fino a crederci. Un romanzo di affetti, di insegnamenti: “Tre erano i capisaldi con cui Costì li aveva cresciuti, e che ripeteva loro da quando erano bambini: il rispetto, per tutti, in ogni circostanza; la conoscenza, che fa la vera differenza tra gli individui; gli affetti, che consentono di essere ricordati per il bene profuso piuttosto che per i beni posseduti”.
È il legame tra Nina e il suo bisnonno Costanzo, detto Costì ma per lei immensamente “nonnissimo”; è Torre sul Lago, luogo letterario, “paese all’ombra del massiccio della Maiella, sulla sponda di un lago a forma di castagna, dove la mentalità era chiusa e bigotta”. È la forza delle donne, e il rispetto delle loro personalità nel ruolo di figlie, mogli, madri, poi anche lavoratrici: Albenice, Nives, Maria Carolina, e poi Mariuccia, Livia, Nice, fino ad arrivare a Nina, oltre a Rosa Romito, Luisella, Sonali, Tetyana; è la loro consapevolezza di essere donne. Ad Arturo, suocero di Maria Carolina, “gli piaceva quella giovanissima fanciulla che pretendeva il rispetto delle proprie idee, che osava sfidare l’intoccabile Albenice, che non amava le regole imposte dal rango a cui apparteneva, e che ogni qualvolta le si presentava l’occasione, tentava di scardinare abitudini e modi di pensare che non si confacevano al suo carattere”.
È la Storia con la maiuscola che determina le storie della famiglia de Sanctis, è la guerra che sconvolge le vite; è l’Italia che cambia: è la formazione del Regno d’Italia, è il referendum che ha visto scegliere la Repubblica, è il non riconoscimento dei titoli nobiliari, è la diffusione delle automobili, e il sopravvento della televisione. A tenere insieme la narrazione ci pensa lui, Costì, battezzato il 13 dicembre 1879, il quale da piccolo espresse il desiderio di vivere centotanti anni e che resta vivo, nei ricordi di Nina, per centoquarant’anni, fino a quando, dopo l’ultimo ‘incontro’ con nonnissimo, sarà stesso lei a dire: “La prospettiva si è ribaltata, i miei figli sono il futuro e io sono il passato. Devo guardare avanti”.
Costì, nella sua lunghissima vita, ha conosciuto ben nove generazioni, dalla longeva austera bisnonna Albenice nata a fine Settecento, attraverso il lungimirante nonno Arturo, il padre Panfilo uomo privo di personalità, i tanti fratelli e fratellastri, i figli, i nipoti, la pronipote Nina, i figli di Nina, fino ai nati della generazione successiva, in una famiglia che vuole e sa raccontarsi. Quando una famiglia non si racconta, manca del senso di appartenenza. Nina caparbiamente raccoglie i racconti e a sua volta racconta: “Il mio bisnonno Costì mi ha insegnato che nomi e parentele servono a costruire l’albero genealogico, ma poi bisogna riempirlo di vite e di affetti per trasformarlo in famiglia, e che si è parte della famiglia quando si sente il bisogno di tramandarla alle generazioni future. Fino a quante generazioni indietro devo andare, per essere una vera de Sanctis? gli chiesi da bambina. «Fino a che ne hai memoria, direttamente o per sentito dire”.
Per tramandare bisogna rendere facilmente identificabili le persone di cui si parla, anche attraverso un solo aspetto del carattere o del fisico.
Tra i personaggi di questa amabile saga familiare c’è chi sta scomodo nel proprio tempo, perché troppo avanti nel pensiero o al contrario eccessivamente conservatore, mentre Costì, a cui è toccato attraversare tre secoli, vive appieno ogni epoca perché riesce a essere costantemente al passo con i cambiamenti del tempo.
Conversando con i nipoti afferma: “Ogni generazione collabora al progresso, un avanzare lento, a piccoli passi impercettibili, che nel giro di poche generazioni crea una frattura profonda con il passato”.
Ho iniziato a scrivere il romanzo nel 2019, dopo la scomparsa di mio padre, avvenuta, come per il barone Arturo de Sanctis, “senza soffrire e senza rendersene conto, all’improvviso, proprio come si era augurato”. Prendendo spunto da un episodio avvenuto quando ero bambina, ho immaginato il personaggio di Costì. Sentito dire che in mancanza di malattie l’essere umano può raggiungere i 140 anni di età, con ironia mio padre commentò che facilmente lui, cresciuto in un periodo di benessere e progressi nel campo medico, avrebbe raggiunto quel traguardo. Fu una sorta di promessa, irrealizzabile, fatta a me e alle mie sorelle. A ogni compleanno ci scherzavamo su e facevamo il conto alla rovescia; con il passare degli anni, l’età prospettata diminuiva, avvicinandosi sempre più a quella compiuta, fino ad allinearsi: rapidamente passò a porsi come obiettivo ideale centoventi anni, poi cento, novanta, e l’ultimo compleanno commentò: «Sono proprio tanti.
Chi se lo aspettava di vivere così a lungo!»
Al ché ho capito che tanti anni non è una quantità numerica bensì una percezione. “Centotanti anni”, diceva Costì. Dunque, per caso, mi sono trovata ad andare indietro di centoquarant’anni, fino ad approdare a “un banalissimo pomeriggio d’autunno del 1879, quando si trovava in compagnia di parenti e amici nel salottino beige del palazzo di Torre sul Lago, il paesino in cui vivevano. Le donne ricamavano a tombolo, gli uomini erano rientrati dal fumoir e si intrattenevano conversando”.
Non immaginavo che da quel salottino beige ne sarei uscita fuori dopo tre anni e tante pagine scritte, non pensavo che quelle donne e quegli uomini mi avrebbero fatto compagnia e avrebbero preso parte alla mia vita così intensamente, prima di congedarsi da me per entrare nelle case dei lettori, a partire da Natale 2022.
Scrivo perché mi piace farlo, è il momento della giornata che dedico a me stessa, mi astraggo dalla quotidianità e mi rilasso, è un appuntamento che ho con i miei personaggi, a cui non posso mancare.

L’uomo che attraversò tre secoli è giunto in pochi mesi alla seconda edizione, e per me, architetto di professione e scrittrice per piacere, è la realizzazione di un sogno.

Emma de Franciscis
(Architetto e Scrittrice)
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