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uaderni de La Scaletta

La memoria è più di un sussurro della polvere…

Mediterraneum

Sogni dei Gatti e Teste Vesuviane

In programma c’era un altro tema, cui non meno mi legano sentimenti familiari, ma quando mi è stata comunicata la parola di ispirazione di questo numero di “Q”, a me è venuto in mente subito “Il Sogno del Gatto”. È il bello della diretta, che è uno dei tratti salienti del nuovo trimestrale de “la Scaletta”. Non è più la storia che volevo raccontare su Scotellaro (c’è tempo per questa), ma è una storia di tante teste con scalmana che sarebbe sicuramente piaciuta anche a Scotellaro.
Il primo olio di Paolo Freuli di cui ho memoria è un regalo spedito via posta sul finire degli anni Novanta per il compleanno del padre Luciano. Non compare nella breve rassegna che qui mi piace proporre, ma è stato proprio a quel quadro che si deve la domanda che da allora cominciai a ripetere a Paolo ogni rara volta che ci si rincontrava al paesello lui da Pisa e io da Milano, che fosse nel giardino di Serra Rifusa di fronte a un caffè con crostata di amarene di Zia Maria, oppure nella casa di Vico I Passarelli per ricevere la benedizione di arrivo e di ripartenza della Nonna Paola Oliva Sacco: “Hai fatto altre cose?”.
Era il loro gruppo di famiglia, con quattro primi piani di volti accostati in maniera sfalsata, in alto il padre Luciano, poi la mamma Maria, poi i due fratelli Paolo e Francesco. Lo stile era un po’ fumettato con alcuni dettagli volutamente espressionisti per dare voce ai protagonisti. Ricordo che il mio primo pensiero fu: “Caspita, è proprio lui, è Luciano”. Profilo ieratico, taglio d’occhi sottolineato dal trucco liturgico, calotta glabra e lucida, sorrisone benevolo.
Da sempre appassionato di filosofia, ha portato in famiglia ⎼ la sua e quella allargata di cui ho avuto fortuna di fare parte ⎼ il senso del dover-essere kantiano calato nella piccole cose quotidiane, quelle che troppo spesso si sottovalutano, ma mai disgiunto da mitezza, forte carica umana e spiccato senso dell’ironia e dell’autoironia. Come luminarie puntate verso il pater familias c’erano gli occhi verdi di Maria, due fanali spalancati per tenere sotto controllo e fare funzionare tutto il ménage familiare, il loro e quello allargato, come volontaria missione ereditata dalla Nonna. Sotto, nella parte bassa, i due figli, con sulla faccia esattamente quel misto di insofferenza ma di piena ammirazione verso i precetti dispensati con apparente ruvido amore. Trovavo conferma nella dedica dietro la tela: “Auguri, Papà. Io ti vedo così, un po’ faraone egizio, un po’ duce virile, un po’ Totò”. Un inno al Regno di Luciano I.

Il “Sogno del Gatto” ⎼ “Fammi sapere se fai altre cose, eh! E se ti proponessi un soggetto?”. Ma non ne seppi più nulla finché, per puro caso, via Facebook (anche i social hanno i loro lati positivi) mi imbattei nel “Sogno del Gatto”, il primo sogno felino, quello bolognese. Scoprii allora che Paolo aveva nel tempo dedicato piccole grandi tele a momenti di vita e di ispirazione sia pisani che bolognesi e milanesi. Sono, come al solito, arrivato tardi, perché quando gli chiesi se me lo cedesse, il quadro era già stato regalato a una sua amica. A molti cui l’ho mostrato in foto, è sembrato un attimo a fine giornata, al tramonto; a me, invece, è sembrato sempre un sogno di primo mattino, quando il sole si è appena sollevato sopra l’orizzonte e ci si può godere qualche altro fugace minuto di silenzio metropolitano, prima che i binari quotidiani risucchino azioni e pensieri. Se, come scrive Dante, “presso al mattin del ver si sogna” (il XXVI dell’Inferno, il Canto di Ulisse, del viaggio della “picciola compagnia” e di chi osa!), i due gatti sono presi da riflessioni impegnative sul loro futuro. È quello casalingo, che viene da notte comoda sotto la copertina granny, che si chiede chi ha deciso che lui stia al di qua del vetro assieme al suo pupazzetto di peluche, e se il suo posto non sia meglio a saltare libero tra tetti, antenne, abbaini e gatte calde?; o è il gatto randagio, in trono sul suo comignolo un po’ pericolante, a masticare amaro dopo avere faticosamente rimediato del cibo poche ore prima, e a chiedersi quando qualche umano non si invaghirà della macchia a forma di luna crescente che ha sul dorso, aprendogli la via delle comodità?
I due incrociano malinconicamente lo sguardo e sembra che dicano l’uno all’altro: “Dimmi, tu che ne pensi? Io non saprei”. E di lontano sembra non saperlo neppure San Luca, di cui la luce del nuovo giorno mostra il profilo in collina. Curiosamente, tra l’altro, un paio di mesi fa, mettendo in ordine la brodaglia primordiale di opere, fatti, errori e omissioni che in mezzo secolo si è creata nell’interrato di Via Castello 42/a, sono venuto a scoprire che una mamma gatta e tre cuccioli di poche settimane si erano accasati tra quadri, quotidiani degli anni Settanta, palchi di corna di cervi di Padre David, progetti di aree naturalistiche qui e lì, maioliche con le “Pupe” di Ugo Annona, mappe della Riforma Fondiaria, numeri di “Comunità” di Olivetti, ricerche del Telero di Levi e tanta altra roba. Grazie a “Il Sogno del Gatto” io non ho avuto un attimo di titubanza e l’ho capito al volo che anche questi quattro erano dietro al loro specialissimo sogno, e infatti la porta della cantina è stata richiusa in attesa del completamento dello svezzamento.

Il “Sogno del Gatto milanese” ⎼ Di quadri del Paolo ne ho visti tanti successivamente, ma sempre di sfuggita, tra social e foto scambiate con amici, perché lui è una gran testa dura, difficile da afferrare. Finché un bel giorno, mi trovo davanti un altro sogno felino, questa volta il “Sogno del Gatto milanese”. È il balconcino di casa sua a Milano, che si affaccia sul gruppo di case che fanno da separazione tra Via Paolo Sarpi e il piazzale del Famedio del Monumentale. Secondo voi è il gatto casalingo di prima, che ha seguito Paolo da Bologna a Milano e che continua a chiedersi di che cosa saprà mai la vita laggiù nella vallata metropolitana?; o è il gatto del comignolo che finalmente ha coronato il suo sogno conquistando pure lui il suo balcone, ma a costo di una bella medaglietta proprietaria al collo?
Anche questa volta nessuno può sciogliere l’arcano, neppure il trasmettitore RAI, che prende il posto di San Luca a sorvegliare dall’alto tutti i sogni nell’alveare di finestre illuminate, simbolo assieme alla gru della Milano in perenne movimento, in perenne corsa ognuno dietro al suo sogno. Questa volta non ci sono dubbi: è sera fatta, di quelle sere di giugno (di un po’ di anni fa) che non c’è ancora afa ma la città già si svuota verso la Liguria o verso i laghi e chi resta per il week end può godere di una vacanza urbana a buon mercato. Se il gatto è quello che continua a fare il casalingo, questo secondo sogno è milanese anche perché ricorda un po’ i disegni di Dino Buzzati che hanno spesso una Milano serale o notturna, o comunque un po’ noir, di sfondo. E allora, la lancetta o la goccia buzzattiana, quella che scandisce i micro tempi che passano indifferenti ma che sommati prosciugano l’esistenza, è qui sostituita dall’andirivieni del gatto sulla ringhiera: avrà una fine e un fine, o l’esercizio ginnico continuerà sera dopo sera, notte dopo notte, senza sosta?
Se, invece, il gatto è quello randagio che si è conquistato a morsi un migliore punto di osservazione, beh, allora la colonna sonora è “Midnight (R)Evolution” dei “A Toys Orchestra”, il gruppo rock-pop-punk di Agropoli in provincia di Salerno (https://youtu.be/4JHq9ApzF-Y). Ascoltatelo mentre guardate il sogno felino milanese, che sembra fatto la sera durante la fase di defaticamento dopo lo sforzo o il coraggio del cambiamento.
Il testo in Inglese non ha, come spesso nel rock e nel punk, interpretazioni univoche, ma forse il punto è proprio questo: magari ci fosse un sentiero segnato e bastasse scollinare! È la storia di un gruppo di ragazzi che scende in piazza e protesta. Non sono né invasati né radical-chic, ma facendosi coraggio a vicenda cercano la loro strada tra dubbi e titubanze. Se volete, è una delle tantissime storie di oggi.

Il “Sogno di (Zia) Maria” I due sogni felini mi hanno dato una chiave di lettura. Probabilmente non è l’unica e chissà che cosa ne pensa il Paolo. Sono due sogni apollinei: quello del mattino con energie fresche e lucidi propositi, e quello della sera con resoconti a filo di voce di ciò che si è fatto e non si è fatto, tra dubbi e correttivi.
Ma qui, in questo lembo di Magna Graecia che sono Matera e la sua Murgia, lo sanno anche le pietre che non c’è Apollo senza Dioniso e viceversa. I sogni dionisiaci di Paolo sono le sue teste esplose. Ne ha collezionato una lunga serie; ce n’è per tutti i sogni e per tutti i sognatori. Qui dedico un posto speciale al “Sogno di Maria”, e per più di un motivo. Quando l’ho visto mi ha ricordato un affresco di una delle chiese rupestri Matera, la Madonna delle Tre Porte in Murgia Timone (https://www.ceamatera.it/centro-visite/madonna-delle-tre-porte/, tra l’altro, una vecchia conoscenza del Circolo “la Scaletta”).
È un affresco di fattura bizantina raffigurante una deesis con il Cristo al centro e ai lati la Madonna e San Giovanni Battista. La Maria apollinea e fissa in posa supplicante che chiede la misericordia per gli esseri umani ⎼ da δέομαι, che si traduce con avere bisogno, dipendere, pregare per ottenere ⎼ diventa la Maria dionisiaca di Paolo con la testa piena di aspirazioni, istinti e tentazioni, il tatuaggio “FREEDOM” sul collo, un telefono che la cerca da chissà dove, poster surreali alle pareti, libri, una racchetta da paddle, un oggetto rotante non meglio identificato, api e lucertole che girano libere per la stanza mentre lei è ancora reclusa e con la finestra oscurata.
C’è anche l’ermellino di Leonardo, che qui sorprendentemente assomiglia a uno dei tre cuccioli di gatto trovati nell’interrato di Via Castello, quello di pelo arancione, il più furbo dei tre a giudicare dalle capacità di occultarsi, e che si permette anche una beffarda linguaccia a noi e forse anche a tutte le perfezioni rinascimentali di maniera. La colonna sonora è d’obbligo: è proprio “Il Sogno di Maria” di Fabrizio de André (https://www.youtube.com/watch?v=qXEAvoKd6hk), uno dei pezzi dedicati ai Vangeli Apocrifi, con quel testo meraviglioso che ricorda ⎼ a chi è credente ma anche a chi non lo è ⎼ che tutto è nato da una voglia di libertà che aveva molto di dionisiaco, con un volo sugli ulivi e sulle viti di Palestina per guardare dall’alto il tempio, i suoi custodi e l’ordine costituito.
Le suggestioni di confronto col Medio Oriente attraversano i millenni, perché la Maria di Paolo ha visto la luce a fine 2022, proprio mentre in Iran le donne scendevano in piazza per Mahsa Amini, la studentessa curda di ventidue anni morta nell’ospedale di Teheran, dove era stata portata in stato di coma sopraggiunto mentre si trovava nella caserma della Gasht-e-Ershad, la Polizia “per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio” della Repubblica Islamica (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/5-grafici-capire-le-proteste-iran-36790).
Le proteste si sono estese dalla richiesta di giustizia per Mahsa Amini a quella più ampia di diritti civili, libertà e parità. La situazione è ancora in evoluzione, con le Autorità che tentano di azzittire e le tante Marie iraniane che si sono tolte copricapo e velo ⎼ lì l’iconografia della donna è rimasta molto simile a quella tempi raccontati nei Vangeli e raffigurati negli affreschi e nelle miniature bizantine ⎼ per mostrare il turbine dei loro desideri ammassati dentro le loro teste esplose. E poi c’è un altro motivo di fondo per avere scelto questa testa esplosa tra le tante venute fuori dal pennello di Paolo. Quando leggo Maria a me viene sempre in mente, come prima cosa, zia Maria, la madre di Paolo, con la sua attitudine particolare a capire i sogni e le scalmane, a cominciare dalle mie, e a riparare sempre tra le sue braccia, anche in questa predisposizione così simile a Paola Oliva Sacco.

Le Teste Vesuviane ⎼ Il “Sogno di Maria” è solo una delle tante teste in ebollizione di sogni realizzate da Paolo. Di Teste Vesuviane (passatemi il neologismo), con la camera magmatica piena e pronta eruttare, ne ho contate almeno un’altra decina, ma credo l’elenco sia più lungo a giudicare dalle gallerie sui siti web di Paolo. Io mi ci sono trovato. Se spulciate con cura, in una delle due teste che allego fa capolino la faccia di un barbuto (ahimè, allora nero corvino) con sopracciglia folte che naviga nel pelago di tutte quelle sinapsi che implorano attenzione. Appena me ne sono accorto, l’ho fatto presente all’autore e adesso quel quadro è davanti a me, campeggiando sulla parete dietro il monitor su cui adesso sto scrivendo.
Poi c’è una testa che sembra fatta di fili di ferro arrugginiti. È quella più trasfigurata, un monito per quello che può accadere se sogni e libertà vengono compressi troppo a lungo senza scolmatori di troppo pieno: tutto si sclerotizza come in una delle macchine anatomiche dei Sansevero a Napoli (mi ci ha fatto davvero pensare), mentre prende il sopravvento un enorme ascesso infuocato che dalla bocca si intrude lungo il setto nasale verso quello che resta del cervello. È l’ultima tela che allego, non potendo mostrarle tutte. Quasi sempre ci sono bruchi che scavano; i più grossi occupano molto dello spazio disponibile nella scatola cranica. E c’è anche una testa marziana, amebica, liscia e senza segni di riconoscimento, viola cianotica e con lenti scure a nascondere le occhiaie, forse coglie l’attimo prima della esplosione vulcanica, distruttrice nell’immediato ma anche premessa per terreni arricchiti e fertili come ai piedi del Vesuvio. Continuate voi, se vi va, con le altre teste. Io, più le guardo, più ci scopro particolari, piccoli o grandi, voluti o occasionali, che innescano flussi di pensieri. Sono delle vere e proprie risonanze magnetiche ad alta definizione.
Che dire per concludere? Lunga vita ai sognatori. In bocca al lupo ai giovani di oggi: se avete paura di sognare e vi servono incoraggiamenti, o se vi sembrano troppo strane le ebollizioni che vi sentite in testa, può servire anche farvi un giro sul web di Paolo. Allenatevi a liberare bene le energie mentali e fisiche, prima che si spengano e che restino materia informe con rischi disumanizzanti. Aggiungo il mio personalissimo grazie a Casa Freuli; sotto sotto ha a che fare con un certo tipo di scalmane anche questo ringraziamento.
Sempre facile entrarvi, facile rimanervi, facile uscirne: la definizione meno retorica e più tangibile di apertura e ospitalità. A Rocco Scotellaro sarebbero piaciuti i sogni felini bolognesi e milanesi, ma molto molto di più le Teste Vesuviane. In un certo senso, è stato una Testa Vesuviana à la Freuli anche lui.

 

Nicola C. Salerno
(Economista presso l’Ufficio parlamentare di bilancio)
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Il sogno: gatto milanese
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