Cosa vuol dire scrivere un romanzo, quello che gli inglesi chiamano fiction? Finzione, quando il contenuto è frutto della fantasia dell’autore.
E che cosa sono la fantasia, la finzione, se non sogni a occhi aperti? Immaginare una trama, seguire nella propria mente il divenire di un protagonista e dei suoi comprimari, significano costruire qualcosa di immateriale, che diventa percepibile anche dagli altri solo quando i caratteri si formano sul foglio bianco, o sullo schermo di un computer.
Lo disse Shakespeare, che l’uomo è fatto della stessa materia dei sogni, no? Se siamo noi venuti dal nulla e destinati a ritornare nel nulla, cioè in fondo meteore, poco più di un sogno, figuriamoci cosa possono essere le creazioni immaginifiche della mente umana: sogno di sogni. Meno che nulla. Eppure questo nulla ci intrattiene, ci educa, ci emoziona, ci penetra nel profondo, e spesso ci fa piangere, ridere, o cambia le nostre credenze. O le rafforza, o le stimola.
Come un sogno, così la letteratura incide sulle nostre esistenze, ed è un vero peccato perdersi – per chi lo fa – questa esperienza. Non leggere libri è la perdita più secca che può lamentare un uomo. Non insegnare a leggere, non trasmettere l’amore e la necessità della lettura è l’errore più grave che una scuola possa fare, quando lo fa. Non so chi mi abbia spinto a leggere e a perdermi nel sogno a occhi aperti che un libro significa, ma ricordo quanto ho sognato di essere io stesso l’eroe di mille avventure, il D’Artagnan dei Tre Moschettieri o Sandokan, la Tigre della Malesia di Salgari. O di partecipare alle peripezie di Tom Sawyer o di Gulliver.
Mi sono reso conto molto presto dell’importanza della scrittura, di quanto la parola scritta possa essere capace di generare emozioni, ma anche di ferire come una pietra, di lasciare dietro di sé tracce durature. E quanto fosse azzeccato il detto latino “Scripta manent, verba volant”. Appena ho potuto, ho cercato di fare il giornalista, e per un po’ ci sono riuscito. Scrivere per un giornale, per una rivista, creare un “pezzo” dal nulla per dare una notizia o costruire un reportage, scrivere la recensione di opere di architettura, e poi libri sulla critica e la storia dell’arte e dell’architettura (materia in cui mi sono laureato, tanti anni fa) è stato un punto d’arrivo, per il mio desiderio di creatività.
Per un periodo sono stato giornalista pubblicista, ho scritto tanto, di tutto o quasi, finché ho voluto affrontare una sfida che per anni ho ritenuto impossibile. Scrivere un romanzo. Un vero romanzo, qualcosa di almeno duecento pagine, con una trama del tutto inventata, con uno o due personaggi principali, e tanti altri comprimari.
Una sfida difficile, due corsi di scrittura creativa (fatti dopo aver scritto il mio primo romanzo, mai pubblicato), una sfida che dura da quasi quindici anni, e che è stata (finalmente) riconosciuta in un torneo letterario, dalla giuria che ha promosso il mio quarto romanzo tra i dieci vincitori ex-aequo.
Un romanzo storico, Triplo Delitto, il primo di una serie delle avventure di lord Richard Trumbull, il mio eroe illuminista in un mondo in grande trasformazione, quello dell’Europa della Rivoluzione Francese. Un vero sogno a occhi aperti, no? Vivere quelle vicende dall’interno, descriverne effetti piccoli e grandi, speranze ed eccessi, era il mio obiettivo. In Triplo Delitto, come dice il titolo, si tratta di un efferato delitto, anzi un delitto “eccellente” del 1789, proprio alla vigilia del 14 luglio francese, che avviene nel Regno di Napoli, e coinvolge Trumbull quasi per caso. Venuto nella capitale borbonica in piena espansione per aiutare l’ammiraglio inglese John Acton a costruire un moderno servizio di polizia, il protagonista rimane invischiato nella tragica morte di un giovane principe, erede di una delle due più importanti famiglie di Napoli. Avrà modo di toccare con mano che, nonostante l’abolizione della tortura e del tribunale dell’Inquisizione, la giustizia di re Ferdinando IV di Borbone non è esattamente moderna e garantista come avrebbe voluto Beccaria (e lo stesso Trumbull).
E avrà modo di dimostrare le sue capacità di investigatore, di innamorarsi e anche di scampare a più di un attentato alla sua vita. Fino all’imprevedibile epilogo della storia, che non rivelerò per non togliere il gusto della lettura agli amanti del genere.
In fondo, ci sono due modi, direi strutturali, in cui la dimensione del sogno entra in un romanzo. Il primo è intrinseco alla costruzione immaginaria dell’autore. Scrivere vuol dire creare un mondo fittizio in cui il lettore possa vivere la sua avventura senza rischiare nulla, salvo un più o meno intenso coinvolgimento emotivo. La dimensione del sogno a occhi aperti di cui si diceva.
Il secondo modo è fare del sogno una parte stessa della trama. E’ quello che fa Camilleri, per fare un esempio, quando molte delle storie del commissario Montalbano iniziano proprio con un sogno del protagonista (meglio, un incubo), per ingannare il lettore facendogli vivere una piccola emozione fuori posto. In quel caso il commissario a cui siamo affezionati può anche morire, e addirittura seguire il proprio funerale, e questo suscita in noi un tuffo al cuore, ma proprio per questo paradosso ci rendiamo subito conto che non può essere altro che un sogno. Per non parlare di quegli scrittori che addirittura ci fanno tutto il libro, salvo alla fine svegliarsi per dare un senso diverso, e spesso scioccante, alla trama. Ma rassicuratevi, in Triplo Delitto siamo solo nel primo caso. Con la variante che anche i personaggi hanno i loro sogni a guidarli.
Lord Trumbull, infatti, rincorre un sogno: far prevalere l’umanità, il progresso civile, uguali diritti in una società libera, ma il Fato scompaginerà tutte le sue carte e cambierà il suo destino. E lo stesso Acton, che sognava di fare del Regno di Napoli una grande potenza di livello continentale (di cui lui sarebbe stato primo ministro, beninteso) dovrà accettare infiniti compromessi fino al rovesciamento dei suoi ideali, finendo con i Borbone (ma questo va oltre il tempo del romanzo) a impersonare la reazione sanfedista e anti-illuminista della brutale repressione della Repubblica partenopea del 1799. Paradossi della Storia. Insomma, i sogni sono un mondo a parte, raramente si avverano, ma sono indispensabili alla nostra evoluzione.
E il sogno che un libro rappresenta, meglio, un romanzo storico, è una risorsa preziosa per il nostro benessere, non solo culturale, ma perfino fisico, se è vero come è vero che le emozioni ci procurano un piacere profondo e spesso, sconvolgente.