Il tema di questo numero dei Quaderni, mi ha riportato alla mente una canzone di Lucio Battisti “E penso a te” , di cui ho proposto una cover nel video scaricabile dal link a margine del testo. A questa canzone è associata nel video un’opera di Luigi Guerricchio (Senza titolo, 1972), che per me, materano a Milano, è un viaggio della memoria, un ritorno istantaneo a Matera e alle mie radici. Il tema della memoria, intesa nel suo senso primario di funzione psichica, è anche una bella opportunità per riflettere su un aspetto importante del mio lavoro, il legame fra percezione della musica e forma musicale. Poiché la musica è un’arte del tempo e un’arte nel tempo, la forma di un brano musicale non è ovviamente qualcosa che si possa afferrare tutta insieme, ma è invece un elemento che coincide con l’atto della percezione e con la sua durata; in questo è simile ad un puzzle, che si rivela completamente solo nel momento in cui si inserisce l’ultima tessera.
Tuttavia, si può avere la sensazione di una forma musicale soltanto nel momento del ritorno di un tema: senza la ripetizione, soprattutto senza la ripetizione dopo un’attesa, la musica sarebbe un flusso inarrestabile difficilmente inquadrabile, nel quale l’ascoltatore non troverebbe alcun appiglio. Eventi sonori che si susseguono sempre diversi fra loro producono una sensazione di disorientamento, esattamente come, all’opposto, la ripetizione ossessiva di un solo elemento musicale.
Il piacere dell’ascolto è invece associato in larga misura al piacere del riconoscimento, alla soddisfazione di ritrovare qualcosa di familiare anche in una musica che si ascolta per la prima volta. Attraverso la memoria, quindi, soprattutto nel caso di composizioni di vaste proporzioni, l’ascoltatore raccoglie e mette insieme i diversi elementi del brano musicale: in questo modo diventa un collaboratore del compositore nel processo di costruzione della forma. Possiamo dire che la bellezza della musica deriva molto dall’arte con cui il compositore riesce a giocare con le attese e i ritorni, a far coesistere variazione e ripetizione, alterità ed identità, senza dimenticare la giusta combinazione di sorpresa e prevedibilità. In quest’ultimo caso, sicuramente non c’è bisogno di convincere nessuno dell’importanza della sorpresa all’interno di un’opera che abbia dignità artistica. Mi sembra, quindi, più interessante parlare della prevedibilità, che potrebbe sembrare un difetto, qualcosa da cui un compositore dovrebbe stare alla larga, soprattutto nel caso della musica colta.
Al contrario, un certo grado di prevedibilità del discorso musicale può essere necessario per far respirare la musica, oltre ad essere gratificante per l’ascoltatore: questo è il motivo per cui le progressioni (che si hanno quando un identico disegno musicale viene ripetuto su gradi diversi della scala) provocano sempre una reazione di piacere in chi ascolta la musica. In quel momento, infatti, qualunque ascoltatore, magari senza nemmeno rendersene conto, si sente il compositore del brano che sta ascoltando, perché lo sta prevedendo; è in questi momenti felici che si ha l’istinto di canticchiare una melodia, anche se non la si conosce ancora. Potremmo dire che questo tipo di previsione sia il riconoscimento di qualcosa che non è ancora arrivato completamente. Anche questo, dunque, è memoria.