La memoria conta. Dal febbraio 2022 è in corso l’aggressione russa contro l’Ucrania. Non bisogna dimenticarlo, anche se le notizie del conflitto sempre più si scolorano nei media. Ma la memoria conta anche per chiedersi quali effetti ha avuto la reazione sul piano economico e finanziario delle democrazie occidentali, e cosa ci insegna la storia in merito.
In quei giorni del febbraio dello scorso anno i Paesi del G7 e la Commissione Europea varavano congiuntamente le sanzioni finanziarie alla Russia. La geopolitica entrava in maniera improvvisa e traumatica nel disegno della politica monetaria e finanziaria dell’Euro. E’possibile oggi tracciare un primo bilancio? Su questo punto, recenti dichiarazioni di plutocratici oligarchi dello Stato russo, volte a negare che le sanzioni abbiano avuto effetto, sembrano come minimo prematuri canti del gallo, quando l’aurora dalle dita rosee è lontana.
Il punto di partenza è inquadrare le scelte varate oltre un anno e mezzo fa, da taluni definite di “militarizzazione” della finanza europea, nel quadro più generale dell’uso delle sanzioni da parte dei Paesi avanzati.
Si scopre così che le sanzioni finanziarie contro la Russia non sono affatto una novità. Partendo dagli anni Cinquanta ed arrivando ai giorni nostri, si trova che l’uso delle sanzioni come strumento politico è stato utilizzato prevalentemente dai paesi nordamericani ed europei, nei confronti di quelli asiatici ed africani.
La motivazione ufficiale è stata sempre quella di promuovere la democrazia e difendere i diritti umani. Ma poi, disegno e realizzazione delle sanzioni finanziarie dipendono dall’analisi dei costi e dei benefici politici che caratterizza, momento per momento, il governo di ciascuno Paese che partecipa all’accordo sanzionatorio.
Le sanzioni hanno colpito sia le transazioni economiche che quelle finanziarie, passando dai 52 episodi degli anni Cinquanta alle 257 degli anni Dieci del terzo millennio. Inoltre è aumentata la tendenza ad infliggere sanzioni di natura finanziaria: rispetto al totale delle sanzioni, quelle finanziarie sono passate dal dodici percento dell’inizio del periodo considerato fino all’attuale quarantadue per cento.
Tornando alle sanzioni contro la Russia, decise dalle autorità politiche, sono state implementate dalle banche centrali dei Paesi del G7, BCE inclusa.
Quale è stato il loro effetto economico? La premessa fondamentale è che le sanzioni finanziarie sono un caso speciale di una più generale categoria di interventi, quella dei controlli sui capitali, che hanno una caratteristica: la loro efficacia tende ad essere inversamente correlata con l’orizzonte temporale. La ragione è semplice: più passa il tempo, più gli operatori ed i mercati individuano strategie per eludere i controlli.
E’ quello che è accaduto anche stavolta.
Il congelamento delle attività finanziarie russe all’estero ha provocato inizialmente – nella prima metà dello scorso anno – un accumulo di cento miliardi di dollari sia in Europa che negli Stati Uniti. In Europa l’aumento è stato particolarmente rilevante in Belgio, dove le attività finanziarie russe sono passate da in un anno da dieci a settanta miliardi di dollari. Negli Stati Uniti le stesse attività sono passate da quindici a quarantaquattro miliardi di dollari.
Progressivamente, però, sono aumentate le attività finanziarie russe nei Paesi non partecipanti all’embargo, per un fenomeno di apprendimento reciproco tra i residenti russi da un lato, e gli intermediari dei Paesi estranei dall’embargo dall’altro. Quindi, anche questa volta, le sanzioni mostrano di diventare obsolescenti, quando gli interessi particolari, economici e/o politici, sono in grado di minarne l’efficacia.
Ma attenzione: il fatto che le sanzioni perdano di efficacia non significa che non provochi danni in termini di efficienza: eludere i controlli è costoso, ed in più i costi possono avere un effetto cumulativo e carsico. Inoltre l’analisi economica insegna che l’esperienza accumulata può consentire una ricalibrazione delle sanzioni, in modo da rinnovarne l’efficacia.
Certo, vale sempre la solita condizione: che l’analisi dei costi e benefici politica ed istituzionale – ruolo delle banche centrali incluso – dei governi in carica in ciascun Paese indichi se e come sia opportuno farlo.
Lo stesso discorso vale per l’effetto che le sanzioni hanno finora avuto sulla appetibilità delle valute internazionali, in particolare del dollaro e dell’euro. Taluno lo scorso anno avanzò l’ipotesi che i rischi geopolitici avrebbero minato il ruolo dell’euro come moneta di riserva, a vantaggio magari della yuan cinese o della rupia indiana.
Uno studio della BCE ha empiricamente smentito questa ipotesi. Verrebbe da dire: chi temette, si rassereni; chi sperò, si rassegni.
Ma soprattutto occorre continuare a monitorare chi decide, cosa decide, e perché lo decide, ed analizzarlo scientificamente.
E mai dimenticare il dramma dei conflitti – il plurale non è causale – in corso. Perché, come è bello immaginare che sia la morale del botticelliano Pallade ed il Centauro, deve essere la ragione dall’orizzonte lungo, collettivo e pacifico ad avere la meglio.
Possibilmente nel più breve tempo possibile.