Incredibilmente, il recente caso del pogrom di Hamas del 7 ottobre è praticamente scomparso, soprattutto nelle rappresentazioni della sinistra, di fronte alla reazione dell’esercito israeliano, che, per quanto forse comunque eccessiva, costituisce un tipico caso di rebus storico. Per fare un esempio, chi si ricorda quando, per reagire ai bombardamenti nazisti delle città inglesi (a iniziare da Coventry), furono decisi sistematici bombardamenti di quasi tutte città tedesche (si veda W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione, Adelphi)?
Churchill giustificò quella decisione sostenendo che i bombardamenti servivano per terrorizzare i tedeschi, facendogli capire dal vivo che la guerra la stavano perdendo e che sarebbero stati occupati dagli Alleati. Tuttavia, non esiste massacro giusto anche se serve a scongiurare un massacro maggiore, niente lo può giustificare, soprattutto sul piano morale. Ma forse certe guerre, come quella del 1939-1945, vanno al di là dello scontro tra bene e male, anche perché ciascuna delle due parti crede di rappresentare il bene.
D’altra parte non si può mettere in secondo piano o persino tacere sul massacro compiuto da Hamas, tanto più che questi ha usato sistematicamente gli abitanti della striscia di Gaza come scudo umano. Le promotrici della gigantesca manifestazione romana contro i femminicidi hanno impedito che si facesse menzione della più grande stupro di massa dei nostri tempi (forse persino superiore a quello subito dalle donne Ucraine con l’occupazione militare del loro paese), ossia quello del 7 ottobre commesso dai terroristi di Hamas a danno delle donne d’Israele. La domanda capitale è: come è stato possibile assumere questa posizione di negazione?
Ecco, il punto è proprio questa duplice “amnesia”: da un lato la messa da parte della Shoah nonché i sistematici tentativi (sin dal 1948) di impedire a Israele di avere un proprio stato (che peraltro è l’unica democrazia esistente nel Medioriente; dall’altro, mettere da parte l’invasione dell’Ucraina fatta dall’autocrazia russa. Anzi, a proposito di quest’ultima, vanno ricordati le tesi assurde di chi (come Santoro) pretendeva (in Televisione) di dare ragione ai Russi sostenendo che era una risposta ai tentativi della NATO di destabilizzare la Russia, così riproponendo le stesse tesi di Putin che parlava di “denazificazione”.
Chi conosce un po’ di storia dell’URSS sa bene che dopo le stragi compiute da Stalin a seguito della collettivizzazione forzata della terra tra il 1930 e il 1933 (gli anni della prima pianificazione dell’economia), quando ci furono persino dei casi di antropofagia a causa delle ripetute carestie e delle deportazioni di massa nel Gulag, alcuni ucraini formarono dei battaglioni che appoggiarono l’invasione dell’Ucraina (allora una delle Repubbliche sovietiche) da parte delle truppe naziste che aveva invaso la Russia. Se si ignora questo contesto di oppressione sovietica e dei relativi milioni di morte intenzionalmente causati, è impossibile comprendere perché alcuni Ucraini reagirono alleandosi con i Tedeschi (anche se erano stati loro a invadere l’URSS, che però si era spartita la Polonia proprio con Nazisti).
A questo va aggiunto una cosa assai poco nota e cioè che molti dirigenti comunisti che si erano rifugiati a Mosca per fuggire all’oppressione nazista furono arrestati dai servizi segreti sovietici.
Alcuni sparirono e non se ne è saputo più nulla, altri ancora furono consegnati alla Gestapo e finirono nei campi di concentramento, spesso sospettati, da parte di prigionieri comunisti, di essere stati dei collaborazionisti di Hitler. Ecco cosa accade quando la dignità umana è trattata con cinico disprezzo. Specie quando dominavano le mitologie totalitarie dei primi del Novecento. Come ha detto la comunista tedesca Margarete Buber-Neumann, «una di queste dittature [quella Nazista] è stata distrutta e le sue vittime sono state salvate … L’altra [quella Sovietica] esiste ancora, e milioni di persone stanno ancora soffrendo nelle sue prigioni e nei suoi campi di concentramento» (Prigioniera di Stalin e Hitler, Il Mulino).
Quello che colpisce però veramente è che oggi vi siano numerose persone, sia in Europa sia in America (tra queste persino studenti delle più prestigiose Università statunitensi) che, dimenticando completamente non solo la Shoah ma le ripetute aggressioni da parte di paesi islamici a Israele, nonché gli attacchi terroristi (recenti e meno recenti), parteggino pubblicamente per i Palestinesi, compresa Hamas. Poiché non si tratta di dimostranti di destra, viene da pensare che si tratti di una sorta di buco nero della cultura della sinistra (a mio pare evidente in Italia, soprattutto nell’attuale gruppo dirigente del PD, ma cose simile sono accadute e accadono in Francia e in altri paesi dell’Occidente europeo). La mia ipotesi (e sottolineo ipotesi) è che i miti socialisti della seconda metà dell’Ottocento radicatasi nella sinistra nel secolo seguente, sino a tutti gli anni novanta, non siano stati mai veramente superati. Soprattutto negli ex partiti comunisti e nei sindacati, specialmente in Francia e in Italia dove c’era il più forte partito comunista dell’Occidente che alle elezione superava la somma di tutti i vari partiti socialisti italiani, arrivando a influenzare persino la cultura dei cattolici di sinistra, non a caso poi confluiti nel PdL-PD.
Precisando questa ipotesi, va ricordato che quando, tra 1989 e il 1992, l’Unione Sovietica collassò, il PCI (segretario Achille Occhetto) si limitò a sciogliersi, senza fare un congresso che si interrogasse come fosse stato possibile un simile collasso, unico nella storia (non solo contemporanea, soprattutto tenuto conto che, diversamente dall’Italia, l’Unione Sovietica era stata tra i vincitori del II conflitto mondiale). Vorrei rammentare che per trovare esempi analoghi nella storia dell’umanità bisogna risalire ai tempi delle società Maya, Azteca e Incaica, che risalivano a molti secoli prima che arrivassero i conquistatori Spagnoli (e Portoghesi) nelle Americhe centrali e meridionali. Tanto più che l’Unione Sovietica rappresentava un modello politico del tutto alternativo a quello “capitalistico” dell’Occidente, anche se proprio l’Occidente aveva inventato, insieme al capitalismo, la vera democrazia rappresentativa (la prima Rivoluzione Industriale avviene in Inghilterra verso la fine del 1700, mentre al 1689 risaliva il Bill of Rights giurato in parlamento dal Re Guglielmo d’Orange).
Proprio questo abbinamento del capitalismo con la democrazia (spesso sancita da un Costituzione) non può essere un caso, soprattutto se lo confrontiamo con i cosiddetti paesi a “socialismo reale”. Sappiamo che questi paesi non solo erano molto più poveri dell’Occidente, ma che soprattutto erano dominati da una vera propria “nuova casta”, costituita dagli alti funzionari del partito unico e dagli onnipresenti servizi segreti. Il fallimento economico era dovuto proprio alla pianificazione centralizzata, dove, come disse Gorbaciov, l’Ufficio Politico impiegava ore a stabile i prezzi persino delle calze di seta delle donne. Prezzi che erano altamente inadeguati a stabilirne il vero valore (e che importanti studiosi dell’URSS consideravano “prezzi spazzatura”). La pianificazione centralizzata non riusciva a incentivare una vera cooperazione tra i produttori, mentre i consumatori erano costretti ad affidarsi al mercato nero (se e quando avevano soldi).
Insomma, tra la popolazione era molto diffuso una specie di “terrore rosso”, nessuno si fidava, neppure dei parenti più stretti. Basti pensare che i servizi segreti della DDR (a loro volta controllati dal KGB) avevano infiltrati i quasi tutte le famiglie (e non a caso il muro di Berlino fu il primo a crollare già nel 1989).
Ma se “la futura vera umanità” del socialismo reale era sistematicamente basata sul terrore, perché gli ex Partiti Comunisti dell’Occidente, i cui dirigenti sapevano sicuramente del GULAG (Togliatti era un alto dirigente della Terza Internazionale con sede a Mosca), non si sono interrogati – come avrebbero dovuto – sui motivi di un tale clamoroso fallimento?
Che il “partito unico” avrebbe portato alla dittatura di una “casta” su tutta la popolazione avrebbe dovuto essere una questione di semplice buon senso, soprattutto dopo la più che decennale esperienza delle democrazie occidentali.
Così il “socialismo reale” è passato dall’idea che la democrazia garantiva “libertà solo formali” – come aveva sentenziato Marx – a un’efferata dittatura, non del “proletariato” ma di un partito che si considerava onnisciente e onnipotente. Ed è da lì che è spuntato fuori Putin, con l’esaltazione del vecchio passato zarista (questo sì imperialista: la Russia zarista si considerava la “Terza Roma” e, quando scoppiavano carestie, organizzava pogrom – non a caso un termine russo – contro i villaggi di russi ebrei). Non aver seriamente riflettuto su queste realtà storiche (si veda anche il caso della Cina di Xi Jinping) ha impedito alle sinistre dell’Occidente la critica radicale della loro vecchia cultura.
Basti pensare a quella sorta di chiodo fisso che associa sempre gli Americani all’Imperialismo, trascurando sempre di rammentare che se l’Europa occidentale ha avuto settanta anni di pace e libertà lo deve proprio all’America che è il vero pilastro della NATO. Questo vero buco nero nelle memorie della “mente collettiva” dell’Occidente è una delle ragioni importanti – io credo – che impedisce alle sinistre europee di superare una volta per tutte i vecchi miti utopici, con i loro luoghi comuni (come l’anti-americanismo compulsivo), e di assumere, finalmente, una cultura politica liberal-riformista, smettendo di rincorre il populismo e un generico quanto effimero movimentismo (chi si ricorda più delle “sardine”?). Per inciso, ricordo che l’Italia a tutt’oggi ha un PIL inferiore a quello che aveva nel 2007 e un debito pubblico che supera il 140% del PIL (arrivando a superare il 150%). Abbiamo un bisogno estremo di riforme incisive se non radicali, ma la nebbia delle vecchie ideologie continua ad offuscare la nostra memoria!