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uaderni de La Scaletta

Spesso la nostra unica verità è il giorno che comincia…

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Intervista a Giovanna Pirandello, Presidente della Fondazione Fausto Pirandello e moglie di Pierluigi, ultimo della prima generazione.

Liti amarezze solitudine angustia.
Comperato colori’.”

                                                                                                      Fausto Pirandello

 

Depositaria di memorie di Casa Pirandello, Giovanna Carlino Pirandello, in un giorno qualsiasi, di quelli che sembravano inghiottiti dal nulla della pandemia, scopre nel suo immenso archivio una serie di agende appartenenti a Fausto Pirandello, padre di suo marito Pierluigi, scomparso nel 2018. Non sono in ordine, mancano parecchie annate andate a finire chissà dove nella furia di non lasciare troppi indizi che riguardassero lui, l’ultimogenito del ‘monumento’ Luigi Pirandello.  La sua vita non fu clemente dal punto di vista familiare, generosa invece e unanime sul riconoscimento della sua opera pittorica percorsa da un iperrealismo brutale. Eppure il contenuto di queste agende è tuttavia illuminante più per quello che tacciono che per quello che dicono. Giovanna Pirandello, attuale Presidente della Fondazione  Fausto Pirandello, che in gioventù si laureò con una tesi su Svevo e Pirandello senza ancora conoscere nessuno della famiglia, mi accoglie ora nella casa dove vive, a via degli Scialoia e che appartenne a Fausto e sua moglie, Pompilia d’Aprile, ex modella di Anticoli Corrado.
La signora Giovanna Pirandello mi mostra questi scritti che sono diventati un libro delle Edizioni d’arte De Luca dal titolo Pirandello giorno per giorno a cura dello storico dell’arte Manuel Carrera. Aprendo a caso una piccola agendina in pelle,  leggo: ‘papà guida’, il giorno appresso, stessa grafia stesso messaggio e pure al terzo giorno la frase persiste, scritta a matita, in piccolo. In un’ agenda del ’65 leggo: ‘ liti a tutto veleno’. Il giorno del suo compleanno, il 17 giugno Fausto scrive: ‘Visita Lietta (n.d.r.la sorella) ; ‘fiori di Quaglia (n.d.r. il pittore Carlo, suo amico), di Stefano (n.d.r. il fratello) e di Pompilia’. Lascia una riga e poi aggiunge, con caratteri più nervosi ‘niente dai figli’ (neppure auguri o saluti non visti).
Complicato sopportare un cognome simile, complicato fare il pittore che cancella la bella forma del verosimile in nome del ‘brutto e deforme’; complicato vivere fin dal primo giorno quando, la madre, Antonietta Portolano alla sua nascita, dà il primo segno di follia e quando Fausto ne ha 19, viene ricoverata in una casa di cura, Villa Giuseppina, sulla Nomentana.  Diagnosi : ‘delirio paranoide’. Vi resterà fino alla sua morte, avvenuta nel 1959, lasciando una famiglia devastata dalla ‘colpa’ ( ‘La follia di mia moglie sono io, scrisse Luigi, il marito) e che non riuscirà mai più a ricomporsi in pace. I drammi continuarono e si riprodussero.

“L’umanità dipinta da Fausto –mi dice Giovanna Pirandello gettando lo sguardo sulle ampie finestre che danno sul Tevere – le sue donne, le sue bagnanti, i componenti della famiglia Pirandello, è senza appello, amara, come il sapore dei suoi giorni. Con Pierluigi era spesso distante. Suo papà si rinchiudeva nel suo studio a dipingere e finché non lasciava i pennelli, a tavola non si pranzava, né si cenava. Fin da giovane Fausto cominciò a dipingere sotto l’ombra incombente del padre, poi ebbe un sussulto di ribellione e volle distaccarsene. Andò in  Francia e venne a contatto con la pittura degli italiani di Parigi ( Mario Tozzi, De Chirico, Savinio, De Pisis, Paresce, Campigli e Severini). Quando nacque Pierluigi, -mio marito e suo figlio-  il 5 agosto del 1928, Fausto non comunicò l’evento al padre che la prese malissimo. Si convinse a riappacificarsi solo con la nascita del nipote, raddoppiando il suo sostegno in denaro per farlo studiare da papà. Diventare nonno scaldò il cuore a Luigi Pirandello. Tutto questo perché Fausto aveva osato sposare Pompilia D’Aprile che di giorno andava per campi ad Anticoli Corrado, suo paese natale, e il pomeriggio posava per artisti come Amleto Cataldi che le fece una scultura oggi istallata a Villa Borghese.  Era una donna dalle belle forme, come piaceva a lui e che si dimostrò una avveduta sua amministratrice. Ho ancora le sue tovaglie ricamate, gli oggetti che comperavamo assieme a mio marito per essere dipinti, i mobili che acquistavano o scambiavano con le tele di Fausto. Con la moglie dimostrava il suo affetto regalando gioielli, mentre s’intratteneva, amoreggiando, con cameriere e modelle nel suo studio… Ma le belle forme femminili cui pareva attratto si rivelavano dopo, sulla tela, in un cupo e solitario umore, in fantasmi al limite della ripugnanza visiva che è anche sinonimo della sua grandezza come pittore che seppe trasfigurare una umanità tanto dolente quanto viva e vera.’

Lei, che è vissuta nella stessa casa, ha  respirato la stessa atmosfera, fra oggetti, dipinti, ricordi, che idea s’è fatta del padre di suo marito?

“Aveva una sorta di aggressività, condita da introversione. Quando Pierluigi si laureò il padre Fausto si limitò a dirgli: ‘Era ora. Adesso siediti e mangia.’ Decise che il figlio dovesse diventare avvocato, e questo fu, contrariamente a quando desiderava  Pierluigi –fare il critico d’arte. Una volta ad una delle tante biennali a Venezia cui Fausto partecipò, vinse Afro, nel 1956. Erano appena approdati nella città lagunare quando mio suocero decise di tornare a Roma prima di disfare le valigie. Aveva alti e bassi continui. Mai festeggiava i compleanni del figlio, e il piccolo teatro che realizzammo qui, nell’appartamento, fu allestito da Pierluigi e me solo dopo la sua morte, perché nulla potesse competere con il ‘suo’ di teatro, nessun riferimento ‘parallelo’ anche se grande fu la gratitudine per l’eredità e dei diritti d’autore spalmati su tutta la famiglia per anni. Mi accorsi subito che Pierluigi non aveva goduto però di un affetto familiare stabile e mi assunsi benevolmente il compito di affiancarlo perché lo amavo. Eppure, padre e figlio si somigliavano.’

In che cosa?’

‘Intanto nella pittura condivisa nei primi anni  con lo stesso padre, poi nell’irrequietezza, nella gelosia, nel considerare l’abnegazione della donna come fatto naturale. Antonietta Portolano tormentò il marito Luigi Pirandello. Era gelosa delle sue allieve alla Facoltà di Magistero. Al contrario, Luigi, uomo dell’ottocento, le fu sempre fedele, nonostante le dicerie su Marta Abba: era giovane lei, e avrebbe dovuto sposarsi –sosteneva Luigi Pirandello.  Fausto era altrettanto geloso di Pompilia, come del resto lo fu Pierluigi con me. Entrambi mancavano di quella gestualità affettuosa che addolcisce le spigolature coniugali.’

Dopo la morte di Luigi Pirandello, nel 1936, Fausto si senti più ‘libero’?

‘Niente affatto.  Il grave lutto della perdita del padre sessantanovenne, fornì spunti pittorici melanconici anche nella riproduzione di oggetti materiali pregni di ricordo. Per quanto riguarda sua madre, Antonietta, il vuoto affettivo fu totale. Basta ad esempio analizzare il Mosè salvato: la madre con viso terreo guarda altrove e non ha braccia per suo figlio. La maggior parte dei suoi personaggi sembrano scampati per miracolo a qualche rappresaglia…tutto lascia presupporre che le ferite perdurarono nel tempo e nel suo segno pittorico.’

‘Qual’era il rapporto di Fausto con la scrittura?

‘Ha sempre scritto riflessioni sulla pittura e le ha anche pubblicate. Ce l’aveva nel sangue: tutti scrivevano a casa Pirandello tenendo però solo per se stessi quelli che io definirei  come gli assurdi quotidiani pirandelliani, fatta eccezione per queste agende che davvero fanno toccare con mano un interno assai faticoso, fatto di malumori, noia,litigi continui, discussioni sul denaro, poi con una certa nonchalance Fausto, sempre nelle agende che ci ha lasciato, passa da paradigmi filosofici e alambicchi –aveva una mente complicata- alla nota di semplici acquisti, come se non volesse del tutto farsi dominare dalla vita reale.’

Come e quando ha conosciuto Pierluigi?

‘Avevo studiato Pirandello. Quando venni a Roma seppi che esisteva una Casa Pirandello e desiderai, per curiosità, visitarla. Quando per la prima volta entrai mi sorpresi di non vedere l’opera di Fausto. Pierluigi l’aveva messa in salvo per timore di visite inopportune. Da quel momento cominciò l’invio di rose da parte di Perluigi, mi attrasse il suo garbo, finché un giorno mi chiese di sposarlo ma prima si assicurò che potessi sostenere il ‘peso’ del  cognome. Mi meravigliai perché pensavo che fosse un privilegio di cui poter andare solo fiera.

‘E non lo è, dopotutto?’

L’archivio è immenso e ancora da sistemare con i miei collaboratori Manuel Carrera e Andrea Iezzi;  la Fondazione da me presieduta tiene viva la memoria di Fausto Pirandello nel divulgare le sue opere; lo Stato finora non ha collaborato: insomma non resta che un enorme fardello e grandi responsabilità. Credo che Pierluigi, dopotutto, aveva ragione quando mi pose quella domanda alla quale posso rispondere: questa è stata ed è la mia vita.

Teresa Campi
(Giornalista e scrittrice)
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Fausto Pirandello nel suo studio, 1952
Donato da Pierluigi pirandello al centro Pompidou
“Interno di mattina”, 1931. Fausto Pirandello. Opera donata da Pierluigi Pirandello al Centro Pompidou di Parigi

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