Utilizzando un’espressione un po’ enfatica, posso affermare che abbiamo portato a compimento un sogno: l’edificio più prestigioso di nostra proprietà, il piano nobile di questo meraviglioso palazzo edificato nel 1576, dopo una radicale ristrutturazione e dopo aver assunto le destinazioni più disparate, assume una destinazione definitiva: è e sarà la Pinacoteca comunale “Francesco Netti”, un presidio di cultura nel cuore della città, che, insieme agli altri ambienti del palazzo, è luogo di bellezza, di arte, di storia, a disposizione non solo dei Santermani ma di tutti coloro che vorranno visitarla.
La nuova pinacoteca a lui dedicata sarà un stimolo per tutti i Santermani, per tutti i Cittadini del meridione, dell’Italia intera, affinché possano seguire il suo esempio, custodendo i natali come valore prezioso che ci consenta di essere genuinamente provinciali, ma, al contempo, generosamente aperti al mondo. Arte vuol dire superamento dei confini, arte vuol dire apertura, arte vuol dire accoglienza.
Netti era santermano, italiano, ma anche europeo: nei suoi quadri vi sono i colori dei campi murgiani, il sole luminoso del Sud, le architetture semplici di una città a vocazione contadina, ma, al contempo, la crisi di un uomo che perde la donna a lui più cara, rappresentata icasticamente dal vuoto.
“Le opere del passato sono come i fiori da cui le api traggono il nettare per fare il miele”, diceva Petrarca: in questa pinacoteca voglio immaginare, a partire da oggi, tante, tantissime, innumerevoli api, che quotidianamente vengono a trarre nettare per poi fare il miele.
Vincenzo Casone
( Sindaco di Santeramo)
Ritorno a Santeramo
Una mostra fortemente voluta, da amministratori e politici, da associazioni culturali e da tutti i cultori dell’arte di Francesco Netti, uno dei più illustri figli della cittadina della Murgia e, senza dubbio, il suo più importante artista, una poliedrica figura, com’era, di pittore, fotografo e critico d’arte, esponente di spicco della cultura meridionale del secondo Ottocento.
La mostra era tanto più desiderata in quanto la Pinacoteca Comunale di Santeramo in Colle, che porta il nome di Francesco Netti, non possiede nessuna sua opera. A superare questo gravoso problema, quest’anomalia, che tuttavia si spera possa risolversi nel futuro, è venuto in soccorso – e non è la prima volta – un noto collezionista pugliese, concedendo in prestito, con rara generosità e senso civico, la sua preziosa raccolta di quadri del pittore che, insieme con la bellissima collezione proveniente dal Polo Museale della Città di Conversano, forma il nucleo dell’esposizione.
I dipinti dell’artista, oggi di proprietà del Comune di Conversano, appartenevano tutti a Nicola Accolti Gil Vitale (1902–1987), noto germanista, imparentato con la famiglia Netti tramite una sorella del pittore, Rosa, sposata con Antonio Accolti Gil Vitale di Conversano.
La donazione dell’intera raccolta di Nicola Accolti Gil Vitale la dobbiamo però alla sensibilità e lungimiranza della moglie del professore, Signora Rosa Cecilia Pozzi, che dopo la morte del marito e in totale autonomia, ha voluto lasciare, nel 2007, i dieci dipinti di Netti e altri cinque quadri, al Comune di Conversano.
La mostra ha potuto contare anche sul prestito di alcuni dipinti della Pinacoteca barese, che ha voluto concedere solo qualche opera attualmente conservata in deposito, per non privarsi dei capolavori di Netti che caratterizzano la prestigiosa saletta dell’Ottocento, tra cui La lettura, La siesta, Nuda sul letto e la grande scena di vita contemporanea e di critica di costume, In Corte d’Assise, ispirata a un clamoroso processo dell’epoca svoltosi a Roma nel 1879.
Un caso a parte rappresenta la monumentale tela Sant’Efremo, proveniente originariamente dalla chiesetta campestre della Madonna della Pietà, ma in deposito presso la Pinacoteca Metropolitana di Bari dal lontano 1930, da dove ritorna oggi la prima volta a Santeramo. Mentre la ieratica figura del Santo siro si accosta, nella rigida posizione frontale seduto su un trono, a quella di San Giovanni del mosaico Apocalisse – Visione di San Giovanni sul frontone del Duomo di Amalfi, i cui cartoni sono stati realizzati da Domenico Morelli, il trono invece si rifà alla cattedra vescovile della Cattedrale di Canosa. Netti però non si limita a una semplice copia, ma propone alcuni interventi piuttosto drastici come l’eliminazione degli elefanti stilofori e delle cuspidi della spalliera. Interessante, tuttavia, è l’interesse dell’artista per l’arte medievale della sua regione e per l’arte antica in generale.
L’esposizione è divisa in alcune sezioni tematiche che grosso modo rispecchiano la diversificata produzione artistica del nostro autore.
Al primo periodo appartengono i due bozzetti per la grande tela Morte di San Giuseppe Calasanzio, eseguita da Netti su commissione per il collegio degli Scolopi di Napoli dove aveva compiuto gli studi classici. Ai primi anni della sua attività risalgono anche alcuni ritratti della numerosa famiglia Netti. La bella immagine della sorella Mariannina che suona il pianoforte è un ritratto tipico della donna della buona borghesia ottocentesca.
Il primo periodo di Francesco Netti, trascorso esclusivamente a Napoli, abbraccia gli anni dal 1859 al 1866, l’anno della sua partenza per Parigi. E’ un periodo intenso, caratterizzato da quadri impegnativi e innovativi, alcuni destinati alle Esposizioni della Promotrice napoletana.
Il dipinto più straordinario di quegli anni è, senza dubbio, la grande tela Dopo la festa, una scena di carnevale interrotta da un malore improvviso del Pierrot, adagiato su alcune sedie e pianto, quasi come un morto, dalla sua donna. La tematica del carnevale è piuttosto frequente nella produzione di Netti, che durante il soggiorno francese realizza anche due versioni del dopo veglione, caratterizzate da un tono scopertamente moralistico. E proprio ad un’asta parigina è stato battuto in questi giorni un quadro del nostro pittore di tale soggetto, La carnevalata dei cocchieri, miracolosamente – si fa per dire – arrivato a Santeramo, dove oggi lo possiamo ammirare in tutta la sua vivacità cromatica e ironia del racconto.
Gli anni trascorsi in Francia sono di fondamentale importanza per lo sviluppo artistico-culturale di Netti che qui, tra Parigi e Grez – un piccolo villaggio situato al margine della foresta di Fontainebleau – seguendo l’esempio dei fratelli Palizzi, Giuseppe e Filippo, si avvicina alla pittura dal vero scoprendo il fondamentale tema del paesaggio. Di pari passo con la pratica della pittura en plein air procede lo schiarimento della tavolozza, determinante in seguito anche per gli studi realizzati all’interno.
Come sappiamo dalle numerose lettere di Netti scritte alla famiglia, è stata la guerra franco-prussiana a porre fine al suo soggiorno parigino che, in condizioni politiche più tranquille, egli avrebbe volentieri prolungato. Ritornato a Napoli, la sua produzione artistica cambia radicalmente. Per alcuni anni, dal 1875 circa al 1880, sono le tematiche antiche al centro dei suoi interessi, sollecitati indubbiamente dai quasi quotidiani ritrovamenti archeologici degli scavi a Pompei e a Ercolano.
La ricerca del nostro artista si è concentrata per la maggior parte sull’ambizioso soggetto Coro antico che esce dal tempio, di cui esistono almeno quattro versioni con modifiche più o meno rilevanti. Ispirandosi liberamente a un noto fregio di una tomba della necropoli di Ruvo di Puglia e, per l’architettura, ai templi di Posidone e di Era (Basilica) di Paestum, Netti stesso commenta il suo particolare metodo di lavoro, mettendo in dubbio la verità storica dei quadri di soggetto antico.
I due dipinti presenti in mostra, Il citarista e Tempio di Apollo a Delfi, sono solo marginalmente connessi alla tematica del Coro antico che esce dal tempio, ma dimostrano chiaramente come l’artista, con la forza dell’immaginazione, si addentri nello spirito e nell’atmosfera del mondo antico.
Il viaggio in Oriente, un capitolo di primaria importanza nella vicenda artistica di Netti, è ben documentato nella rassegna santermana con la presenza di sei opere di primissima qualità. Il viaggio era stato reso possibile grazie all’invito di Giuseppe Caravita principe di Sirignano, a partecipare a una crociera nell’Oriente mediterraneo sul suo yacht “Rondine”. I viaggiatori si fermarono prima alcuni giorni ad Atene e successivamente approdarono a Therapia, un suggestivo luogo sul Bosforo. Finalmente Netti aveva potuto realizzare il sogno coltivato da tempo e osservare da vicino quel mondo orientale tanto decantato dai pittori dell’Ottocento, a partire da Eugène Delacroix.
Le impressioni dei luoghi visitati si concretizzano in un gruppo di disegni, di acquerelli e oli, di cui solo una piccola parte fu eseguita sul posto, fra questi alcuni luminosi acquerelli realizzati a Therapia, che hanno la freschezza e l’immediatezza dei soggetti presi dal vero. Il maggior numero dei quadri invece fu dipinto al ritorno di Netti a Napoli, nel suo studio a palazzo Capomazza all’Arco Mirelli, adibito a stanza orientale con i pregiati tappeti, le stoffe, i mobiletti e il narghilè acquistati in Turchia. Dello studio del pittore abbiamo una vivace descrizione del nipote acquisito, Giuseppe Protomastro, che si sofferma su molti oggetti che ritornano puntualmente nei dipinti, così in La siesta (1884, Pinacoteca Metropolitana di Bari), considerata una delle opere principali dell’artista, e nel quadro Odalisca, una composizione particolarmente preziosa, piuttosto insolita nella sua produzione. Il quadro si distingue anche per la raffinatezza cromatica che esalta la marmorea bellezza del corpo di donna avvolto da un’atmosfera palesemente erotica.
Molto delicata e intima la seconda versione de La siesta, di dimensioni più piccole e meno elaborata nei particolari, ma di fine fattura e di colori decisamente più brillanti di quelli del quadro della Pinacoteca barese. Un’opera collegata solo marginalmente all’esperienza del viaggio in Turchia, ma sempre da interpretare in relazione con La siesta, di cui sembra essere un particolare ingrandito, è la Ragazza assopita. Solo la tenda-tappeto accennata sullo sfondo ricorda ancora i soggetti orientali.
L’ultimo quadro della sezione, in ordine cronologico, Le ricamatrici levantine, preceduto da lunghi mesi di preparazione, è stato iniziato nel 1886, quando le impressioni visive del viaggio in Turchia si identificavano ormai quasi solo con i singoli oggetti orientali e portato a termine nel 1889-1890, quando l’interesse di Netti era rivolto già a tutt’altra tematica. Le ricamatrici levantine, insieme con le Donne turche che prendono il caffè (presentato nel 1887 a Venezia all’Esposizione Artistica Nazionale) sono le ultime opere del nostro artista ispirate al mondo orientale.
Una sezione di grande importanza per il concetto della mostra è dedicata ai soggetti santermani e al ciclo dei Mietitori. Negli ultimi anni di vita Francesco Netti si stava gradualmente riavvicinando alla terra nativa, una volta oggetto della sua spietata critica. La sua tarda produzione eccelle per l’attenzione rivolta al mondo rurale pugliese, al lavoro nei campi e al paesaggio austero della Murgia, mai preso finora in considerazione dai pittori, e che egli rievoca in tutta la sua bellezza e poesia nascosta. Già nel decennio Settanta, dopo il soggiorno francese e con una nuova sensibilità per la pittura en plein air, Netti aveva eseguito alcune vedute del suo luogo d’origine, qualche scena agreste e colto aspetti della vita in un villaggio. Il dipinto Angolo di Santeramo, un bellissimo esempio di questa nuova maniera, è caratterizzata da una pittura luminosa e da una inedita libertà stilistica che porta ad accennare le figure sulla strada – è stata identificata come via Sant’Eligio – con pochi tratti sfumati, come semplici ombre fugaci. Una ricerca più complessa si nota in Sul sagrato della chiesa, una composizione prospettica, ambientata sul piazzale della chiesa del Santissimo Crocifisso a Santeramo, in posizione elevata rispetto alla cittadina. Sia il sagrato con la balaustra sia la teoria di case che delimitano le due strade sono rimaste pressoché immutate dai tempi del pittore. Il fascino o la modernità del quadro deriva anche dalla voluta incompiutezza della composizione, un mezzo stilistico spesso e volentieri adottato dall’artista.
A un periodo precedente ai due dipinti esaminati sembra appartenere La convalescenza in cui, accanto alla figura di donna visibilmente sofferente, seduta in poltrona, il soggetto principale è la finestra che dischiude un’ampia veduta sui tetti di Santeramo, quasi un quadro nel quadro.
A partire dal 1890 Francesco Netti si dedica al grande tema dei Mietitori che lo avrebbe impegnato fino a pochi giorni prima della morte, avvenuta a Santeramo il 28 settembre 1894.
Con il ciclo dei Mietitori, il suo più alto messaggio artistico-umano, Netti risolve finalmente il dilemma della rappresentazione della realtà, rivolgendo per la prima volta nella sua produzione il suo interesse al tema del lavoro. La svolta viene provocata pure dall’uso della fotografia, che si pone come tramite diretto della realtà all’inizio della elaborazione dei dipinti. Proprio per questa inusuale compenetrazione di realtà e fantasia, l’artista riesce a creare un’armonia tra uomo e natura mai raggiunta prima nella sua opera. Anche il paesaggio della Murgia, brullo e sassoso sotto un sole implacabile, con i colori smorzati ma ricchi nelle gradazioni di verde e di marrone, è reso con una nuova sensibilità e verità.
In un gruppo di tre composizioni: Riposo in mietitura, Il pasto dei mietitori, La messe (Napoli, Galleria dell’Accademia di Belle Arti), viene elevato a protagonista il mietitore, in cui la critica ha voluto vedere una «figura emblematica di un nuovo sfruttamento e di una condizione disumana». Tuttavia l’intento dell’artista non è da interpretare come denuncia o critica sociale – non si dimentichi la sua appartenenza proprio alla borghesia fondiaria – bensì,più cautamente, come presa di coscienza nei riguardi delle condizioni dei lavoratori rurali.
La tela più straordinaria del ciclo, di dimensioni monumentali, unica nel suo genere nel panorama della pittura italiana, è La messe (1893-1894), rimasta incompiuta per la morte dell’autore, ma geniale per l’invenzione del mietitore in primo piano, a grandezza naturale, che beve avidamente da un secchio; una figura arcaica che sembra personificare la sete secolare della Puglia. Per quanto riguarda gli eventuali modelli iconografici del ciclo dei Mietitori, dobbiamo rivolgerci alla pittura francese, con esattezza a opere di Gustave Courbet e di Jean-François Millet, entrambi pittori ben noti al nostro artista.
Un caso diverso, ma particolarmente stimolante è quello di Vincent van Gogh che, all’incirca negli stessi anni in cui nasce il ciclo dei Mietitori di Francesco Netti, si è ripetutamente occupato della figura del mietitore, sia nella sua produzione grafica sia in quella pittorica. Nel 1889, quando era ricoverato nella clinica psichiatrica di Saint-Rémy-de-Provence, van Gogh aveva dipinto alcuni paesaggi con campi di grano inserendo in ognuno una piccola figura di mietitore che sembra perdersi nell’immenso mare di giallo accecante. Sentiamo l’artista stesso che in una delle innumerevoli lettere al fratello Theo (giovedì 5 e venerdì 6 settembre 1889) commenta uno dei quadri di questa serie con le seguenti parole toccanti: «Un faucheur (un mietitore); lo studio è tutto giallo, tremendamente pastoso, ma il soggetto è bello e semplice. Ho visto in quel mietitore, figura indefinita che lotta come un demonio nel pieno della calura per venire a capo del suo lavoro, vi ho visto l’immagine della morte, nel senso che l’umanità sarebbe il grano che viene falciato. Quindi, se vuoi, si contrappone al semeur (seminatore) che avevo tentato di dipingere prima. Ma in questa morte non c’è niente di triste, accade in piena luce, con un sole che inonda tutto di una luce d’oro fino.»
Ritornando nuovamente a Francesco Netti e all’originalità delle sue opere, è di indubbio interesse che anche nei giorni nostri l’opera dell’artista non smette di suscitare curiosità e consenso, se pensiamo alla singolare mostra Francesco Netti/ per un attimo fui nel mio/suo villaggio/ Francesco Arena, organizzata nel 2014, sempre a Santeramo alla Pinacoteca Comunale. Si trattava di un fitto dialogo, di un incontro alla pari dei due artisti e delle loro opere, solo apparentemente di epoche diverse.
Francesco Arena, nel suo breve contributo nel catalogo, chiarisce bene il concetto a lui caro, che tutta l’arte è stata e sarà sempre contemporanea.