Secondo la teoria del multiverso, diverse bolle di spazio hanno energie differenti e si espandono a velocità diverse: le galassie e i pianeti si formano solo nelle bolle più tranquille.
Ogni essere è attraversato da una luce serale che abbraccia ed è abbracciata al tempo stesso. Espero l’argenteo, salito sulle spalle di Atlante per ammirare gli astri da vicino, fu sorpreso da un uragano e scomparve senza lasciar traccia alcuna di sé. Il suo nome venne dato alla prima stella che, come una gioia del respiro, compare la sera per annunciare il tempo del riposo.
Brillare nell’istante, permanere nell’eterno; un artista si rivela pienamente nel momento della crisi, quando la sua volontà diventa sangue, sguardo, gesto. Arthur Rimbaud si rivelò a se stesso nel 1873, quando scelse di dimenticare in una tipografia di Bruxelles, 500 copie fresche di stampa de Una stagione all’inferno. Friedrich Hölderlin divenne poeta nel 1805, anno in cui fu dichiarato folle. La grande letteratura, la grande arte nasce lì, sulla soglia della svolta, tanto da indurre Franz Kafka a sostenere che l’artista è impegnato in una distruttiva costruzione del mondo.
Ogni grande artista o scrittore ha una sua Arzamas, la stazione di posta dove (nel 1869) Lev Tolstoj, in viaggio per trattare l’acquisto di un terreno, si sveglia di soprassalto nel cuore della notte, e assalito da “una tale angoscia, paura, orrore, come non avevo mai provati…”, scopre le terribili profondità dell’animo umano.
Eppure, oltre tutte le ombre e tutte le luci, e la coscienza della necessaria imperfezione della creazione stessa, resta sempre il sogno, che non chiede un senso se non la testimonianza del suo essere.
Un cuore che trionfa più forte di tutto non sapremo mai se è il bene, o invece l’abisso.
Se ammettiamo che l’arte sola vince il tempo, e che anzi sia l’arte stessa la misura del tempo, ammettiamo allo stesso modo che essa sia in realtà l’unica essenza, forma o energia che si interroga sui confini della propria esistenza e metta in discussione il tempo.
Il mondo contemporaneo è privo, rispetto al passato, (per via della mutazione antropologico-culturale determinata dalla rivoluzione mediatica e telecomunicativa) dell’ancora di salvezza rappresentata dalla dimensione religiosa; l’unico modo di guadagnare una consolazione alternativa è l’anomalia artistica (la sua forma è fuori da ogni convenzione narrativa, si muove fra il concreto e l’astratto, avanti e indietro nel tempo) che insegna una libertà pericolosa, di sua natura antisociale. In questa sua potenza l’arte non trasmette ma genera una realtà.
Nella Recherche, la concezione proustiana identifica nell’arte qualcosa di superiore alla vita, (alla bruta esperienza del mondo umano), sostenendo che la vita in sé non ha alcun significato, a meno che non gliene venga attribuito uno nel momento della creazione di un’opera d’arte. Una vita di riserva dunque, in cui si impara a fuggire dalle condizioni della realtà, per tornarvi con forza e farla prigioniera. L’arte agli occhi di Marcel Proust, rimarrà di certo, sempre più vera della stessa vita quotidiana.
Il percorso rettilineo di una particella nello spazio può essere inteso come la somma di tutti i suoi possibili cammini.
In una goccia d’acqua vi è il mare, ma il mare forse, è altra cosa rispetto alla somma di un’infinità di gocce. L’esaltazione dei sensi conserva sempre un’energia indefinibile e salvifica, uno sgorgo in cui il fiume della memoria rilancia il futuro. Nessuna opera d’arte del passato (per poter sopravvivere un attimo in più alla corruzione) giunge a noi tale e quale era in origine. Essa non può che arrivarci come un fossile incrostato di sedimenti collezionati nel tempo. Ogni epoca che l’ha custodita per tramandarla, vi ha lasciato, inciso, un proprio segno.
Alcuni artisti, come Kurt Schwitters con il suo Merzbau, o Kazimir Severinovič Malevič e il Suprematismo, si sono avvicinati all’arte totale, una specie di reinvenzione della vita.
Per Vincent Van Gogh (il fallito più celebre della storia dell’arte…), la vita era una piaga e l’arte il suo lenitivo; dipingeva per il fuoco, preparava la venuta dei pittori del futuro avventurandosi nell’avvenire, consapevole che creare era più originario che conoscere, più abissale del comprendere, più definitivo dell’agire.
“Bisogna strappare la gioia ai giorni futuri” urlava W. Majakovskij, ultimo di quei poeti perduti nella loro stessa ardente libertà. E in quale luogo allora, se non l’abisso, potremo infine ritrovare coloro che diedero il nome alle stelle?
Persino in sogno i fiori cadono
L’ arte in quanto espressione misteriosa del mondo ( che resiste anche alle terapie d’urto dei mass media e dei social networks ) incarna nel modo più profondo l’essenza ultima del cuore umano, trovare pace dal suo sogno di eternità. Anche se la nostra anima forse si dissolverà col nostro corpo, anche se non abbiamo altro che questo breve tempo in cui ci è dato di fiorire e morire, lotteremo sempre per superare la vita, per vincerla.
Ogni opera d’arte che sia realmente tale tende a un’origine, che è la necessità che la determina e la sua stessa ragion d’essere. In questa origine l’opera è in assenza del suo creatore. O meglio: in essa vive una scissione. Colui che crea, seguendo quell’origine, è entrato in uno spazio in cui infinitamente muore. Creare è come scomparire.
L’epica magia di Maradona che, partendo da centrocampo, s’invola verso la porta avversaria saltando tutti i giocatori inglesi è in fondo a ben pensarci, un miracolo più esaltante di tutta l’intera saga di J. R. R. Tolkien. Non resterà di lui null’altro di così sublime: in quel gesto tutta la sua storia scomparirà. Come un novello Orfeo che si volge (disobbedendo!) a guardare Euridice senza preoccuparsi del canto, con tutta l’impazienza e l’imprudenza di un desiderio tale da dimenticare ogni forma di legge o limite umano. Per definire in pochi istanti, la sola regola del genio.
“Nella luce pura si vede altrettanto poco, quanto nelle pure tenebre”
Georg Wilhelm Friedrich Hegel