Nessun viaggiatore ascolterà mai l’allodola cantare nei campi
di Verona senza ricordare Shakespeare.”
François-René de Chateaubriand
“Memorie d’oltretomba”
Nella moderna scienza i più recenti esperimenti supportano l’ipotesi che i ricordi siano rappresentati e conservati nel nostro cervello come insiemi particolari di neuroni che si connettono fra loro formando delle mappe in occasione dell’esposizione all’evento che ricordiamo.
Ma è dall’immaginazione che nasce ogni opera dell’uomo, ogni arte, ogni sapere e perfino ogni oggetto. Se non lo immagini, non puoi fabbricarla. Senza fantasia saremmo privi di passato e di futuro, il ricordo è fantasia, e la fantasia è il progetto. Dall’immaginazione deriva il moto dei pensieri e dei sentimenti, le ragioni di vita, le speranze.
Lo strumento primo di conoscenza di se stessi e della realtà è strettamente connesso al fato (da qui fatale), un fato però che non si sottrae mai alla logica, anzi, si materializza proprio a partire dalla logica. Anche la filosofia nasce da un fatto naturale, nel senso di insito alla natura umana, cioè qualcosa da cui è impossibile prescindere, di fatale, appunto.
La Poesia è il linguaggio originario dell’umanità, un vero e proprio ‘organo metafisico’, come lo definiva Friedrich Schelling (il filosofo tedesco, tra i grandi esponenti dell’idealismo tedesco) capace di rivelarci l’Assoluto. Essa non esprime che se stessa, è autosignificante, e la ricerca di spiegazioni esterne a una categoria che si fonda invece sulla propria ben precisa autonomia spirituale non è che un modo di sviare dal suo sentiero originario.
La poesia deve essere limpida e infinitamente ansiosa, come il cielo.
Non l’immagine del bosco ma la selva oscura, non uno stormo d’uccelli ma l’Usignolo
Fino al secolo scorso, le scelte dell’artista erano condizionate dalla propria ricerca spirituale. L’arte era una conseguenza, e la conseguenza una lotta. Per l’artista la tecnica era alchemica e il gesto artistico ( in virtù di ciò che evocava in chi osservava, leggeva, praticava) pura magia. L’arte si configurava allora come regola, per esulare dall’ordine imposto, burocratico, dando una nuova misura al tempo (l’arte ridona una liturgia all’io, senza scadere nel religioso); per uscire dal canonizzato (il singolo si esige perché parte di un gruppo di pari, dove ciascuno conosce il segreto dell’altro) restando nell’orbita del canto. Proprio in virtù della regola l’artista era il grande irregolare, inadempiente a ogni nomenclatura: egli obbediva al vero, al proprio, che non si ripete e non si condiziona.
Conclusa quella stagione, una larga parte dell’arte prodotta dai primi anni del Novecento ad oggi non può essere più misurata soltanto sul piano estetico, e il messaggio che essa esprime diventa un fondamentale criterio di valutazione, forse il prioritario, ed è per tale motivo che molta arte contemporanea è considerata brutta, o in altre parole, può essere dispensata dall’ essere bella.
Nelle Demoiselles d’Avignon (1907) di Pablo Picasso, una classica scena di nudo con donne al bagno si trasferisce nella crudezza e nell’ambivalenza di un bordello, stravolgendo non solo i cardini simbolici della pittura, ma anche i corpi stessi, ingranditi nei dettagli, dal naso alle braccia alle natiche. “La verità non può esistere, perché se la cerco nelle mie tele, posso trovarne cento e dovrò chiedermi: qual è quella vera?” era il principio a cui il genio spagnolo rimase sempre fedele.
Il poeta francese Benjamin Péret, il 7 marzo del 1929 firma un proclama: Ce que c’est que le surréalisme. Al primo punto si legge:“Il surrealismo è contro l’arte, dacché l’arte suppone compromessi di ogni sorta e si oppone alla sincerità totale, la sola cosa che noi dobbiamo esigere”.
Nei celebri dripping di Jackson Pollock il successo risiede non solo nell’intelligenza e nella novità della modalità di esecuzione, ma pure nella straordinaria capacità di cogliere, nell’apparente caos, armonia e proporzione. E analogo discorso può valere per gli altrettanto celebri tagli di Lucio Fontana attraverso i quali l’artista rivelava le vere relazioni dell’arte con la vita e della vita con l’arte.
Attraversati unicamente da un vento irriconoscibile ed eterno
Gli astronomi pensano che galassie massicce come la nostra si siano formate assemblando galassie più piccole, stelle forestiere che provengono da altri sistemi, muovendosi in modo diverso.
Bisognerebbe guardare da lontano. La lontananza garantisce il punto focale migliore, è il filtro della memoria, e presiede ai trapassi di immagini. Come in un viaggio a ritroso, fatto di strenue risalite verso il punto remoto in cui cose e parole tornano ciò che furono, perfettamente familiari e colme di senso. Ciò che è ignoto non si rivelerà così, necessariamente estraneo, ma potrà diventarlo ciò che è noto.
Sulla soglia della scienza ultramoderna, del dubbio metodico, il nostro tempo architetta un linguaggio nuovo per conquistare l’invisibile che va sparendo. Quando ogni cosa diventava soggetta a esperimento, i poeti ci ricordano che la vida es sueño. Che il sogno è un segno, nell’ estrema ricerca di una parola che attecchisca, che non dica né riproduca le cose, ma le trasformi. Che dubitare di tutto e di se stessi (che siamo forza e resa) eleva.
Vi furono artisti che non si accontentarono della luce del sole ma si abbandonarono al destino delle comete, lasciando nel buio, come traccia, un barlume di bellezza (davvero il tempo abbraccia qualcosa di superiore a ciò che siamo in grado di sognare e di essere?).
El Greco (pseudonimo di Domínikos Theotokópoulos, pittore, scultore e architetto greco) fu un artista visionario, il cuore annodato di nubi. Assetato di sacralità, bisognoso di grandezza, di vastità d’animo e di vita. Con la sua pittura sconvolse le menti, le chiese si popolarono di incubi religiosi. La bellezza intangibile dei personaggi divini si sforma, si corrompe, ad ammonire le genti che il loro malcostume portava alla perdita di quella bellezza sublime; come l’ultimo giro di una farfalla che rotola intorno a un filo d’aria.
Le memorie: come ricavare il tempo dai dorati fili del sole
La vera influenza che esercitano i libri è più profonda di quanto si immagini e riguarda il senso della vita e le sue memorie, come il cielo che canta ogni nervo del prato e del bosco e il sole che soffia nel vento. Ma essa non traspare, se non a livello filosofico.
Una monumentale opera di François-René de Chateaubriand “Memorie d’oltretomba” (pubblicata in 12 volumi tra il 1849 e il 1850 a Parigi da Penaud Frères) ebbe il potere di influenzare non solo il romanticismo francese, di cui fu unanimemente considerato il caposcuola, ma l’intera letteratura francese, da Marcel Proust a Jean-Paul Sartre fino a Louis-Ferdinand Céline, che in fuga a Baden-Baden prima dell’esilio in Danimarca chiese a Karl Epting se fosse possibile fargli recapitare proprio le Memorie d’oltretomba.