Nel greto del mito, il diapason della storia.
(I 100 anni di Rocco Scotellaro: 1923/2023)
“In Italia è difficile essere liberati, perché tutti più o meno detenuti per la causa della libertà” Rocco Scotellaro
Rocco Scotellaro il battitore libero della modernità, la pulce rossa, l’orologio di Basilicata. Un’autentica personalità apocalittica, rivelazione dell’umano, dello spirito di un’epoca: la modernità. L’ultima alba degli avi, dei padri, della mitologia arcaica, sacra e radiosa, assimilazione di quel tramonto dell’Occidente che ha estinto con sé tessiture feudali, baronali, monarchiche, tramonto definitivo del mito del progresso. Il poeta sindaco, attivista politico e narratore, antifascista e arguto cronista fu una eclissi antropologica, tra bivi, crisi esistenziali, una leggenda epica, prodigio di attitudini e strumenti umani, stimato ed osannato dai più grandi intellettuali e artisti del XX secolo. L’avventuroso ragazzo Lucano dal carattere volitivo, fu scomodo, audace paladino della concretezza, tradusse tutto in prossimo in prossimità, nel suo breve viaggio terreno fu una rarità, una unicità, una imprevedibile personalità, un percorso autonomo; sempre sulle tracce di un significato dell’amore, tra impegno civile, dedizione sociale, proteso al compimento di sé, lontano dai cliché, dalle élite intellettuali dell’epoca. Al culmine della giovinezza è beffato dalla morte, presenza costante evocata nei suoi scritti, contraltare di una abbacinante luce intellettuale, nel momento del decollo professionale- un progetto di vita e professionale mai portato a termine- fu stroncato da un infarto, morì a 30 anni, solo, lontano dalla sua Tricarico, in una stanza in affitto a Portici, strappato all’affetto di tutti i suoi più cari affetti ed estimatori. L’Alba sempre nuova è l’impronta inesauribile della sua vita.
È fatto giorno. Svegliarsi con un desiderio. Una novità interiore, la possibilità di un nuovo giorno. Rocco Scotellaro è una personalità viva, iniziatica, è una di quelle voci assolute che ancora ci parlano, ci riguardano. E noi dobbiamo lasciare che parli, che ci viva, ci sveli la sua radice: dai secolari patimenti dei padri lucani alle sofferte risonanze postume della sua breve vita.
La radice è l’essere, strappata quella, smettiamo di esistere. Un mondo pericolante, sul crinale dei tempi e della storia ci attende al varco.
Nel 2023 siamo al bivio, a quel bivio esistenziale approdò spesso anche Rocco Scotellaro, nel dubbio amletico di essere o non essere: vita o morte, tombe e case, eros e thanatos, antichità e modernità, paese e città, guerra e pace? Ma soprattutto dentro o fuori la storia!? Una rivoluzione antropologica sempre rimandata ci impone una presa di coscienza apocalittica, la rivelazione di Nietzsche sentenziò così nel frammento 119 negli scritti postumi di un progetto, La volontà di potenza: “Descrivo quello che avverrà: l’avvento del nichilismo.
Quella che racconto è la storia dei prossimi due secoli”. Sono trascorsi 100 anni dalla nascita e 70 dalla morte. Scotellaro è stata la grande occasione persa, una figura di intellettuale atipica, considerata nuovissima, dopo la prematura morte s’innescò il mito, l’incasellamento neorealista, la scarpa stretta del partito di massa della sinistra.
Ma Scotellaro è morto o è nato nel 1953? Siamo nel greto del mito.
Al bivio: l’uomo o il mito? L’opera o la vita. La democrazia o la dittatura? Incagliati come siamo nel perenne campo minato dell’oligarchia, del “governo di pochi” che mette a repentaglio la vita di tutti con minacce nucleari, possiamo tranquillamente affermare che la figura umana e di intellettuale di Scotellaro è una delle chiavi interpretative dell’oggi, è alquanto opportuno e indispensabile la determinatezza con cui ha espresso pensiero e postura. Oggi come ieri i potenti della terra, esprimono il grande paradosso: l’unico modo per garantire la pace è fare la guerra, una pace armata eredità delle due grandi guerre mondiali; instaurare regimi di paura per sottomettere le masse, omologate culturalmente, conformiste, e convogliate nel pensiero unico dominante, idolatre di consumismo e surrogati chimici. Insomma le trappole della globalizzazione e del capitalismo, della rete e dell’intelligenza artificiale ci hanno esposti a: stagnazione e recessione, esaltazione della violenza, crudeltà per futili motivi, banalità del male e disumanizzazione.
Creare instabilità per morigerare il mondo, questo è l’intento della geopolitica mondiale. Questo è il mondo che ci ritroviamo, di questo siamo stati capaci, questo è il mondo che meritiamo? Anche la natura sembra volersi disfare di quella presenza scomoda che è l’uomo.
Ma quale modello di uomo. Quale umanità viviamo quotidianamente? Ecco perché Scotellaro può essere il chiavistello della storia. In soli 30 anni di vita e 10 di attivismo, inaugurò una nuova umanità, fu la rivelazione dell’umano, indicò un’alba nuova, ma ci avvertì che nonostante il perire dei tempi, ci saremmo trovati davanti a un bivio. Il sole sorgerà ancora e altri uomini sarebbero stati pronti a incarnare la luce, l’alba sarebbe stata sempre nuova, ma farsi luce nell’oscurità della caverna platonica, fra ombre e lacerazioni; non sarebbe stata una passeggiata uscire dalla notte dei tempi. Il costo di tale sacrificio fu la vita stessa. La vita o l’arte? Per quanto il vivere cosciente sembri una grossolana utilità in questa società, avendo raggiunto ormai da tempo il punto più basso e miserevole, non possiamo fare finta di non capire i rischi che l’umanità sta correndo, anestetizzata e assuefatta a una condizione umana di insostenibilità cronica.
Le invenzioni della bonaria falsa coscienza che indusse a dire puerilmente, durante la dittatura sanitaria e finanziaria: andrà tutto bene. Andò tutto peggio invece. La constatazione di fatto è la disumanizzazione totale e incontrovertibile di una società occidentale non in grado di mutare di una virgola dal suo intento macabro, una strategia del male- l’immunità di gregge e le morti degli anziani nelle case di cura lo hanno dimostrato- neanche di fronte a una catastrofe epidemiologica come quella della sars-covid 19. Siamo riusciti a fare ancora peggio della grande seduzione al nulla, appunto del nichilismo. Ad ogni apice di progresso incombe la grande ombra di regresso che getta il mondo nell’autodistruzione. Secondo le previsioni di Friedrich ne abbiamo ancora fino al 2100. Il XXI secolo doveva scrollarsi di dosso il 900, l’epoca dell’ansia, della psicanalisi dell’esistenzialismo, invece ha inaugurato un nuovo medio-EVO, un medioevo più cruento, un medio-EGO. Siamo agli antipodi tra barbaria e progresso, sviluppo e macerie, intelligenza artificiale e analfabetismo spirituale, dove l’intelletto non sembra più il serbatoio di sperma vitale ma il luogo regressivo allo stato di bestialità mai vista prima; l’empatia, l’intelligenza emotiva risultarono scorciatoie dell’io morto, come d’altronde la resilienza e l’inclusività.
Certo dai Sumeri ad oggi le società sono state indaffarate solo a innescare guerre, l’unico scopo dell’uomo sarebbe stato quello di estinguersi. Farsi a pezzi. Farsi contenuto di un contenitore. Omologazione culturale. Annullamento delle identità. Quale migliore definizione di Zygmunt Bauman quando intravide nella definizione di società liquida: la concezione sociologica che considera l’esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo così rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile.
Il simpatico e arguto Bauman ci ha lasciati a gennaio 2017. Invece, di questa ipersonica velocità di cambiamento, combutta dell’uomo verso l’umano, mi chiedo se forse questa fluidità liquida non si è evaporata, rendendo la nostra società gassosa, quasi aria, inquinamento che respiriamo nel modo più fatale e mortale. Tra i postumi eventi a questo clima glaciale delle coscienze, post pandemico, dove l’intero sistema geopolitico ha condotto l’umanità in rovina in nome di un bene che nessuno ha capito quale fosse- il covid è stato un genocidio, una guerra condotta nel cuore della gente, la dittatura sanitaria che ha fatto più morti di quanti ne prevedesse il buon senso, rivelando i vaccini come panacea delle paure umane, in certi casi la mascherina simbolo dell’imbavagliamento dell’uomo senza qualità- si inseriscono occasioni di studio e orizzonti di comprensione ghiotti di riflessioni come i centenari letterari. La pandemia ha prodotto un sonnifero, un distanziamento delle relazioni, così potente da renderci ancora oggi storditi.
La nostra società è perennemente in crisi. Tra le crisi, nel polverone, c’è stata l’ascesa delle destre al potere, cambio di governi, elezioni del Presidente. Gran parte del merito lo dobbiamo alle sinistre e alle ipertrofie sociali, una su tutte: l’astensionismo, il disinteresse totale alla politica con conseguente scollamento della società civile al dibattito del proprio destino. Per l’analisi di questi aspetti sarebbe opportuno chiamarli in causa questi centenari, oltre Rocco Scotellaro, abbiamo: Italo Calvino e Cristina Campo e Yves Bonnefoy e il premio Nobel Wislawa Szymborska. Rocco Scotellaro ha vissuto sulla sua pelle sia il potere totalitario che la dittatura ideologica, ma non gli furono ignare quelle capitalistiche della tecnica della globalizzazione e dell’avvento di internet. A 23 anni il ragazzo di Tricarico ha deciso di immolarsi per la causa del suo popolo oppresso e uscire dalla prevaricazione, dalla miseria e della dittatura fascista, avvalendosi di due strumenti per l’epoca sconosciuti: la democrazia e la libertà, ma soprattutto una strenua battaglia per la dignità. Quindi quale occasione propizia per parlarne in occasione del centenario dalla nascita: Tricarico 19 aprile 1923. Soprassedendo alle questioni rancide, obsolete e campali certo non possiamo che chiederci : Rocco Scotellaro è morto nel 1953 o è nato nel 1953? E soprattutto dove è finito? Il mito è sopravvissuto all’opera. Ma l’opera e l’autore si sono incagliati nella retorica e nella demagogia. Sfatiamo subito delle fake news: Rocco Scotellaro non è mai stato un contadino; tantomeno un intellettuale contadino. Sicuramente lo è stato per immedesimazione, radice e lessico. Fu l’eden, l’arca della civiltà contadina, la zattera della medusa dell’artista. Rocco Scotellaro non è uno scrittore dialettale. Rocco Scotellaro non è un feticcio folcloristico. Non è stato un ventriloquio semmai un megafono. Scrolliamogli di dosso tutte le croste del meridionalismo, del neorealismo e dello scialle di morte del passato.
Il dialetto è peculiarità, espressione incarnata della magia e del sacro. Questo lo sapeva benissimo Rocco. La lingua italiana talvolta mera ipocrisia e menzogna, poesia borghese, fu espressione di lontananze delle élite, dalle culture e le peculiarità regionali. La popolazione Lucana era muta, fu mutante, visse nell’immobilismo, fu rapsodia, pietrificata nei borghi, fu diaspora e viatico, con gli animali nel presepe; espresse con Rocco un nuovo carattere ereditario. Questa è l’iconografia che si è data. Che si è voluta dare.
Quanti anni ci sono voluti perché l’opera di Scotellaro acquisisse un diritto sacrosanto di legittimità interno al corpo della sua opera/vita. Salvo in rarissime eccezioni, da circa 50 anni si è andati avanti tra appassionate apologie e avvincenti svalutazioni. Quella che per molti fu “ingerenza di Levi” oggi possiamo certo definirla protezione affettiva.
E meno male. Una visione marginale del popolo Lucano nel contesto italiano è quello che molti si sono augurati, in questo modo avrebbero imbavagliato anche la pulce rossa; peccato che nelle parole di Calvino, Montale, Sciascia, Mazzarone e Doria possiamo riscontrare gli unici germi di verità attendibile sulla sua notoria vitalità esplosiva, un fauno rosso con falce e libro sotto il braccio; non per altro hanno attinto direttamente dalla fonte. Ovviamente sua madre Francesca Armento nutrice e tutrice di suo figlio. Il mito Scotellaro non lasciò indifferenti le platee ma ne limitò la comprensione e ridusse gli entusiasmi a campanilismi provinciali, a rivendicazioni sindacali e di parti politiche a seconda degli andamenti dei Governi. Scotellaro resta un uomo con doti e strumenti umani rari, un poeta scomodo, fu la discontinuità, l’irregolarità, l’eccezione, nel bel mezzo di una natura indifferente e uno stato estraneo: le sue tantissime potenzialità e possibilità sono rimaste inespresse, per ragioni meramente strumentali e speculative di una critica spesso autoreferenziale: si parla di Scotellaro ma quasi mai Scotellaro viene chiamato in causa.
E’ il rimosso. La sovrapposizione di troppi registri semantici, ossidati, contribuirono più alla svalutazione che alle effettive prospettive di conoscenza di Scotellaro poeta. Figura di una complessità e organicità endemici. Diciamo pure che la narrazione ha prediletto la biografia, la vita all’opera. La vita è l’opera. Scotellaro è la fusione imprescindibile di vita e opera, l’opera è il corpo, il corpo della vita, incarnazione del suo spirito. Scotellaro non è un poeta. Scotellaro è la poesia. Scotellaro ha sacrificato l’intera sua vita per il prossimo, la prossimità, fu l’io in formazione e strumento di azione degli altri.
Si è immolato sulla croce per portare fuori dall’Egitto il suo popolo dopo secoli di oppressione. La cultura italiana diceva Papini, è povera di poeti maledetti “sarebbe stata contenta di averne uno” a portata di mano riferendosi a Dino Campana. Altro camminatore, suola di vento eccelsa. Quegli indigeni puri di cuore e cercatori di verità e sogno, che tanto stanno sullo stomaco a critici e militanti politici che non essendo poeti anch’essi né intellettuali di pensiero, né filosofi, savi, sapienti, ma docenti universitari asfittici, sfiorano a malapena gli attriti segreti, le detonazioni che un’esegesi accurata, comporterebbe, meriterebbe; o quei politici che cercarono di ridimensionare la pulce rossa a un contesto localistico in via d’estinzione. Vedere i boicottaggi ricevuti addirittura dalla stessa città natia, Tricarico.
La “critica” si è sottomessa a quel bizzarro modo di fare di separare la vita dall’opera nettamente, dopo le dovute corrispondenze con le circostanze biografiche si doveva evitare di creare due schieramenti: la parte mitizzata la parte umanistica, letterata per intenderci. L’oggettività è l’humus. Purtroppo a farne le spese è stata l’opera dal punto di vista sia commerciale che mediatico e divulgativo. Abbiamo condotto una piccola inchiesta in varie librerie italiane sulla gestione editoriale dei centenari letterari italiani, nascita e morte degli autori più o meno osannati a seconda degli umori della storia. Scotellaro non è richiesto, c’è poca disponibilità, non si vende. Non si trova.
È sconosciuto persino agli addetti ai lavori, è scomparso persino dal contesto localistico di appartenenza. In una libreria su 10 è reperibile una copia del tomo. Ma tutto il resto è fuori catalogo, esaurito o non disponibile. Sola Laterza di Bari possedeva 3 tomi Mondadori e la nuova edizione economica delle prose: I contadini del sud, l’uva puttanella. Il marketing editoriale su certi autori andrebbe ripensato, rimodulato a partire dalle istituzioni scolastiche e dai nuovi media. Ma soprattutto lo sfacelo totale sono state a detta di molti le iniziative culturali intorno ad essi, spesso antiquate, prive di contemporaneità, di attualità: tarantelle, folklore, clamore per quei sentimenti per mere sagre di paese.
Basti pensare che spesso i relatori delle tavole rotonde, dei convegni, sono in mano a operatori ultra settantenni come le loro platee. Un’associazione culturale materana di ragazzi ha tuonato: “Rocco lo hanno fatto morire negli anni 80. Oggi se nessuno rappresenta la Basilicata è grazie a loro”. Queste sono le conseguenze delle derive, quegli antichi parapetti da abbattere, i parnassiani che tanto facevano ribrezzo ad Arthur Rimbaud. Molto peggiori di quei pregiudizi e diffidenze radicate intorno a certi autori. Molti autori opposti alla cultura dominante delle loro epoche non si propongono perché considerati evidentemente pericolosi, hanno una loro scomodità, sono provvisti di coscienza civile. Ecco le nicchie dove ognuno si reca all’urna ad adorare il santino. Ironia? No! Alla morte improvvisa di Rocco Scotellaro a soli 30 il suo popolo reagì con incredulità, il poeta della libertà umana e civile, la sua messianicità, la sua cristologica fine, la sua immagine stampata in 1000 esemplari fu affissa in tutte le case, in riconoscenza delle sue lotte per le classi meno abbienti vissute per secoli in miseria e discriminate da monarchi, baroni e latifondisti.
Gli unici interpreti autorevoli e pertinenti restano quelli che con passione hanno parlato di Rocco Scotellaro non solo con cognizione di causa, avendolo conosciuto in vita, ma con grande oggettività e passione, hanno scritto parole indelebili scolpite come impronte giurassiche nella memoria collettiva; penso a Levi, Montale, Calvino, Visconti, Sciascia, Manlio rossi Doria, Amelia Rosselli, Rocco Mazzarone, Adriano olivetti e pochi altri che hanno illuminato senza sistematiche deformazioni e stravolgimenti della sua immagine la storia della sua vita. Un romanzo di vita bellissimo ancora sconosciuto a molti. L’incompiutezza e la frammentarietà, il metamorfismo e l’eclettismo, gli aspetti inediti e postumi, del giovane Rocco altro non sono che conseguenza di quel fluire incontrollabile della vita, sintomo di una condizione psichica e spirituale in un contesto di completa pazzia del mondo dove anche le tempre più forti cedettero all’estenuazione umana.
Le fiamme di Rocco cercarono di spegnere i ghiacciai siderali dell’arcaico, continuare a sfossare fossili non ci aiuta molto, cercare di spegnere la fiamma con fredde analisi, filologiche e strutturali ci ha condotti a 70 anni dalla morte a non essere venuti a capo di niente. Quel tomo (arbitrario e a griglie sciolte) uscito per Mondadori nel 2019 neanche conclusivo ed esaustivo ai fini del diorama Scotellaro ha voluto solo recuperare il sonno di tanti decenni. Basti pensare che Scotellaro lo si usa per la propria referenzialità da conferenziere e mai per evangelizzazione delle comunità.
Troppi comitati scientifici, governativi, regionali, provinciali, paesani, troppi campanili. Senza coordinamento, propulsioni di creatività, sconnessi dalle realtà: “alla mediocrità culturale ci pensa il governo” Carmelo Bene. Cosa opportuna sarebbe praticarlo Rocco Scotellaro. Professarlo quel suo magistero di carne viva. Oggi in una società in crisi di valori scrittori come Scotellaro devono essere strumenti umani di lotta civile, vanno messi in pratica, praticati, andrebbero seminati, vendemmiati. Scotellaro è uno di quei poeti che ha bisogno di essere assunto a piccole dosi, il tomo è una sbornia che pochi si possono permettere, alcuni ragazzi intervistati ci confessarono che il tomo è oneroso anche a livello economico.
È inaccessibile per molti. Piccoli volumi curati in una veste editoriale accattivante con un linguaggio più fresco e una operazione di marketing migliore avrebbe contribuito alla diffusione dell’autore nel luogo più consono: tra la gente. Soprattutto oggi epoca molto simile a quella di Scotellaro piena di dittature talmente invisibili e subdole da sembrare un mondo di zombie. La cultura del libro andrebbe ripensata. Forse un contributo importante potrebbe darlo la piccola editoria, ma torneremmo al cane che si morde la coda, la distribuzione e la capacità di fare certi investimenti in cultura. Scotellaro ha pagato lo scotto di essere troppo idealizzato, ha bisogno di idee, vincenti e convincenti.
Scotellaro deve essere trascinato fuori dalle sabbie mobili dei ceppi universitari, accademici e tornare oracolo. Fuori dai dibattiti stantii, per addetti ai lavori. Uscire dal rischio, palese, di fornire un cattivo servizio e controproducente all’autore e a chi ascolta. L’opera ha verità superiori da dire della critica, l’accesso a verità troppo belle e complesse per essere dette. Spesso ci siamo trovati di fronte ad autori esautorati da terminologie e strumenti linguistici obsoleti, altro che autori ingenui, indigeni e naif. Ci auguriamo che il vero conflitto/confronto sociale sia quello culturale, un risveglio autentico, meno ideologico e più dialogico, promiscuo certo, ma in grado di estrarre dalle radici oscure di questa collettività che sta sfiorando il conflitto della guerra atomica dopo quella batteriologica della pandemia.
La cultura deve essere mossa dal miglioramento della qualità della vita delle persone, deve essere in grado di svegliare le coscienze dall’assopimento, oggi in Italia dove si registra l’assenza totale di intelletti saldi, tonanti, in grado di indicare una via, assistiamo a eventi d’intrattenimento, quel passatempo da salotti televisivi, da festival abulici estivi, dove lo stato civile è il consenso, l’autoreferenzialità, vera peste bubbonica della cultura italiana.
Dopo tre anni di completo azzeramento dei diritti dell’uomo, la minaccia del politicamente corretto come censura delle differenze, nei tentativi di limitare le libertà individuali, è palese. Rocco Scotellaro rimane per la contemporaneità la rivelazione dell’umano più autentica. Una rarità. L’alba sempre nuova siamo noi. Tocca a noi accettare la sfida o lasciare che il veleno di Circe ci trasformi tutti in porci. Scotellaro ha sancito la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova. Quell’alba che tutti noi stiamo ancora attendendo da 70 anni. Ci auguriamo che in molti accettino la sfida di uscire dalla caverna platonica per vedere la luce. Fatevi avanti allora cari giovani. Il tempo è propizio. Rocco Scotellaro si è sempre rivolto ai giovani, è vivo più che mai nel grande sole dei vostri occhi.
Il sole è Dio disse W. Turner. Il sole è l’uomo, incarnazione del divino, questo è Rocco Scotellaro. Una guida spirituale per generazioni ribelli e capaci di spirito critico. Siate civilmente disobbedienti, fedeli a voi stessi, se non vorranno che voi lo siate, resistete, purché non cediate al cinismo, al nichilismo, alla disumanizzazione. Reagite, chiedete aiuto alla ghianda che è in voi, lasciate ardere la normalità. Disinnescarvi è l’intento della società, ma voi siate esplosivi, siate disposti a stare dalla parte degli ultimi, sporcatevi le mani, agite, siate attivi, pronti, questo è il grande insegnamento di Rocco Scotellaro, siate liberi, siate fari, siate ogni giorno il nuovo, l’alba, la luce, tutto può succedere, basta che lo vogliate, le cose non accadono da sole, dovete farle accadere, dovete fare in modo che la vostra vita giunga a compimento, giunga al punto non risolto per svoltare.
La dilagante violenza tra i giovani ci impone oggi un cambio di rotta educativo, è in atto una rivoluzione antropologica, la stessa che 70 anni fa Rocco Scotellaro ha compiuto da solo ma lasciandola incompiuta, perché voi la facciate propria e la rendiate futuro, un’opera aperta alle nuove generazioni del futuro.
Auguri, buona lettura.