Generazione dopo generazione il denaro sta influenzando i nostri comportamenti al punto tale da alterare financo la percezione dei nostri reali bisogni.
Intendiamoci, i soldi non vanno demonizzati, essi come strumento di scambio svolgono un ruolo fondamentale nella nostra vita. Possederne a sufficienza è una delle strade che possiamo percorrere per realizzare i nostri desideri, esprimere liberamente la nostra indole nonché poter esercitare scelte senza essere asserviti alle pressioni esterne. Ma per godere di questa libertà c’è una condizione da rispettare: il denaro deve essere oggetto e non soggetto delle nostre vite. In altre parole, il denaro ci rende liberi solo se lo interpretiamo come veicolo per realizzare i nostri sogni.
Ciò significa non farsi condizionare dal suo prepotente fascino sociale, in ragione del quale ci si sente riconosciuti non più per chi si è, ma solo per ciò che si è stati capaci di accumulare. Un puro sforzo quantitativo e non qualitativo.Una sfida difficile da affrontare, ma dobbiamo provarci.
Nell’ultimo ventennio siamo stati travolti dalla soggettività del denaro. Oggi a guardar bene non sembra esserci nulla di più desiderabile dei soldi, nulla è più affascinante del rincorrere uno stato ricchezza fine a sé stessa. Una corsa che rende le nostre vite tutte uguali, e allo stesso tempo tutte vuote.
Il sogno ultimo, massificato, di noi esseri umani, è divenuto senza alcun’ombra di dubbio l’accumulo di denaro: fine ultimo del nostro vivere. Siamo appiattiti su un unico valore, inconcludente dal punto di vista intimo personale, ma potente e affascinante dal punto di vista sociale: la detenzione di moneta. Il possedere denaro genera una grande illusione, quella che per essere felici basti rispettare il paradigma: più oggetti, più benessere, più felicità.
Manca qualcosa.
Manca il perché.
Se il soggetto principale del nostro agire diventa il semplice accantonamento di denaro senza mai porsi il problema di quale sia il suo reale scopo, la moneta si innalza a padrone delle nostre vite determinando le nostre scelte e generando un unico grande sogno effimero, un sogno incapace di renderci felici.
Questa nuova dimensione rischia di spegnere per sempre quel motore propulsivo che ha spinto l’uomo per millenni alla costante conquista di un miglioramento, col fine ultimo di realizzare sé stesso attraverso il lavoro, l’inventiva e la sperimentazione di nuove idee.
In tal senso, il denaro assume il ruolo di semplice oggetto, relegato al puro supporto dei nostri desideri, uno strumento funzionale alla realizzazione dei nostri sogni e mai si trasformerebbe nel nostro unico sogno!
La sfida, insomma, non è il rincorrere “l’accumulo di ricchezza” ma dare un “senso al nostro viaggio”, riempire di significato lo scorrere del tempo, sapere che vale la pena fare qualcosa anche quando ne esci sconfitto per il solo gusto di rialzarsi, riprendere a camminare e ostinatamente continuare a sognare. Ecco cosa stiamo perdendo.
La nostra intima realizzazione e, purtroppo, la stiamo barattando con un suo surrogato, senza sapore né odore.Come è stato possibile un simile scambio?
Ho una mia risposta.
Essa parte da un assunto di cui sono estremamente persuaso: la felicità è un fattore biologico non psicologico. Siamo biologicamente alla continua ricerca di felicità, di appagamento, di soddisfazione personale e sociale. Avvertiamo il bisogno di identificarci con qualcosa che ci possa dare un’identità, qualcosa che ci renda riconoscibili tra mille.
Ma per raggiungere questo sottile equilibrio tra identità sociale e realizzazione personale è necessario imparare a conoscersi, scoprire i nostri talenti, le nostre vocazioni, ma soprattutto agire, avere il coraggio di coltivare le nostre passioni, il nostro sogno.
Purtroppo, o per fortuna, tutto questo lavorare su noi stessi, sul chi siamo veramente non solo richiede molta fatica, ma di tanto in tanto può generare anche enormi delusioni, intima sofferenza, senso del fallimento, e tanto altro. Vien da sé che dinanzi alla possibilità di evitare tutta questa “fatica dell’essere” si è preferito ripiegare su un modo semplice e indolore di sentirsi felici: accettare il denaro come “misuratore” di tutti i nostri successi, rinunciando a ogni forma di crescita personale.
Ecco allora che il grande inganno risiede proprio nella costruzione di una identità sociale che promuova sogni non nostri, viviamo in ambienti artificiali dove il bisogno è generato a tavolino, il desiderio è indotto dall’esterno e non dal nostro sentire profondo. Un desiderio artificiale che si può acquistare in ogni momento, in ogni luogo, basta avere la disponibilità economica.
Nasce così l’illusione dei nostri tempi, quella che definisce il denaro come unico generatore del nostro benessere.
Peccato che affannarsi continuamente dietro sogni preconfezionati da altri non genera alcun intimo appagamento. È un po’ come rimanere in superficie, senza mai scandagliare i fondali del nostro essere, evitare di conoscere ciò che realmente desideriamo masticando quell’amaro senso di insoddisfazione, rassegnati.La cosa grave è che abbiamo accettato di buon grado questa dimensione, ma cosa ancora più grave è che non abbiamo elaborato strumenti alternativi per fronteggiare l’avanzata del sogno-moneta. Non siamo ancora riusciti a individuare un lessico più affascinante di quello declinato dal denaro. Del resto, il nuovo contesto (digitale) in cui siamo immersi, spinge alla pigrizia mentale, al ridurre gli sforzi a eliminare lo spazio e il tempo tra il desiderio e l’attesa, proprio ciò che rende viva la nostra anima è stato eliminato dalle nostre esperienze. Molto più semplice è illudersi di poter realizzare la nostra vita con il possesso di denaro, l’acquisto spasmodico di oggetti superflui e per lo più inutili con il solo effetto di allontanarci dallo scoprire chi veramente siamo.
In conclusione, nella realizzazione dei nostri sogni, dei nostri obiettivi di vita, il denaro è importante ma non determinate, prima di accumulare ricchezza dobbiamo indagare, con fatica, cosa ci rende unici e imparare a decifrare da cosa dipende la nostra intima felicità.
Solo dopo aver scoperto la nostra vocazione possiamo proiettare nel futuro il nostro percorso di crescita e tentare di diventare chi siamo.
Questo e solo questo può nutrire il nostro sogno.