Alle radici di un successo: ma lo è davvero? Taluno, come innovazione, lo ha paragonato all’avvento di Internet. Se la lettrice, o il lettore, ha fermato il suo sguardo su questo articolo, vuol dire che ne ha sentito parlare almeno una volta. Di recente, è stato addirittura battezzato l’oro digitale, visto che, dal giorno in cui è stato creato, il suo valore, in termini di dollari, è aumentato di oltre ottomila volte. Di cosa si tratta?
Tutto inizia alla fine del 2008, quando su internet compare un procedura, o protocollo, che lancia il Bitcoin, presentata come una moneta elettronica assolutamente originale. Il protocollo è firmato Satoshi Nakatomo, uno pseudonimo che ancora oggi è avvolto nel mistero.
La novità consiste nella natura e nella produzione del bitcoin.
Per comprenderla, il punto di partenza deve essere ricordare cosa è una moneta. Dal punto di vista logico e storico, qualunque comunità produce beni e servizi, e poi li scambia. Lo scambio originario tra due persone è il baratto: per esempio, mi piace una bella penna, e spero di poterla avere dando qualcosa che io ho, magari delle succulente mele.
Il prezzo rifletterà il valore relativo della penna, in termini di mele.
Ma il baratto non è uno scambio efficiente: perchè si realizzi, occorre che le due persone abbiano contemporaneamente non solo delle dotazioni – la penna e le mele – speculari, ma anche speculari bisogni – chi ha la penna deve aver fame, chi ha le mele deve voler scrivere.
La moneta rende tutto più facile: è un mezzo per effettuare pagamento che entrambe le persone accettano, e quindi ciascuna di esse potrà indipendentemente soddisfare i suoi bisogni quando lo desidera. Ma perchè la moneta è accettata da entrambi? Perchè ha un valore, che dipende da quattro sue proprietà, che tra loro s’intrecciano: il valore d’uso; il valore di scambio; il valore relativo; il valore informativo. Prendiamo lo strumento che nei secoli ha rappresentato la moneta per antonomasia: l’oro, magari sotto forma di dollaro, o sterlina.
L’oro ha un suo valore d’uso, perchè è un bene scarso, ed in più che può essere utilizzato per fini artigianali ed industriali; ha un valore di scambio, proprio perchè si ritiene che tanti lo possano accettare negli scambi; ha un valore relativo in termini di potere d’acquisto di altri beni; ha un valore informativo, nel senso che non diffonde informazioni su chi lo usa, è anonimo.
Due precisazioni importanti. Il valore dell’oro non sarà mai zero, perchè male che vada ha un suo valore d’uso, per gioielleria o altro. Se la moneta non è un bene fisico, come l’oro, ma una attività finanziaria, il valore d’uso è rappresentato dal potenziale rendimento, ed inoltre ci sarà sempre un soggetto terzo che ne garantisce le proprietà. Se è una banconota – dieci euro per esempio – c’è la Banca centrale europea che ne garantisce la distribuzione e l’affidabilità, il potere d’acquisto, l’anonimato. Lo stesso accadrà quando – entro due anni? – ci saranno gli euro digitali. In generale -si pensi agli assegni, o alle carte di credito – c’è sempre un soggetto terzo che registra gli scambi, per evitare il rischio che qualcuno utilizzi due volte la stessa moneta per fare due pagamenti diversi.
Ed il Bitcoin? E’ un segnale informatico, la cui produzione è regolata dal protocollo – la vera novità – che è contraddistinto da tre fondamentali proprietà. In primo luogo, non esiste un soggetto terzo, perché tutti gli scambi sono registrati, una volta e per sempre, dal protocollo.
In secondo luogo, ciascun utente può teoricamente diventare un produttore, purché abbia mezzi tecnologici sofisticati e potenti, anche in termini di consumo di energia. In terzo luogo, la produzione totale di bitcoin ha un limite, definito ed immutabile fin dall’inizio,e sempre dal protocollo, pari a ventun milioni di bitcoin, di cui diciannove già prodotti. E’ stato calcolato che l’ultimo bitcoin verrà prodotto nel 2140. Sempre che il protocollo non venga alterato, o modificato.
Ma il Bitcoin è una moneta? La risposta è no. Non essendo né un bene – come l’oro – né uno strumento finanziario – non ha un valore intrinseco. Vale zero. E’ uno strumento molto utilizzato negli scambi? No, se si escludono quelli legati ai traffici illeciti ed al riciclaggio dei capitali criminali. Mantiene il suo valore nel tempo? Assolutamente no, visto che il suo andamento assomiglia a quello di un vagone sulle montagne russe. Anche l’anonimato non è assoluto, ogni qualvolta si voglia trasformare bitcoin nelle tradizionali monete di scambio.
Ma allora perché tanta popolarità? Il suo motore è antico come l’uomo: si chiama avidità. Tecnicamente è una forma di investimento altamente speculativo: le sue oscillazioni attirano chi è convinto di saper cavalcare le ondate di rialzo e ribasso che caratterizzano il suo prezzo, comprando nei momenti di ribasso, vero o presunto, e vendendo in quelli di rialzo, vero o presunto.
Sempre tecnicamente, è quella che si chiama una bolla finanziaria.
La storia economica ne è piena: la più famosa, anche per i non addetti ai lavori, è quella dei bulbi dei tulipani olandesi nel Seicento. Ed il fantomatico Signor – o Signora, anche se è un nome maschile – Sakamoto ci ha guadagnato? Dipende se ha saputo cavalcare le onde. Talvolta essere un genio può non essere sufficiente, quando si ha a che fare con una bolla. Isacco Newton – tutti d’accordo che sia stato un genio? – perse ingenti somme cercando di cavalcare, nel 1720, una bolla finanziaria, come si rilevò il suo investimento nella società South Sea.
Quindi: niente di nuovo sotto il sole, compreso il fatto che le autorità di vigilanza, da sempre, tollerano le bolle, almeno finchè non causano danni macroeconomici. La ragione è semplice: chi si muove in mercati non regolamentati – come quello dei Bitcoin – deve essere conscio dei rischi che corre. Se non lo è, ne deve pagare i costi, imparando così i vantaggi di operare invece nei mercati regolamentati. Se poi ci sono lobby finanziarie interessate, ecco che la SEC – l’autorità che controlla Wall Street – addirittura autorizza uno strumento finanziario associato ai Bitcoin.
La morale? Il Bitcoin finora non assomiglia affatto ad un oro digitale, ma tanto ad un tulipano digitale. Il Sommo Poeta ci ha detto che anche se le radici son buone, non è detto che i frutti lo siano: “Rade volte risurge per li rami l’umane probitate” (Purgatorio, VII, 121).
Figurarsi se all’origine di tutto, come in questo caso, c’è l’avidità.