Da qualche giorno c’è un nuovo Annona in città. È passato tanto tempo da quando è mancato, nel 1992, e questa scoperta si aggiunge ai tanti pezzi d’arte che il professore ha lasciato a Matera e soprattutto dedicato a Matera.
Non so dire di preciso a che anno risalga. So solo che è rimasto ben nascosto nella cantina di Via Castello 42/a, con mattonelle sistemate in tre file da nove, accoppiate a due a due in modo che le facce preziose, quelle maiolicate, si baciassero e proteggessero l’una l’altra. Tutte e tre le file ulteriormente coperte da un po’ di paglia. È frutto di quelle che in gergo si chiamano le “pulizie della morte”, che pensavo fossero tipiche delle nostre parti (il Sud dai mille rituali) prima di scoprire che in Svezia è addirittura un’arte, quella di raccogliere i fili del passato e ricomporli in extremis, per evitare se ne perda memoria o vengano sopraffatti dalle quantità indistinte o vengano interpretati male da chi verrà dopo.
Solo che in Svezia è la persona anziana che se ne occupa negli ultimi momenti della sua vita, mentre da noi è un compito che tradizionalmente spetta ai familiari o ai più intimi. Tutte le tradizioni sono belle e hanno le loro ragioni. In questo caso, mi tengo la mia. Preferisco ricevere tracce che non sono già state risistemate, ma che sono state semplicemente lasciate nel loro corso normale degli eventi, anche interrotte, dimenticate, persino sbagliate. È più impegnativo, fisicamente e psicologicamente, ma corrisponde al vero e dà la sensazione che le vicende umane siano più lunghe dell’esistenza terrena e non si congelino per sempre.
Un regalo di Ugo a Mario? Una installazione di Ugo che stava per essere rimossa senza una precisa destinazione e che Mario ha salvato, non nuovo a iniziative di questo genere? La prima ipotesi potrebbe essere per l’amicizia tra i due, confermata da altre opere di Annona in Via Castello. La seconda parrebbe avvalorata dal fatto che dietro alcune mattonelle ci sono pochi resti di malta e alcuni segni a pennarello di probabile guida per l’allineamento a parete; ma il dubbio rimane, perché la maggior parte delle mattonelle non ha alcun residuo di malta e tutte, proprio tutte, sono in condizioni perfette, senza neppure un graffio o uno sbocconcellamento che normalmente accadono quando un pannello viene prima murato e poi staccato. Mia madre non ricorda, e io ricordo solo di aver visto da bambino Annona qualche volta nel salotto di casa, col suo immancabile toscano acceso, spento e riacceso chissà quante volte sino a diventare tutt’uno con il labbro inferiore, chiacchierare con mio padre seduto proprio sotto uno dei suoi quadri che ancora sono lì alle pareti, fiori slavati, pupe o paesini con casette stilizzate che fossero.
E a questo punto, credo proprio non sapremo mai quale siano state le vicende di questo grande pannello nel suo percorso tra la bottega di Ugo e la cantina Mario. Magari tra i lettori di “Q” c’è qualcuno che ha ricordi e informazioni che possono aiutare a completare il racconto. Nel frattempo, l’unica cosa possibile era ricomporlo, sperando di trovarlo intero, e farlo parlare. Ed è quello che è stato fatto.
Accompagnato da Giovanni Pisciotta, ho portato tutto il materiale da Chicco Mitarotonda, nello storico laboratorio di Contrada Serritello La Valle dove lui lavora con il padre, il Maestro Peppino. Dove altro poteva trovare nuova vita un pannello di maioliche se non nel regno delle maioliche? Tra l’altro, Peppino è stato prima allievo a scuola e poi grande amico di Ugo. E così tre ex compagni di liceo degli anni ’80 si sono ritrovati davanti a un piccolo puzzle di cinquantasei colorate tessere quadrate 20×20. Lì, sul pavimento del laboratorio, passaggio dopo passaggio e non senza qualche ingenuo ripensamento, si è riaccesa l’opera perduta di Annona.
Le difficoltà di completare il puzzle sono state reali. Dopo aver composto la prima luna, ci siamo imbattuti nelle quattro mattonelle che ne andavano a formare una seconda, che ha obbligato a rivedere l’incastro di tutte le altre e a spostare tutto a destra il complesso Cattedrale-Castello. Nulla di strano, secondo Chicco; anzi, se non ci fosse stata la firma di Annona su una mattonella di cui ancora andava scoperto l’incastro, la doppia luna era una conferma di autore: a Ugo una sola non bastava, ce ne metteva quasi sempre due.
Il nuovo assetto ha retto sino a che altre quattro mattonelle hanno svelato una terza luna!, che ha costretto a rispostare il gruppo Cattedrale-Castello tutto a sinistra, per mettere una luna subito sopra il campanile a illuminare quello che con ogni probabilità è una parte del Caveoso, un’altra luna a illuminare dalla parte opposta quello che sarebbe il Barisano e, al centro e un po’ ribassata, la terza luna a guardia della valletta che separa i due Sassi. Tre lune! A memoria dei Mitarotonda non ci sono altre opere di Ugo Annona così protette da Selene. Mia madre, in uno slancio di epopea familiare, sostiene sia conferma che il pannello è stato un regalo di Ugo a Mario per i tre figli, ma anche questa è una spiegazione poco convincente, perché il tutto era stipato nella parte più bassa di uno scaffale in ferro che era stato sistemato in cantina nel 1973, per raccogliere varie cose del trasloco da Via Passarelli a Via Castello, e mai più toccato.
Nel 1973 Giovanna, la preferita di Mario, non c’era. Il mistero è confermato, ma adesso almeno c’è il pannello ed è intero, senza neppure una smagliatura. Si tratta di un notturno sui Sassi. Il punto di osservazione è dall’altro lato della Gravina, dove c’è il parco della Murgia materana con il belvedere, anche se le proporzioni e le distanze non sono realistiche, ma sognate. Nella fascia bassa compaiono persone e animali che un tempo, sino agli anni ’50, qui vivevano a contatto continuo, quasi in simbiosi. Le persone sono le classiche pupe di Annona, tra il naïf, il primitivo e il gotico, di due diverse età, quattro adulti di genere indefinito e due bambini felliniani con volant al collo.
I grandi potrebbero essere in larghe vesti da lavoro, i ragazzi in un grembiule scolastico forzato di una scuola dell’obbligo vista ancora come iattura. Mi fanno pensare anche adesso quello che ho sempre pensato delle figure di Annona, usando le parole di Luigi Pirandello per le lumache messe a bollire: sembra che ridano e invece ne soffrono. Non una umanità allegra, come certo allegra non doveva essere la gente nei Sassi quanto Annona vi si è affacciato nel 1951. Attorno a loro ci sono galli, galline, anche strane galline bicipiti, un mulo da lavoro nei campi, uno strano oggetto che non so decifrare (terza mattonella da destra dell’ultima fila), e poi due carabinieri in alta uniforme con tanto di pennacchi (nella foto non si vedono, sono fuori campo), forse simbolo à la Collodi-Comencini del nuovo speranzoso ordine repubblicano in missione o in avamposto in quella monade senza tempo che erano i vecchi rioni di Matera.
Nell’ampia fascia intermedia ci sono proprio loro, i Sassi. A meno del rosso di qualche tetto e di alcune sfumature, appaiono come un blocco unico, impenetrabile (non ci sono vicoli), pietrificato, senza presenza umana, gelido. Anche i più abituati alla città vecchia non riconoscono nessun dettaglio e nessun angolo, se non il campanile della Cattedrale e il torrione centrale del Castello del Tramontano.
La luce avvolgente e sierosa palpabile della triplice luna, che domina la fascia alta del pannello, sembra aver messo tutto e tutti in naftalina. Shhh… Che cali il silenzio su questo mondo-universo che ha visto generazioni assieme eroiche e penose, finché la modernità non sarà pronta a capire e raccontare. Che nessuno tocchi più queste pietre e non sposti più un solo uscio, finché non sarà di nuovo davanti a tutti la parca saggezza qui seminata. Avrà sentito salire queste voci, Ugo Annona, quando ha visto per la prima volta quell’enorme alveare di porte e finestre, in discesa dal pianoro verso il fondo del burrone, già quasi tutte vuote per lo spostamento delle famiglie ai nuovi quartieri in collina?
Quanto sono diversi questi Sassi da quelli attraversati dagli eventi storici, operosi e pullulanti di vita, che Peppino Mitarotonda ha immortalato nei suoi meravigliosi pannelli dedicati alla città! Ma Peppino qui è nato, ha sentito i racconti degli anziani, sicuramente ha negli occhi anche immagini dei Sassi prima del completo svuotamento, e poi li ha visti rinascere e diventare oggetto di curiosità e culto per la modernità globalizzata. Ugo li ha visti da straniero trapiantato.
Ha visto solo gli ultimi scampoli del mondo antico prima che iniziasse l’attesa, quel lungo tempo di mezzo in cui i Sassi sono rimasti forti e coerenti testimoni di loro stessi, anche perdendo pezzi, anche sgretolandosi, anche pagando fino al giusto nuovo, anche coinvolti loro malgrado in tante teorie sul sud e le sue genti, anche diventando estranei al resto della città che intanto faceva la sua vita altrove, al riparo di quella quinta di palazzi che dal ‘600 in poi, e sino a tutti gli anni ’80, hanno oscurato persino la vista dal piano a quell’enorme scodella del passato. Proprio quella quinta che, non a caso, ha cominciato a essere traforata in più punti coi lavori di rifacimento delle piazze centrali negli anni ‘90, riunendo finalmente la città alla città.
Si è speso detto che Annona non avesse capito i Sassi, per il modo interrogativo e incognito in cui li ha ritratti, surreale e piatto, apparentemente senza chiavi di lettura e senza ispirazione. Sarebbe forse più corretto dire che, consapevole o meno, li ha guardati dall’esterno e ce li ha riportati in quel momento di interruzione improvvisa di una storia sino ad allora andata avanti nei millenni a passo di lumaca. Erano stati spogliati di tutto perché iniziasse una nuova storia, e lui li ha visti così, vuoti, notturni e dubbiosi di quello poteva accadere. Proprio per questo li ha messi spesso sotto la tutela di più lune e, in questo pannello, addirittura di ben tre lune piene. Lo ricordiamo con affetto e riconoscenza, come uno dei protettori della città quanto Matera non era ancora Matera.