Le radici, sia letterali che metaforiche, costituiscono un elemento fondamentale della nostra esistenza, plasmando la nostra identità e influenzando il nostro percorso attraverso la vita. In questo articolo voglio esplorare il tema delle radici attraverso il prisma del viaggio e dell’esplorazione personale, esaminando come le persone esplorino per definire e scoprire la propria appartenenza.
Fin dall’antichità, il viaggio è stato un mezzo per scoprire nuove terre e culture, ma anche per esplorare il proprio io interiore. Un esempio emblematico è quello di Ibn Battuta, celebre viaggiatore marocchino del XIV secolo, che partì per un viaggio che doveva durare pochi mesi e tornò in patria ventinove anni dopo. «Ho preso la decisione di lasciare tutti i miei cari, uomini e donne, e ho lasciato la mia casa proprio come gli uccelli lasciano il nido». Attraverso il suo itinerario, che lo portò in terre lontane come l’Africa orientale, l’Asia e l’India, Ibn Battuta non solo documentò le culture e le tradizioni delle terre che visitò, ma si avventurò anche nel processo di auto-scoperta delle proprie origini. I suoi racconti rivelano come il viaggio possa essere un’esperienza trasformativa, in grado di modellare le nostre radici culturali e identitarie. Esso, infatti, non è solo un’opportunità per esplorare nuovi territori, ma anche per condividere esperienze e creare nuove connessioni con compagni di viaggio. Le relazioni formate durante i viaggi possono diventare legami duraturi che arricchiscono le nostre radici emotive e sociali.
In tempi più recenti, anche il libro “Viaggiando con Erodoto” del giornalista polacco Ryszard Kapuściński offre un’interessante prospettiva sul viaggio come mezzo per esplorare le proprie radici culturali. Nell’opera e nella realtà Kapuściński intraprende un viaggio nel tempo seguendo le tracce di Erodoto, storico greco considerato il padre della storiografia occidentale. Attraverso le sue avventure come reporter, Kapuściński non solo rivisita le terre e le culture descritte da Erodoto, ma riflette anche sul significato del viaggio e sulla sua influenza nella definizione delle radici personali e collettive.
Secondo Kapuściński «il viaggio è la ricchezza, la fonte, il tesoro. Solo in viaggio un reporter si sente se stesso e a casa propria». Queste parole sottolineano come si tratti solo di uno spostamento nello spazio, ma anche un’esperienza che arricchisce l’anima, permettendo di conoscere e comprendere culture diverse e, di riflesso, la propria.
Come artista, ho cercato di esplorare questo tema attraverso l’opera “Sindonica I”, creata per commemorare un artista scomparso e le radici che mi legano alla Spagna.
Questa stampa calcografica è testimone di una narrazione che si estende nel tempo. La sua origine è in una vecchia scatola di sardine, trovata sulle strade del “Mar de Castiglia” tra distese assolate di pini sull’altopiano a nord di Segovia e appiattita dal transito dei camion. A raccoglierla è Fernando Texidor, artista astratto e scultore spagnolo che nel tempo è stato per me un mentore e un caro amico. Fernando ha purtroppo chiuso gli occhi per l’ultima volta l’anno scorso.
Nell’estate scorsa sono tornato nel suo studio per organizzare le sue creazioni e con esse anche i miei ricordi. Così per caso ho ri-scoperto questo objet trouvé che mi è parso perfettamente permeato della lezione sul caos e sull’impermanenza che Fernando mi ha sempre insegnato e che ora è radicata in “Sindonica I”.
Su carta cotone, il metallo ondulato ha impresso una mappa astratta composta da montagne e valli: un territorio immaginario e simbolico su cui si muove il mio desiderio di esplorare le radici emotive che mi legano a persone, terre e culture specifiche.
In conclusione, le radici possono sembrare qualcosa che ci ancora, ma contemporaneamente rappresentano la nostra estensione verso la ricerca di noi stessi in un processo in divenire: radici che nel mondo di un’identità senza mappe costituiscono legami duraturi e ci guidano nel nostro viaggio attraverso la vita.