La recente farsa delle “elezioni” in Russia ha reso evidente, almeno all’opinione pubblica dell’Occidente democratico, sino a che punto il nuovo zar e la sua cerchia ristretta si siano trasformati in una vera autocrazia totalitaria. Non c’è stato infatti alcun candidato che potesse costituire una vera alternativa al regime.
Putin non solo ha imprigionato (in qualche lager siberiano) tutti i veri oppositori (quantomeno quelli che non hanno fatto in tempo a fuggire in Occidente, soprattutto a Berlino) ma, come sappiamo dalle vicende tragiche di Navalny, alcuni oppositori sono stati assassinati mentre si trovavano all’estero. Persino la “costituzione” è stata (più volte) modificata appositamente per “legittimare” il potere a vita di Putin. Persino in Cina non fanno finta di avere una democrazia: il partito comunista comanda, tutti lo sanno e non osano opporsi (con qualche rara eccezione).
In una recente intervista uno dei fondatori di Memorial, organizzazione per il ricordo delle repressioni sovietiche (il famoso GULAG, durato fino a Gorbaciov), e fuggito a Praga, ha sostenuto che il regime di Putin andrebbe definito “fascista”. È stato calcolato che (sulla base di documenti ufficiali) sono morti 40 milioni di internati o fucilati, soprattutto nella prima fase della collettivizzazione della terra. Non a caso il regime afferma di voler perseguire i valori peculiari della Russia: «Dio, Patria e famiglia» (patriarcale). Il punto vero è che il regime comunista collassò, non cadde per una “rivoluzione” democratica. Il KGB non solo non fu abolito, ma si limitò a cambiare nome (FSB, Servizio di Sicurezza Federale), mantenendo lo stesso personale. Lo stesso Putin era nel KGB, stanziato a Dresda (Germania dell’Est). A partire dal 1991, tutte le élite comuniste si affrettarono a impossessarsi delle imprese gestite dalla stato, con i più diversi sotterfugi. Già allora si iniziò a parlare di “oligarchi”.
La privatizzazione fu un autentico disastro, perché riguardò un piccolissimo numero di uomini che, nella fase in cui comandavano Boris Eltsin e il suo “cerchio magico”, si appropriarono delle principali risorse del paese (carbone, petrolio, gas e terre rare). Non c’è dubbio che il collasso del regime comunista provocò un altro collasso nella cultura, dove inevitabilmente predominava la narrazione sovietica, mentre la religione ortodossa sopravviveva, soprattutto nelle sterminate campagne e sebbene il regime si dichiarasse ateo e il culto religioso fosse ufficialmente vietato.
La maggior parte delle persone non aveva la minima idea di cosa fosse la democrazia e, cosa sorprendente, non sapevano neppure cosa fosse una Nazione. Per comprenderlo dobbiamo fare mente locale al fatto che, al momento della rivoluzione del 1917, si era passati di colpo dal regime dell’impero zarista al regime diretto da Stalin, con una ferocia mai vista. Dopo un breve transizione (in cui Lenin stava morendo), Stalin si impossessò del potere ed eliminò tutti i suoi potenziali concorrenti, da Zinoviev a Trockij e, in seguito (1932-34), da Bucharin ai suoi sostenitori, che durante l’elezione del nuovo Comitato Centrale non avevano votato per Stalin – i verbali di voto furono trovati distrutti e ufficialmente fu annunciato che soltanto in tre avevano votato contro Stalin. A quel punto le purghe di Stalin furono la definitiva e incontrastata via libera, anche all’interno del partito. Insomma, la famosa “dittatura del proletariato” (adombrata da Marx e ripresa da Lenin) si era trasformata nella dittatura di un uomo solo al comando di una rigidissima gerarchia, a sua volta sorvegliata dai servizi segreti.
Al momento del crollo (tra 1991 e il 1994) paesi come l’Armenia, la Georgia, i paesi baltici e persino il Kazakistan e l’Uzbekistan erano riusciti a liberarsi dal dominio sovietico. La stessa Ucraina aveva votato per uscire dall’ URSS già nel 1991. Molto probabilmente perché, al momento del crollo dello zarismo (1917) erano etnie distinte, con lingue e costumi differenti. Così poterono appellarsi alla lotta contro il dominio straniero («russo»). Tuttavia, dal 1991 la Russia era in realtà estinta sin dal 1917, proprio come stato-nazione e non poteva che reinventarsi come impero. Non a caso la bandiera (bianco-blu-rosso), introdotta da Pietro il Grande, fu adottata come bandiera nazionale nel 1993, e oggi la vediamo sempre nelle immagini televisive alle spalle di Putin.
La stessa Kiev poteva vantare una storia ben più antica della Russia moscovita, compresa Pietrogrado (rinominata Leningrado). Va ricordato che l’idea di Stato-Nazione è piuttosto recente, soprattutto in Russia, ma anche nell’Europa centro-orientale. Con l’esito della prima guerra mondiale si disintegrarono l’impero asburgico e quello turco-ottomano, e al loro posto sorsero piccole nazioni. Ma, peraltro, va rammentato che solo all’inizio del 900 l’Inghilterra ancora era un impero: formalmente un vice-re governava l’India. Quella che è stata chiamata la “Grande Spartizione” tra India e Pakistan, avvenne nel 1947 e con grandi scontri sanguinosi tra musulmani e induisti. Cosa che non si era vista neppure all’epoca dell’impero Moghul (questo per ricordare che lo Stato-Nazione è stata un’idea che nei paesi non europei fu portata dal colonialismo dell’Occidente).
Il nazionalismo fu introdotto in URSS soltanto quando Stalin e la sua banda scoprirono che per resistere all’invasione dell’imperialismo nazista era diventato più efficace appellarsi al nazionalismo grande-russo che non al comunismo. Alla faccia dell’”internazionalismo”, proprio i sovietici si spartirono la Polonia con Hitler, e poco dopo scoppierà la seconda guerra mondiale con l’occupazione nazista della Francia e l’invasione della stessa URSS). Non a caso gli storici hanno dibattuto a lungo sulla questione se Hitler fosse paragonabile a Stalin. Forse si potrebbe rispondere (riprendendo il giurista tedesco Carl Schmitt, che aveva simpatizzato per il nazismo): «Nemico totale, guerra totale, Stato totale». Questo erano per Hitler i serbi, in generale (e quindi i Russi e gran parte dell’Europa dell’est). Ma questo valeva anche per i “borghesi” dalla prospettiva dei bolscevichi, anche se i nazisti se la presero sistematicamente con le persone d’origine ebraica, compresi coloro che all’inizio, nonostante fossero ebrei, avevano appoggiato i deliri razzisti di Hitler. Concludendo su questo punto, non è un caso se dopo il collasso dell’Unione sovietica, soprattutto dal momento in cui Putin va al potere, il nazionalismo grande russo sia tornato fortemente in auge. Come era già accaduto in Occidente dopo gli sconquassi della Grande guerra, l’appello alla nazione diventa centrale nella propaganda di Putin, come aveva fatto Stalin per resistere ai nazisti.
Ma come è arrivato al potere Putin? Soprattutto, come ha potuto restaurare una dittatura simile a quella staliniana, anche se molto più sofisticata, sostenuta e glorificata dalla Chiesa ortodossa? La risposta l’ha data un’inchiesta assai approfondita di Catherine Belton (Gli uomini di Putin. Come il KGB si è ripresa la Russia e sta conquistando l’occidente, La nave di Teseo, 2022). La sintesi è questa, ma occorrerebbe sapere qualcosa della storia della Russia.
Quando Putin era vicesindaco di Pietroburgo in realtà era ancora un uomo del KGB, che aveva gestito una fitta rete di fondi neri che i sovietici usavano per destabilizzare l’Occidente (era l’epoca della “guerra fredda”). Putin e i suoi uomini hanno usato quei fondi neri per sostituire la cleptocrazia dell’era di Eltsin con un “ibrido” capitalismo di stato, tutto nelle mani del nuovo KGB (FSB) «che puntava [oltre ad arricchirsi personalmente] ad accumulare denaro per comprare e corrompere i funzionari occidentali. I politici occidentali…. avevano dimenticato da tempo le tattiche dell’Unione Sovietica nel recente passato. I mercati occidentali abbracciarono la nuova ricchezza e prestarono poca attenzione [soprattutto a Londra] alle forze criminali e al KGB che c’erano dietro. Il KGB aveva da tempo dato vita a un’alleanza con la criminalità organizzata russa [una vera e propria mafia] già alla vigilia del collasso sovietico, quando miliardi di dollari di metalli preziosi, petrolio e altre materie prime erano passati dalle mani dello stato a quelle di aziende legate al KGB. Fin dall’inizio, gli operatori dell’intelligence internazionale tentarono di accumulare fondi neri per conservare e preservare le reti d’influenza che si pensavano distrutte dal crollo sovietico. Per qualche tempo, sotto Eltsin, le forze del KGB rimasero nascoste dietro le quinte. Ma quanto Putin salì al potere l’alleanza tra KGB e criminalità organizzata emerse e scoprì i denti…. Per gli uomini che portarono Putin al potere, la rivincita ha portato a un “regolamento di conti”, soprattutto con la vecchia oligarchia che era legata a Eltsin.
Tutto era iniziato proprio a Pietroburgo, quando Putin era vicesindaco e poteva ricorrere direttamente al KGB e ai suoi enormi fondi neri nascosti in Occidente, e città come Pietroburgo, nei primi anni novanta, morivano letteralmente di fame. Fin dall’inizio della nuova era, gli uomini del KGB avevano messo “radici” assai solide e profonde nel sistema che si stava formando. Con una sorta di giravolta, il nuovo KGB costituiva una sorta ritorno al passato: uno strano mix di zarismo e di stalinismo. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, Putin pensava di riuscirci in un paio di giorni, ma l’inaspettata resistenza degli Ucraini l’ha sorpreso, costringendo le truppe russe a ripiegare sul fronte nord, verso la Bielorussia (dove comanda un altro dittatore), concentrandosi sul fronte est-sudest. Ora la guerra è arrivata in un punto di sostanziale stallo (almeno fino all’inizio dell’estate). Come andrà a finire? Se non arrivano al più presto gli aiuti militari che gli Ucraini hanno richiesto all’Occidente, potrebbe finire assi male (e non solo per gli Ucraini, ma anche per l’Occidente europeo).
I nostri “pacifisti” insistono su una trattativa che, stranamente, sembra rievocare le tesi di Putin. Ma finora, Zelenskyj ha rifiutato. In effetti la domanda cruciale, e non solo dal suo punto di vista, è come fidarsi di Putin, viste le assurde tesi con cui ha provato a giustificare l’invasione? Lo stesso pubblico russo è costretto a non fiatare pubblicamente. La minima rimostranza contro la guerra comporta l’arresto e, in certi casi, anche la condanna a qualche anno di galera. Di fatto, le corti sono obbligate a seguire le direttive del Cremlino, il sistema giudiziario non è un vero sistema giudiziario indipendente, ma un braccio del regime. Lo stesso vale per il parlamento, le elezioni e l’economia.
Tutto funziona come al tempo del “terrore rosso”, quando i cittadini sapevano che potevano essere denunciati per idee o atti contro il regime, persino da un parente o un conoscente. Anche a quei tempi si era costituita una sorta di “patronage” che gli studiosi interpretavano come una sistematico favoritismo che gli alti funzionari del partito esercitavano nello loro cerchia (assai) ristretta, soprattutto se teniamo conto che nell’URSS bisognava fare code interminabili anche solo per comprare della carta igienica (senza poi trovarla) e un po’ di cibo. Non per caso si erano sviluppati un gigantesco mercato nero e in diffuso sistema clientelare.
Oggi, nella lotta contro l’Occidente e la NATO che, come dicono Putin e la propaganda, «vuole aggredire la Santa Madre Russia», nessuno osa fiatare. Persino i rifugiati all’estero, come alcuni ex-oligarchi, sanno che possono essere raggiunti e colpiti dagli uomini di Putin in qualsiasi momento (numerosi esempi si trovano in G. Fornoni, “Putistan. Come la Russia è diventato uno stato canaglia, chiarelettere (Garzanti), 2024)
Concludo con un’osservazione sull’Europa Unita (lasciando da parte le gravi difficoltà per la NATO che potrebbero venire nel caso in cui vincesse Donald Trump). Il primo punto è che proprio l’Europa ha una sorta di sindrome dello struzzo: per cercare di non vedere quello che sta accadendo alle sue porte “caccia la testa sotto la sabbia” (con qualche rara eccezione: i paesi baltici, che hanno fatto esperienza diretta dell’occupazione russa e, forse, la Polonia e la Finlandia). L’Europa purtroppo non si è data una struttura politica (almeno un po’) confederata. Il parlamento europeo non ha veri poteri legislativi, se non previo accordo dei governi in carica al momento, ciascuno dei quali ha un potere di veto. In sintesi, c’è un evidente contrasto tra le istituzione europee e le democrazie nazionali. Inoltre, nella maggior parte dei casi si tratta di stati molo piccoli e quindi fragili, soprattutto militarmente.
C’è persino qualcuno che fa una sorta di doppio-gioco (si pensi all’Ungheria di Orban). Alcuni, giocando sul nazionalismo per prendere voti, hanno favorito atteggiamenti antieuropei e populisti. Tutto questo ha reso evidente una crisi dell’Europa: se il potere politico si ottiene (o si perde) sul piano nazionale e non su quello europeo, è evidente che contano veramente le elezioni a livello nazionale e non quelle europee (è probabile che, nel momento in cui scrivo, alle prossime elezioni europee, almeno in Italia, ci sarà un forte astensionismo). Un secondo punto è che, con il crollo dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra fredda, molti paesi (soprattutto nel “terzo mondo”, compresa l’America Latina e i Sud Est asiatico) erano stati spinti ad avvicinarsi al mondo occidentale, anche se in Africa, soprattutto quella Subsahariana, negli anni si sono realizzati numerosi colpi di stato, anche fomentati dai mercenari al soldo di Putin (come in Siria dove domina un despota). Probabilmente questo accade perchè queste élites si sentono più tutelate, proprio in quanto in gran parte autocrazie (quantomeno in Africa), da paesi come la Russia e come la Cina di Xi Jinping, con la cosiddetta “Nuova via della Seta”: una forma di neo-imperialismo economico, rivolto principalmente a condizionare i paesi del “terzo mondo”.
Molto dipenderà dal costo economico che la Russia dovrà pagare per questa guerra, anche per le sanzioni occidentali, che, nel medio periodo, avranno sicuramente effetti importanti. Basti pensare ai miliardi di dollari persi con il blocco dell’esportazione sia di petrolio e gas (con le connesse tecnologie) sia di terre rare (per la produzione di chip).
Terza e ultima considerazione. a proposito del populismo in Italia quale esempio di un paese europeo che di fronte alle minacce russe appare poco consapevole dei gravi rischi che corre. La domanda che mi faccio è semplice: perchè da noi il populismo ha avuto un grande successo (mettendo insieme sia Salvini che Meloni e ciò che resta del Berlusconismo).Non dobbiamo mai dimenticare che il fascismo era un regime populista oltre che squadrista, e la cui eredità era stata “assorbita” dalla scomparsa DC. Tutto questo accadeva prima dell’esplodere di “tangentopoli”, quando incominciò ad emergere la Lega di Bossi (che nel Nord iniziò a prendere il posto della DC).
Con Salvini che, sulla Russia, continua a fare finta di niente (ricordate che fece un accordo con Russia Unita, il partito di Putin), la Lega ha poi cercato di diventare un partito realmente nazionale, incontrando però la concorrenza del partito improvvisato da Beppe Grillo, partito per eccellenza populista (almeno come la Lega) e altamente demagogico. Non mi è chiaro perché quello di Conte sia stato considerato da molti (sia esperti che non) un populismo di sinistra. È vero che era scomparso anche il PCI, che ai tempi di Berlinguer aveva assunto una linea politica “populista” . Ma cosa ha coperto questo vuoto, un vuoto che assomiglia, culturalmente parlando, a un vero “salto quantico”? Un po’ come entrare in un “buco nero” e di cui parlano gli astronomi: un’incredibile “distorsione” dello spazio-temporale. Cosa può significare una tale “distorsione dello spazio-tempo” in campo culturale e, soprattutto, politico? Un’ipotesi può essere che la scomparsa, a causa degli scandali, di DC e PCI (ma non dimentichiamoci di Italia dei Valori di Di Pietro) sia stata troppo repentina, soprattutto per il PCI, che per anni aveva promesso il “sol dell’avvenir”, ma in Russia aveva realizzato solo fame e oppressione. Cosa questa che, a sua volta, ci ricollega al crollo dell’Unione Sovietica, che, per la velocità con cui è avvenuta, ci rimanda addirittura alla scomparsa di un’intera civiltà (si pensi, per esempio, a quella Azteca o a quella Maya, dopo l’impatto con l’impero spagnolo nel XVI sec.).
Questo “vuoto” culturale, che si traduce in un vuoto di azione politica e di cultura liberale, può aiutarci a spiegare lo straordinario successo, almeno inizialmente, sia dei vari populismi nostrani (chi fosse interessato può leggere il Quaderno della fondazione PER dedicato ai populismo italiano: https://perfondazione.eu/quaderni/radiografia-del-populismo-italiano/). Un terremoto che è costato al PD, soprattutto se confrontiamo i dati attuali rispetto a quelli del periodo della segreteria Renzi, un crollo che si aggira intorno a quasi il 40%. È vero che anche il crollo della Lega è stato addirittura superiore e assomiglia a quello di Foza Italia.
Ma poiché Salvini è ancora “seduto sul trono”, questo induce al sospetto che, almeno sul piano organizzativo, questo partito assomigli molto al vecchio PCI. Questi andamenti degli ultimi 20 anni andrebbero confrontati con il recente successo (per molti versi sorprendente) di Fratelli d’Italia. È come se l’Italia non sia mai riuscita a superare la vecchia contrapposizione ideologica tra “comunisti e anticomunisti” e che un noto politologo chiamava, non a caso, “frattura” (una vera contrapposizione tra “sinistra” e “destra”. Per capire bene il significato di “frattura” dobbiamo ricordare che nei paesi europei (soprattutto del nord) vale soprattutto la contrapposizione tra “conservatori e progressisti” (come in Inghilterra dove i Tories se la giocano con i Laburisti). Da noi la contrapposizione tra sinistra e destra assomiglia a una sorta di riproposizione della vecchia contrapposizione tra Nord e Sud d’Italia (quando Berlusconi otteneva grandi successi proprio nel Mezzogiorno, specialmente in Sicilia e Campania, travasatisi poi nei 5S). A parte lo stallo della sinistra, sembra che l’antica frattura “comunisti-anticomunisti” oggi si traduca in una vasta diffusione dell’astensionismo, soprattutto nel Sud, evidente nelle ultime elezioni politiche e che, quasi certamente, saranno ancora superiori alle prossime elezioni per il Parlamento Europeo.
Un raffronto della Russia di Putin con il populismo italiano può sembrare esagerato. Ma, tenendo conto delle vicende che hanno portato al potere Putin e suoi uomini, da un lato, e la storia del populismo dell’Italia dall’altro lato, sembra che i vuoti di cultura politica prodotti dalla storia non facciano altro che riproporre le antiche “fratture”, seppur in forme nuove. È come se le “vecchie radici” populiste non morissero mai e gettassero sempre nuovi e rigogliosi germogli: il nuovo Homo Sovieticus da una lato e quello populista, dall’altro. Fino a che punto, ovviamente, sarà la storia a emettere la sua (inesorabile) sentenza.