Vi è mai capitato, magari durante una cena con amici, di riflettere su che cosa cambiereste della vostra vita qualora poteste tornare indietro nel tempo?
Per quanto all’apparenza sia poco più di un gioco frivolo, in realtà credo che, intesa in maniera più profonda, apra uno spiraglio su una serie di ragionamenti sui quali mi sono spesso soffermato.
Inevitabilmente, voltandomi indietro, ci sono scelte che cambierei, occasioni perse che rincorrerei volentieri, persone a cui avrei voluto dedicare più tempo e che ora non ci sono più o la vita le ha portate talmente lontano da essere ormai irraggiungibili e persino persone che avrei voluto evitare e non conoscere mai.
Ognuno di questi desideri si porta dietro una storia a sé, un carico di emozioni, di ricordi e soprattutto di vita vissuta, ma il punto su cui vorrei soffermare l’attenzione è che quello che ciascuno di noi è in questo momento, è l’esatto risultato di tutte queste migliaia di decisioni prese, di occasioni perse e di persone che avremmo voluto più vicino o al contrario che non avremmo voluto incontrare.
Come ci insegnano letteratura e cinema, una sola scelta diversa, una sola strada cambiata e il presente che conosciamo e in cui ci muoviamo sarebbe totalmente diverso, e qui mi piace ricordare su tutti Wim Wenders, che all’inizio di “Fino alla fine del mondo” fa recitare da una voce fuori campo: “Claire cambiò direzione, cambiando per sempre la sua vita, cambiando le vite di tutti noi”.
E qua, come potrete intuire, si aprono molteplici scenari speculativi, che spaziano dal concetto di tempo all’effetto farfalla, senza ancora considerare scenari più fantascientifici.
L’analisi del concetto di “tempo” ha infatti prodotto storicamente un enorme numero di riflessioni e di teorie, delineando spesso posizioni problematiche. Il primo grande problema, e lo reputo irrisolvibile, si identifica nel fatto che il tempo è oggetto di considerazione e allo stesso tempo va a coincidere con lo stesso soggetto considerante. Esso infatti è un continuum che può essere misurato, su una dimensione, ed ha un’estensione sia nel passato che nel futuro, ma il punto di confine, quello del soggetto considerante, appunto, il presente, risulta essere privo di dimensioni. E da qui iniziano i problemi veri e propri, tanto che ormai, dopo secoli di speculazioni, si tende a semplificare l’argomento dividendo il concetto di tempo in due accezioni: il tempo della fisica e il tempo nel senso comune.
E se a prima vista il tempo della fisica è sicuramente quello più affascinante, dal punto di vista del pensiero puro, denso di teorie (più o meno comprensibili, senza una preparazione specifica) in aperta contraddizione tra loro e che abbracciano diverse scienze, il tempo di cui percepiamo maggiormente l’esistenza, e quello che è più connesso con la nostra vita è sicuramente quello “del senso comune”.
Mi piace infatti considerare il tempo come un continuo fluire caotico, un divenire incessante che, perfezionandosi nel presente, si apre in una serie di possibilità infinite per il futuro. È infatti proprio in base ai nostri pensieri ed alle nostre scelte che “costruiremo” il nostro futuro, aggiungendo mattoncini su mattoncini e cambiando continuamente direzione.
Ma le nostre scelte, per quanto libere, sono sempre il frutto di quel complesso sistema di valori, di cultura, di storia e di visione del mondo che costituisce il nostro Io, frutto del nostro passato.
E’ proprio in questo senso che intendo la parola “radici”, non solo quel punto di partenza, lontano nel passato, da cui abbiamo iniziato a costruire il nostro presente e quindi iniziato a “direzionare” il nostro futuro, ma più precisamente quell’agglomerato di esperienze e di pensieri, in costante evoluzione, che costruisce, istante dopo istante, il nostro Io, con la complessità e l’unicità che lo contraddistinguono.
Radici come inizio, quindi, ma anche come base su cui sorreggere la crescita, il cambiamento, l’evoluzione che ciascun individuo “vive vivendo”, muovendosi nel mondo e interagendo con gli altri esseri viventi.
Da qua ecco anche la simbolica sinuosità con cui ho composto lo scatto, le direzioni contorte e opposte verso cui ci porta la nostra evoluzione, la vita, e, se siamo fortunati, ad un certo punto si incroceranno con le curve di un’altra persona, procedendo parallele. L’immagine che ho voluto realizzare è scura, oscura forse sarebbe un termine più appropriato, come sono oscuri i sentieri che ancora non abbiamo camminato, alcuni destinati ad interrompersi, altri a continuare ad allungarsi tra curve e repentini cambi di direzione man mano che sul futuro si trasforma in passato, sempre passando per il presente.
L’origine delle radici, nella mia immagine, non è rappresentato. Anche questa scelta, per me, è una metafora. L’inizio dei “nostri sentieri” infatti, non è propriamente “nostro”, ma lo identifico maggiormente in un bivio nato dal percorso dei nostri genitori. In assenza del nostro sistema di valori infatti, ancora troppo piccoli ed inesperti per avere una nostra personale ed unica visione del mondo, compiamo le prime scelte e costruiamo le nostre radici basandoci su una visione tramandata, sui valori che ci vengono insegnati, giorno per giorno, durante i nostri primi anni di vita.
È un lascito importante, una base di partenza su cui porre solide fondamenta, un modo per legarci indissolubilmente al “passato” prima di noi, un’occasione per considerare e talune volte addirittura farci guidare da chi ha già camminato più a lungo di noi. Si sviluppa così un rapporto armonico con le nostre radici, che riconosciamo come inizio del nostro percorso e pur godendo della totale libertà di costruire il nostro Io giorno per giorno, avremo sempre una parte di noi che ci lega a qualcosa di più grande, di talmente intrecciato e antico da perdersi nella memoria del tempo avvicinandoci e facendoci sentire legati agli altri esseri viventi ed al pianeta stesso.
Diversamente invece, a volte il rapporto con le nostre radici può diventare disarmonico e conflittuale. Rifiutare il passato, negare le nostre origini è però come rifiutare una parte di sè, come tagliare di netto quel legame che ci unisce agli altri e alla terra e anche qualora abbia il sapore della libertà estrema, in realtà è una scelta che ci lascia totalmente soli, che ci distacca e distanzia da quell’eterno fluire che è il tempo dell’uomo, pur con tutte le sue singolarità e ramificazioni.
Personalmente trovo che sia una scelta molto triste spesso apparentemente vestita di tracotanza, ma che nel suo profondo, a mio parere, nasconde solo un’enorme insicurezza e la paura di non essere riconosciuti nella propria singolarità a meno di staccarci profondamente dalle nostre radici, e quindi dalle nostre origini. Intendo la parola “origini” nel suo significato primario, cioè “il costituirsi iniziale di un fenomeno (in questo caso l’uomo) suscettibile di continuazione o di sviluppo nel tempo”.
Non per nulla l’etimologia della parola “umiltà”, evidentemente contrapposta alla tracotanza di cui sopra, ci riporta alla terra, alla vicinanza alla terra, alla fedeltà alla terra (per ricordare Nietzsche), intesa qui come riconoscimento ed accettazione delle proprie radici e dei legami che dall’inizio dei tempi ci uniscono tutti in un solo pulsare di vita e in un continuo crescere e fluire in ogni direzione.