Il 18 giugno del 1978, Leonardo Sinisgalli si recò a Matera per l’inaugurazione della prima delle grandi mostre nei Sassi organizzate da Giuseppe Appella e dal circolo culturale “La Scaletta”. Non poteva mancare a quell’appuntamento. Non solo perché Peppino Appella gli aveva messo a disposizione un’auto da Roma, ma perché l’evento coinvolgeva lo scultore Pietro Consagra, suo grande amico. Undici grandi sculture in ferro erano state collocate tra il Sasso Caveoso, il Sasso Barisano e il Piazzale Belvedere[2].
Leonardo Sinisgalli portò con sé la moglie Giorgia e il figlio Filippo. Fu molto festeggiato dai tanti amici perché era uscita ad aprile la sua ultima raccolta poetica per Mondadori, Dimenticatoio[3].
In quella stessa estate si fermò a Montemurro per un periodo molto lungo, da giugno a settembre, e qui, nelle sue lunghe passeggiate tra le contrade, si dedicò al disegno con entusiasmo e passione. Un reportage dell’anima e della memoria, dove i nomi delle contrade, le descrizioni, i segni grafici e il colore si trasformarono in poesia. Fu un’estate di riconciliazione. Il disegno, dolce compagna, gli era giunto in soccorso proprio nel periodo in cui la “vena” ispiratrice della poesia si era ridotta a un filo.
Realizzò 45 pastelli, di cui 13 a colori, per una mostra da allestire presso la Galleria d’arte “Il Labirinto” di Rocco Fontana, con il titolo La scorsa estate nelle contrade dell’infanzia del mio paese. Quarantacinque pastelli di Leonardo Sinisgalli. Il Catalogo della Mostra fu edito dalla stessa Galleria[4] e la copertina curata dal poeta-ingegnere evidenziò una grande novità: la presenza del colore in alcuni dei suoi pastelli.
Ne era così fiero che ne raccontò la sua metamorfosi nella premessa al catalogo.
Il 28 dicembre Sinisgalli ritornò a Matera per l’inaugurazione, ma questa volta non era in compagnia di Giorgia De Cousandier, che era deceduta dopo una lunga malattia il 16 dicembre, due settimane prima. Ad accompagnarlo c’era l’inseparabile Filippo.
Nella Galleria d’arte, affollatissima, trovò il calore e il conforto dei materani, degli amici, dei parenti, degli artisti, dei poeti in erba, dei curiosi e di quanti si erano recati lì per salutarlo e ammirare i suoi lavori.
In quell’occasione venne anche presentata da Rocco Fontana l’edizione artistica di Dimenticatoio, tirata in 70 copie, per le Edizioni del Labirinto con le incisioni di Gerardo Corrado, Luigi Guerricchio, Mauro Masi, Antonio Masini e lo stesso Leonardo Sinisgalli.
Quella sera dopo il vernissage, Sinisgalli mangiò con la sorella Enza, a cui aveva chiesto espressamente pasta (cavatelli fatti a mano) e fagioli, e le sue nipoti. Con Ginetto Guerricchio e lo stesso Rocco Fontana.
Cosa rappresentava a Matera e cos’era «Il labirinto» di Rocco Fontana[5]? Era un centro d’arte, che nel nome recava un doppio significato, il primo riguardava la sua collocazione nel dedalo dei Sassi e la difficoltà di raggiungerlo, per il percorso complesso e tortuoso.
Il secondo riferimento ha una connotazione analogica. Stava ad indicare nella prospettiva del suo fondatore “l’idea della difficoltà di dare una soluzione definitiva alla ricerca dell’arte figurativa d’oggi (e non solo a questa)”.L’arte quindi come ricerca incessante, senza approdo, senza soluzioni definitive, aperta a nuovi linguaggi e a nuovi protagonisti. Per Rocco Fontana, il suo vero fascino.
Le attività del Labirinto, dal 1973 agli anni Ottanta, riguardarono una lunga serie di attività (mostre, edizioni, concerti, dibattiti) che coinvolsero artisti e intellettuali di chiara fama: poeti, incisori, scultori e architetti[6], ma anche scrittori, i poeti e i critici[7].
In quella serata di fine anno, nella sala gremita fino all’inverosimile della Galleria, a testimoniare la conversione al colore di Sinisgalli vi erano tredici tavole, mentre trentadue erano fedeli alla vecchia maniera, in bianco e nero. Successivamente, in coerenza con la nuova fase sperimentata a Montemurro, Sinisgalli ritornò su quelli monocromatici e li colorò tutti[8]. Dei quarantacinque pastelli di Leonardo Sinisgalli esposti a Matera, ventiquattro sono andati dispersi, probabilmente venduti. Gli altri ventuno (diciannove dati in comodato d’uso dalla Presidenza del Consiglio Regionale[9] e due recuperati in un’asta) si possono ammirare presso la Casa delle Muse a Montemurro, essendo stati oggetto di una mostra inaugurata il 27 gennaio del 2018.
Quei luoghi montemurresi, scenari di scorribande e di selvaggia felicità al tempo edenico dell’infanzia, immortalati in tantissime poesie, ritornano di nuovo e coerentemente sulla pagina. Non più nel perimetro musicale della poesia, ma con lo scarabocchio cromatico del disegno. La carta diventa assorbente esistenziale, condensando sensazioni, ricordi, suggestioni, con una tenerezza e una fluidità più fanciullesche e istintive.
E allora, diventa quasi un ludus, delicato e dolce, immaginare il vecchio poeta, canuto, ritornare, come un ladro sugli antichi passi, con un album e dei colori per disegnare, nel tentativo forse estremo di non dimenticare, i luoghi cari di Montemurro, i luoghi della vera felicità.