La parola “Innovazione” è sicuramente il mantra del terzo millennio. Sempre più pervasiva, onnipresente e trasversale, la ritroviamo lì a riecheggiare in ogni nuovo progetto o iniziativa, come la formula magica di Abracadabra – che pare derivi dall’aramaico Avrah KaDabra = “Io creerò come parlo” – e che, per assonanza logico-semantica, viene oggi inserita in ogni contesto dell’agire umano, a validazione di una seriale creazione di “inedite idee”, indipendentemente da una reale carica di novità.
La mia breve riflessione, premetto, si propone qui esclusivamente come un’amena disquisizione rivolta a stuzzicare il pensiero critico su alcune bizzarrie dell’Era Digitale, in cui le parole (cit. Abracadabra qualche riga su) ancora però conservano l’ancestrale potere di generare modi e mondi, seppur in codice binario.
Derivante dal latino innovatio, il termine indica “l’atto, l’opera di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione”, ma il vocabolo è in evidente fase di “rinnovamento di significato”. Di fatto, il concetto è ormai automaticamente associabile all’epifanica risoluzione di qualsiasi vecchio e nuovo bisogno, da parte di un’élite tecnodigitale come di un fornaio con bottega in periferia. È passato poco più di un decennio dalla famosa affermazione di uno dei massimi guru del pensiero innovativo, Steve Jobs, per cui “L’innovazione è la capacità di vedere il cambiamento come un’opportunità, non come una minaccia”, per rendersi conto di come si sia trasformato il significato attribuito dai pionieri della rivoluzione tecnologica a questa parola che il sistema del Global Pop Marketing ha proiettato nei territori della persuasione di massa, disinnescando timori a favore di entusiasmi.
Se negli anni ‘70 Andy Warhol pensava che “In futuro tutti saranno famosi per 15 minuti”, oggi possiamo dire che in questo futuro “Tutti possiamo essere protagonisti di Innovazione, anche se per 15 minuti”.
Pensateci: quante volte vi ritrovate a leggere o ascoltare la parola Innovazione/innovativo? Ormai basta inserire questo termine in un titolo di libro, in una recensione artistica, in una campagna pubblicitaria, nella traccia del tema di vostro figlio, nell’abbonamento ad un corso, in un bando di gara – magari utilizzando la versione più cool di “innovation” – ed è subito assicurato un positivo effetto subliminale di maggiorazione qualitativa del servizio o prodotto.
L’intero programma dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, sottoscritta da 193 Paesi delle Nazioni Unite, è intessuto sull’imperativo dell’Innovazione, sfruttando ad ampio raggio il potere fascinatorio della parola che incanta come l’evocazione dell’Illusionista che compie lo straordinario nell’ordinario (cit. Abracadabra un po’ di righe su).
Una parola che sembra il fertilizzante universale delle radici culturali del Mainstream, usata a profusione dalle grandi industrie, in primis le Big Tech. Niente può fermare l’onda d’urto dell’innovazione, tutti ne abbiamo bisogno.
E così capita che con un “Click” ci si ritrovi ad avere tanti nuovi bisogni e senza neanche accorgersene. Non è semplice cogliere, infatti, la multiforme funzione di questo termine abusato nei processi di allineamento ai nuovi linguaggi (anche suggeriti da Chat GPT) della Meta Società dei Consumi, basata su un’economia dell’eccesso e dello spreco, ma soprattutto su un’economia dell’Illusione digitale, parafrasando il compianto sociologo e filosofo Zygmunt Bauman che evidenziò come nella costruzione dell’universo dei desideri dei consumatori sia centrale soddisfare ogni bisogno/desiderio/carenza in modo tale che essi possano dar luogo a nuovi bisogni/desideri/carenze”.
In maniera pratica e divertente vi invito ora a comprendere il concetto espresso comparando le due “Piramidi dei Bisogni”: la prima è quella del noto psicologo Abraham Maslow, che nel 1943 ha ideato questa scala che illustra come le nostre azioni sono volte a soddisfare determinati bisogni, partendo dai fondamentali prima di passare a quelli di livello più avanzato.
La seconda una rielaborata raffigurazione ( il modello Cosma) di come, a livello socio-antropologico, i bisogni si sono riflessi nella dimensione del Digitale. Dal confronto tra le due immagini emerge una chiara sintesi di come si siano evoluti nell’era dei social, dei likes, della connessione h24, della delocalizzazione e desincronizzazione.
Si pensi, ad esempio all’e-commerce: si paga all’istante, ma anche se non si ha tra le mani l’oggetto del Desiderio, si vive già l’emozione euforica di possesso, basata fondamentalmente su un’esperienza illusoria che, attraverso la smaterializzazione del passaggio fisico di denaro, rende gratificante e semplice comprare, comprare ancora.
Un meccanismo alimentato programmaticamente dal mercato dell’era web, che sa bene come intrappolare nella Rete con l’illusione che ogni “innovazione” in arrivo ti renderà più felice.. Io, ad esempio, sento già il bisogno dei nuovi visori Apple Pro…(cit. Steve Jobs qualche riga su…).