C’era una volta, e c’è ancora oggi, un mappamondo delle meraviglie, il cui originale è andato purtroppo perduto, durante una sommossa, nel 1161. La Tabula Rogeriana, questo il nome con cui è conosciuta, al primo sguardo confonde, perché è a testa in giù.
Il sud sta sopra, il nord sta sotto, il nostro Stivale si protende verso l’alto in mezzo a una miriade di isole e colori. Non ci sono confini. Il Mediterraneo sembra un solo grande paese fatto di tante culture che, pur nelle loro infinite peculiarità, «storicamente formano un unico complesso», come scrisse d’altronde il grande storico tedesco Theodor Mommsen.
La mappa, la cui copia più completa è oggi conservata ad Istanbul, fu terminata dal geografo Al-Idrisi nel 1154, a Palermo, dopo un lavoro di durata quindicennale, insieme a una lunga serie di note che contengono la descrizione di moltissimi luoghi di quello che era all’epoca il mondo conosciuto. Gran parte di ciò che scrisse, Al-Idrisi lo aveva visto con i suoi occhi: nato a Ceuta nel 1099, fu infatti anche un grande viaggiatore, e si spinse fino all’Inghilterra, all’Anatolia, all’Est Europa. Tra tutte le meraviglie che poté visitare, c’era anche Matera, che descrisse come «città bella, estesa e molto popolata».
Come doveva apparire ai suoi occhi la città di pietra, ormai quasi mille anni fa? Sono certo che non fosse poi così diversa, la sua visione quasi mistica, da ciò che possiamo contemplare oggi. Quella che è unanimemente conosciuta come una delle città più antiche del mondo, con tracce di insediamento che arrivano al Neolitico, dette infatti a Guido Piovene l’impressione di «un sottosuolo scoperchiato e abitato […] in cui si prolunga senza soluzione di continuità l’esistenza della preistoria».
Come non esistono, a Matera, confini spaziali o materiali, poiché ogni casa, ogni chiesa, ogni piazza sembra emergere direttamente dalla terra, così vengono meno anche quelli temporali.
I Sassi sono dal 1993 patrimonio dell’umanità; insieme a tanti altri siti e patrimoni culturali di ogni parte del mondo, la città contribuisce con la sua «dolente bellezza», come la chiamò Carlo Levi, a «costruire la pace nelle menti degli uomini»: così recita il bel motto dell’UNESCO, così siamo convinti di poter affermare che la bellezza debba avere fini non solo estetici ma anche e soprattutto etici. Dobbiamo imparare ad avere una visione più ampia di bellezza, perché la responsabilità civile non può essere frammentata, è un’attitudine che riguarda tutti gli aspetti del vivere sociale. Non ci si può occupare della tutela di un monumento e ignorare la sorte di una persona. Solo una comunità solidale può comprendere la profondità dell’esperienza che soggiace ad un’opera d’arte, ad un’architettura, ad un ambiente, ed essere davvero capace di proteggerli.
Questo insegna la grande lezione di Matera, che è stata in grado non solo di risorgere da condizioni drammatiche, ma anzi di diventare un esempio di come la cultura, la storia, l’arte e il paesaggio possano divenire motore di sviluppo sostenibile e rinascita di una comunità, che si riscopre coesa intorno alle sue tradizioni e narrazioni, alla sua storia millenaria, ai suoi simboli, non chiudendosi dentro di essi ma anzi facendone vessilli di apertura all’Europa, al Mediterraneo, al mondo.
Un anelito che è stato coronato nel migliore dei modi con il conferimento alla città del prestigioso titolo di Capitale della Cultura Europea 2019. Una data che ricordo sempre con emozione a tal proposito è quella del 17 ottobre 2014, quando con il motto Open future, che metteva appunto in primo piano questa volontà di apertura al tempo e allo spazio, Matera diventava la quarta città italiana e la prima del Mezzogiorno a ottenere questo importante riconoscimento, che ha premiato la sua visione di cultura non come prodotto commerciale o veicolo di esclusione sociale, ma anzi come fulcro e anima di una comunità accogliente.
E’ vero infatti che la bellezza, la cultura, l’identità possono essere soggette a visioni contrapposte: e dunque, quando si parla in termini allarmistici di perdita delle nostre radici, contaminazione e dissoluzione della nostra identità culturale, bisogna tenere ben presente la distinzione essenziale, già tracciata da Zygmunt Bauman, tra senso di appartenenza e identitarismo aggressivo, un fenomeno che non è di alcun aiuto ma anzi nuoce alla reale tutela delle tradizioni e delle identità locali, riducendole a idoli svuotati di senso. «I confini – ha scritto Bauman – dividono lo spazio; ma non sono pure e semplici barriere. Sono anche interfacce tra i luoghi che separano. In quanto tali, sono soggetti a pressioni contrapposte e sono perciò fonti potenziali di conflitti e tensioni».
Pensiamo al limes romano, a quel confine permeabile e mobile lungo il quale nascevano incontri e scambi: il contrario del muro che divide e separa in modo irrevocabile. A Matera nel 2019 si è riflettuto a lungo – in particolare attraverso l’asse tematico Continuità e rotture – sulle diseguaglianze sociali, sul risorgere del razzismo, sull’incapacità di molti paesi europei di offrire futuro e speranza ai loro giovani, sul dramma dell’esodo di tanti migranti in fuga dalle guerre e dalla povertà.
Attraverso la cultura, e attraverso il retaggio lasciato sulla città e sul territorio da questo grande evento, abbiamo potuto avere un’ulteriore conferma del fatto che una società coesa, che si cura del suo patrimonio culturale, dell’ambiente in cui vive, dei suoi monumenti, delle sue tradizioni, è una società più capace di aprirsi all’altro, di imparare e insegnare l’integrazione, di sconfiggere la paura del diverso e l’illegalità.
Questo è, dunque, il mio ricordo di Matera 2019 (a cui l’Istituto Treccani ha dedicato un bel volume fotografico dal titolo Matera. La città di pietra, con fotografie di Aurelio Amendola e testi di Giuseppe Lupo) e anche il mio auspicio per il futuro: che questa eccezionale occasione di rilancio per la città, per la Basilicata, per il Sud e per il Paese continui a rappresentare un esempio e un incentivo per sperimentare ed esportare nuovi e più sostenibili modelli di civiltà.
Per continuare ancora quel grande viaggio sulle orme di un viaggiatore di mille anni fa, attraverso visioni di pietra e mappamondi al contrario, oltre i confini materiali e immateriali e verso una città e un Paese più inclusivi e solidali, per tutti.