android-chrome-512x512

uaderni de La Scaletta

La semplicità non è un obiettivo nell'arte

Vita delle forme

Tensioni

Sono sempre stato affascinato dal potere della parola.
La parola è conoscenza, è evocazione, è quello che ci permette di identificare l’oggetto dei nostri pensieri o dei nostri discorsi, richiamandone un’immagine mentale e soprattutto permettendoci di essere “allineati” con il nostro interlocutore.
Provare a immaginare di vivere senza le parole è un esercizio mentale (abbastanza inutile) di quelli per i quali ad un certo punto il nostro cervello “grippa”, come scherzosamente sono solito dire; un po’ come pensare all’infinito, dove a furia di fare “zoom-out” per considerare misure sempre più grandi, arriva il momento in cui non sai più come pensare più in grande, abituato fin dalla nascita ad avere esperienza del finito e non dell’infinito.
Allargando un po’ la visione sottostante a questa introduzione e rifacendomi alla storia della cultura, nella filosofia greca, base di tutto il pensiero occidentale, Eraclito in particolare, sostiene che il Logos (parola, discorso, ragione) designa la ragione determinante il mondo e la legge in cui essa si esprime. Questa, sfiorando solo la superficie è l’idea di partenza, in seguito sarà poi modificata e approfondita da Platone e Aristotele. Per il cristianesimo, invece, il Logos, la parola, è quanto di più vicino a Dio ci possa essere. A volte addirittura viene identificata con Dio stesso come scrive Giovanni: “In principio era il logos, e il logos era presso Dio, e il logos era Dio”.
Analizzando invece un punto di vista più antropologico, una delle definizioni che mi è rimasta impressa è quella di Yuval Noah Harari, che nel libro “Sapiens, da animali a dei“, in qualche modo identifica la parola come un “contratto”, un “accordo” nato dall’esigenza di evolvere la comunicazione tra uomini primitivi al punto di poter “descrivere” qualcosa e farsi capire da tutti. Le esigenze dell’epoca erano tuttavia più legate alla pura sopravvivenza dell’individuo e ai primi naturali esperimenti di organizzazione sociale, alla base della nostra evoluzione.
Tutto questo preambolo serviva per riassumere, seppur in maniera brutalmente concisa e per macro-punti, il fatto che da sempre l’uomo si interroga e ragiona sul potere della parola e a seconda dell’epoca storica ed evoluzionistica in cui questi ragionamenti avvengono, lo fa da un punto di vista speculativo, religioso o antropologico, ma in ogni caso resta uno dei punti cardine del pensiero umano, fin dalle sue origini. Nulla di nuovo né originale, quindi, quando conosciuta la “parola chiave” che definisce il tema di quest’edizione de “I Quaderni de La Scaletta”, la prima domanda che mi sono posto era quale delle diverse sfumature della parola in questione volessi affrontare. La parola è “Confini” e immediatamente la domanda che mi sono posto è: quale immagine evoca in me questa parola o almeno quale prima immagine? Si perché, come se non bastasse l’immeritevole riassunto che ho cercato di fare poc’anzi, la situazione si complica maggiormente dato che spesso una parola ha diversi significati, diverse sfumature che ci permettono di utilizzarla a seconda dei contesti, e che complicano o arricchiscono quell’unicità di significato che stava alla base dello scopo della parola, alla base di quell’accordo primordiale tra esseri della stessa specie che nei millenni si è diluito, man mano che la lingua si arricchiva fortificando il suo potere evocativo, e quindi fornendo molteplici sfumature e significati per narrazioni diverse.
Il confine che ho scelto di portare al centro di questo mio pensiero è il concetto di limite estremo, limite fisico nella fattispecie. E riportando il pensiero nella fotografia, e in particolare nello Still Life, disciplina che ho scelto come linguaggio espressivo, mi sono immediatamente reso conto dell’importanza che questa parola assume in relazione alla fotografia.
Confini infatti, sono gli estremi dello spazio delimitato dall’inquadratura, in altri termini sono quello che scelgo consapevolmente di inserire all’interno della mia storia (o al contrario, di lasciare fuori), perché la mia idea di fotografia resta quella di un linguaggio per raccontare storie, racchiuse in un unico frame.

Confini sono i limiti stessi degli oggetti inseriti nello scatto, le cui forme e le cui linee, nel loro insieme, formano la composizione che guida lo sguardo dello spettatore e lo accompagna dove l’autore vuole che arrivi, il famoso “punctum”, per dirla con Barthes, il particolare che da vita alla relazione intima tra l’immagine e lo spettatore, fondamentale nella fruizione di un’immagine.

Confini sono l’alternarsi di luci e ombre, elemento essenziale della fotografia (partendo dall’etimologia stessa) che oltre a fornire profondità e tridimensionalità all’oggetto finale (sia esso una stampa o un monitor), definiscono il tono del racconto, l’atmosfera dell’immagine, diventando anch’essi strumenti narrativi.

Confini, in questo caso definiti per assenza, sono tutte le sfumature, siano esse di messa fuoco (più legati alle forme e al nostro sguardo) o di colore; che cos’è in fondo una sfumatura se non l’assenza di un confine o meglio, quanto si genera nella “rottura” di due o più confini?

E stiamo solo parlando di Still Life, aggiungendo in qualche modo un confine più stretto, al confine rappresentato dalla fotografia tout court nell’insieme dei linguaggi espressivi. Inserendo l’elemento umano o un paesaggio (naturale o architettonico) all’interno della nostra equazione, le variabili si moltiplicano, come le sfumature della parola “confine”, fisico o metafisico che sia. Converrete con me che è un bel gioco, partire dall’analisi della ricchissima varietà di sfumature di una singola parola e poter poi costruire infiniti mondi, infinite storie, limitate (ecco un altro confine) unicamente dalla nostra fantasia!
E credo sia proprio questo modo di pensare, di analizzare, di scomporre in piccole parti e ricomporre in forme diverse che sta alla base del pensiero creativo. Un meraviglioso ed infinito “unire i puntini” che ciascun essere umano fa (sì, perché la creatività e’ democratica!), e in maniera sempre diversa e sempre nuova, proprio grazie al “filtrare” questi pensieri attraverso la propria unicità, composta anche dalla somma di tutte le esperienze individuali che abbiamo vissuto nel corso della nostra esistenza. Ed è proprio a partire da qui che il concetto della nostra individuale unicità assume importanza e valore estremo, lì vive l’individuo come singolo e non come appartenente ad un “insieme”, sia esso una struttura sociale, un sistema di credenze, una cultura.
Esplorato (almeno in parte) il vasto panorama che le interpretazioni di questa parola mi offrivano, era quindi tempo di sceglierne una da rappresentare, di confinare in qualche modo il mio pensiero soffermandomi maggiormente su un concetto che volevo provare a raccontare attraverso il mio linguaggio.
Ovviamente ciò non vuol dire automaticamente escludere tutte le altre sfumature concentrandosi solo su una, poiché come abbiamo visto precedentemente alcune di esse sono parte integrante dello strumento fotografico, dell’atto fotografico stesso o della narrazione. Vuol dire semplicemente provare a concentrare lo sguardo su una sfumatura in particolare, rendendola il soggetto principale dell’immagine.
Ho quindi cercato di immaginare come potessi rappresentare da un punto di vista fotografico nella maniera più efficace (e più comprensibile) la parola “confine”, muovendomi nel campo dello Still Life e seguendo il mio pensiero. Abituato (e caratterialmente incline) all’ordine estremo e al totale controllo che la mia disciplina richiede, volevo provare a rompere questi schemi a me cari, indagando quella che per me è l’idea archetipica della ribellione ai confini, talmente archetipica da essere presente a livello molecolare.
I liquidi sono per me fonte inesauribile di ispirazione fotografica, sono materia ribelle, mutevole, incontrollabile e proprio per questo così attraente. Non possiedono una propria forma, adattandosi al contenitore che li ospita, ma possiedono un confine, per quanto mutevole e dinamico.
Insomma, fuoriescono nettamente da tutte quelle rassicuranti “categorie” in cui amiamo (io particolarmente) suddividere tutto ciò che conosciamo. E l’idea di “ribellione” di cui parlavo prima, la identifico in quel fenomeno fisico/chimico che è la tensione superficiale.
Parafrasando e “romanzando” la definizione scientifica del fenomeno, la tensione superficiale rappresenta per me un invisibile quanto intricato gioco di attrazioni che simboleggia per certi versi il rapporto tra l’individuo e la collettività. Le molecole di un fluido sono infatti inguaribilmente attratte dai “loro simili” (le altre molecole del fluido).
È proprio questa “collettività” che noi definiamo fluido, essendo le singolarità del tutto invisibili al nostro occhio.
Questa attrazione (chimica in realtà) è proprio quella che genera la forza necessaria a creare, in qualche modo, una “forma collettiva” che si ribella alle leggi della fisica e della gravità, sollevandosi anche senza un contenitore “solido”. Ed è proprio questo aspirare alle collettività che vedo nella tensione superficiale. Una ribellione naturale, che ho provato a raffigurare nella mia immagine, quasi a ricordarci che il mondo è infinitamente più complesso, meno definibile, meno ordinabile in categorie di quanto possiamo immaginare.
Questa complessità è scalabile, e chissà, forse la semplice tensione superficiale dell’acqua, fluido da me scelto in quanto alla base di ogni forma di vita conosciuta, può essere intesa come una metafora di un altro genere di lotta: la ribellione ai confini geografici, politici ed economici, che, come ci insegna la storia, antica e recente, seppur ben tracciati sono ancora più labili e fluidi. E in pieno diritto, mi verrebbe da dire.

Giorgio Cravero
(Fotografo)
2023 10 MATERA Tensione
Giorgio Cravero: Tensione

Continua a leggere

Walter Bonatti
“Le cose più importanti nella vita delle persone sono i loro sogni e le loro speranze, ciò che hanno realizzato e pure quello che hanno perduto”
Gassman 53
Maria Lucrezia Schiavone
“I nostri sguardi, le nostre parole, restano il confine che di continuo cambia tra le cose andate e quelle che vengono”
Matera, un viaggio oltre lo spazio e il tempo
Massimo Bray
“In ogni viaggio si portano con sé radici d’albero e di fiori e un seme per piantare una speranza che germogli”
Fra i Confini delle Parole: La Letteratura Femminile Classica Giapponese di Murasaki Shikibu
Claudia Zancan
“L’arte che si sottrae al flusso perenne per divenire forma, è ciò che opponiamo alle tentazioni del caos”
Je m’appelle Olympia
Alice Guareschi
“Sovente è necessario alla vita, che l’arte intervenga a disciplinarla”
Back to (Digital) School
Valentina Scuccimarra
“Consegnare il giorno di oggi a quello di domani custodendo la memoria delle tempeste”
Colette nella mia vita (Un’ introduzione al romanzo “Lezioni di nuoto”)
Valentina Fortichiari
“Come un uccello di carta nel petto ad annunciare un sogno che veglia da sempre”
Vita straordinaria di Marco Polo e storia di un’acclamata serie tv (con un disegno originale di Giuseppe G. Stasi)
Edoardo Delle Donne
“In essa è serbata ogni essenza e profumo, il sentore di canto e dolore, di vita e d’amore”
Il ciclamino
Gabriella Sarra
“La semplicità non è un obiettivo nell’arte”
Tensioni
Giorgio Cravero
“Un paese è una frase senza confini”
Il design è un viaggio
Antonella Galli
“Ovunque ci sono stelle e azzurre profondità”
Il limite della sopportazione delle donne afghane
Laura Salvinelli
“Come un’esistenza tutta di madreperla che solamente di luce si nutra, ed eterna duri”
Guardare il cielo, per superare il caos: spunti dalla Gerusalemme liberata.
Cristina Acucella
“Il tempo si misura in parole, in quelle che si dicono e in quelle che non si dicono”
Paul Cézanne
“Vento e terra dialogano in silenzio di incontri e di promesse”
Riflessione sul concetto di confine
Mario Rodriguez
“Non esiste il presente, tutti i percorsi sono memorie o domande”
Noterella sull’effetto Bruxelles
Gianluca Navone
“Ogni essere genera mondi brevi che fuggono verso la libera prigione dell’universo”
I Confini tra Stato, Finanza e Cittadini: Informare, Educare, Ignorare?
Donato Masciandaro
“Perchè gli uomini creano opere d’arte? Per averle a disposizione quando la natura spegne loro la luce”
Denti di drago e cavalli di Frisia Lo statuto del confine nei processi dell’arte contemporanea
Donato Faruolo
“Carezze d’acqua, di vento e di luce. Che importa il tempo, scuro o chiaro…”
I confini dell’immagine e la solitudine del soggetto ( Una riflessione a partire dalle opere di due grandi fotografi: Tina Modotti e Vasco Ascolini )
Carola Allemandi
“Ancora sui rami del futuro, la speranza crede al fiore che avvampa”
Ulisse
Alfred Tennyson
“La memoria è più di un sussurro della polvere…”
Il doppio viaggio oltre confine del telero
Nicola C. Salerno
“La poesia in quanto tale è elemento costitutivo della natura umana”
Dante: dentro e fuori i confini dell’umano
Fjodor Montemurro
“La parola è un luogo, lo spazio che occupa nella realtà per stare al mondo”
La liberal-democrazia e l’arte della separazione: perché la libertà di odiare non è libertà di espressione
Luciano Fasano
“Ogni forma di cultura viene arricchita dalle differenze, attraverso il tempo, attraverso la storia che si racconta”
L’aspro cammino della Donna nello stretto sentiero per la parità
Tito Lucrezio Rizzo
“Immaginazione e connessione hanno reso l’uomo un essere speciale”
Confine: pilastro fondamentale per l’equilibrio psicologico ed emotivo nell’era del denaro e della finanza
Cristofaro Capuano
“È nel cuore dell’istante che si trova l’improbabile”
Victor Salvi, il signore delle arpe
Biagio Russo
“Le parole non sono la fine del pensiero, ma l’inizio di esso”
“Sono le note, come uccelli che si sfiorano, che si inseguono salendo sempre più in alto, sino all’estasi…”
Border Song
Edward von Frauen
Questione Matera, un dossier di cui occuparsi prima che sia tardi
Circolo culturale La Scaletta