Nell’aria superiore le lucciole paiono muoversi più lentamente.
Il cielo è simile al mare, ha la purezza dell’acqua. Tutte le stelle sono monete perdute. Se una pietra cade in acque chete, le agita creando mulinelli che ne increspano la superficie. Poi però, i mulinelli si espandono, lasciando solo irrilevanti increspature simili alle rughe che si formano agli angoli di occhi sorridenti. E infine tutto ritorna liscio e fermo, sino a bere l’ultima sfumatura di luce.
Gli antichi greci che prediligevano la percenzione sensibile che si invera nell’istante, insegnavano che la vita è soprattutto un’arte raffinata, puramente estetica, poesia del movimento in questa breve passeggera orda di luce. Ma pure, riconoscevano alle ombre un potere rivelatore. Soltanto tra le ombre emerge il volto segnato della madre di Ulisse, e tra le ombre si riflette la fragile statura del prode Achille. Tutta la luce rimane sui rami d’ulivo.
Nascita e morte non sono per la natura misteri, ma prove.
La coscienza pre-esiste alla materia. Anzi la materia è frutto della coscienza. Considerare l’immaginazione come metafisica significa pensarla come parte della vita, e pensarla come parte della vita significa rendersi conto della portata dell’artificio. Tommaso d’Aquino, il doctor angelicus, asseriva che la conoscenza dell’uomo muove sempre dall’universo immanente, sensibile e corporeo, nella direzione dell’universo trascendente, invisibile e incorporeo (praticamente, che la ragione fosse la strada per arrivare alle porte della fede…).
L’uomo è soltanto una delle forme che il mondo manifesta ed esprime di continuo, non solo in tutto ciò che è vivo, ma anche nelle cose inanimate, disegnate sulla sabbia, nella pietra o sull’acqua, e se il tempo è un’altra dimensione, allora anche tutto quel che muore resta vivo, tolto dalla vista, ma non perduto. E l’arte che rompe il tumulto del tempo ne è un riflesso, avendo la possibilità di rendere incorporeo ciò che è corporeo e viceversa.
Come nei sogni, la terra mormora agli alberi cose che il cuore appena conosce.
In Leonardo da Vinci, come anche in Paul Cézanne, la ricerca (che presenta qualcosa di stranamente matematico, pur appartenendo strettamente al mondo dello spirito e del cuore…) non è rivolta all’anima del mondo ma alle virtù magiche e mitiche della natura in quanto mistero e origine, disordine e luce. La lunga ricerca della perfezione sulla tela è solo l’altra faccia (forse il preludio) della continua esplorazione lungo i labirinti e i confini del sapere, dalla mistica cristiana fino alla fisica quantistica. L’artista lotta contro i limiti della dimensione spaziale e temporale, e agisce facendo accadere l’ignoto. Prima del gesto e della mano dell’artista (cosa dicono di noi le nostre mani? Cosa tengono celato al nostro stesso cuore e alla nostra ragione? Sono come fiori che aspettano qualcosa dal cielo?) c’è sempre la speculazione del pensatore e la meditazione del maestro.
L’arte, in questo senso, appartiene alla medesima sfera fenomenologica del linguaggio, risultando essa stessa una forma di linguaggio non concettuale, muovendosi in terreni a un tempo visionari e spirituali. La grande arte, pur mantenendo un proprio piano di pertinenza, si caratterizza al tempo stesso, come una violazione della contingenza tra assolutezza e necessità. Rifuggendo da facili mode, opportunismi e ornamentali estetismi di maniera, in un tentativo nuovo e diverso di esprimere il segno nella sua purezza e nella sua diretta e feroce, talvolta drammatica e persino tragica, potenza espressiva.
Non si può concepire una società senza musica, arte, poesia, priva di quella dimensione utopica così importante nella vita. L’artista che crea opere indimenticabili costituisce una presenza essenziale nella vita sociale. L’arte resta ancora uno dei luoghi di disvelamento del mistero della realtà e della complessità dell’umano. C’è bisogno dei poeti e degli artisti per ricostruire il reale. La clandestinità dell’artista è una risorsa per il contemporaneo, un patrimonio di sete. Nell’arte non troviamo acqua, ma sete; non dolcezza, ma aridità; non cerchiamo soluzioni, ma spazi aperti, l’esordio di un cammino.
La forza dell’ambizione e la spinta demoniaca al potere. Cronache dei giorni nostri…
Riccardo III e Macbeth giungono ad uccidere per impossessarsi del trono, ma uccidendo, conquistano per se stessi solo un regno precario e preda dell’ inumano della follia e della mostruosità.
Macbeth si spinge talmente oltre da abbracciare e corteggiare l’annientamento, fino a fare della sua vita un’ombra e a cedere all’autodistruttivo desiderio del nulla: «Comincio ad essere stanco del sole / e vorrei che la struttura del mondo rovinasse».
Nessuna direzione è migliore o peggiore, l’Est vale quanto l’Ovest. Solo coloro che ne conoscono il significato, sono liberi di andare ovunque.
Ai giorni nostri, pare che la notte debba addensarsi sempre di più pur di riuscire a scorgere che poche stelle. Ma quelle stelle, noi le vediamo solo per contrasto. Occorre che il buio si accentui inesorabile perchè le prime stelle (le prime, se questo vuol dire dunque che altre ve ne saranno !) appaiano.
Ci sono epoche in cui tutto è rottura, in cui si vive su una crepa, ai confini dell’ignoto, e l’autunno è solo la primavera dell’inverno.
L’umanità in generale è ancora largamente inconsapevole della situazione in cui è venuta a trovarsi. E la sovrabbondanza del mondo che ci viene incontro, la forza della realtà a tratti incomprensibile in cui siamo immersi, rischia di sommergerci e di deflagrare contro di noi.
Entrambi gli emisferi si stanno spingendo, con sconfortante consapevolezza, verso una catastrofe, ed è forse solo su una naturale piattaforma spirituale, che Oriente e Occidente possono ancora incontrarsi. L’Oriente non comprende l’Occidente e l’Occidente sta equivocando l’Oriente: è questa la situazione attuale. L’Occidente sta repentinamente provando a cancellare le proprie tradizioni spirituali, l’Oriente è ancora aggrappato ad esse e sta disperatamente tentando di rimanerne all’altezza.
Ma affinché i nostri volti (immuni al vento atroce del tempo) abbiano ancora qualcosa da dire alle stelle, occorre che nulla sopravviva alla bellezza.