Quale è il confine tra il ruolo dello Stato e le scelte finanziarie dei suoi cittadini, in un quadro generale in cui domina l’incertezza? Tutti i politici dicono che i cittadini devono essere in grado di saper fare i propri conti, perché questo migliora il Paese nel suo complesso; l’ignoranza finanziaria è un male pubblico. Ma nei fatti la politica dell’educazione finanziaria è all’altezza delle parole?
Sia nelle economie avanzate che in quelle emergenti le cose non sembrano stare proprio così. Quello che sta accadendo in Bangladesh al premio Nobel per la Pace Yunus è solo l’episodio simbolicamente più evidente di come il calcolo ideologico, o elettorale, possa trasformarsi di fatto in strategie che rallentano il processo di lotta all’ignoranza finanziaria. Yunus ha “inventato” il microcredito, creando istituzioni che, sul territorio, hanno portato conoscenze economiche e finanziarie, oltre alle risorse indispensabili per uscire dalla povertà e dal sottosviluppo. Ora il governo in carica lo accusa di aver violato in più occasioni la legge. La comunità scientifica internazionale si è mossa in difesa di Yunus. Vedremo gli sviluppi. In ogni caso, se da un lato le responsabilità di Yunus verranno accertate dalle coorti, auspicando che siano indipendenti ed eque, dall’altro lato il rischio di questa iniziativa politica è quello di bloccare nei fatti il processo di alfabetizzazione finanziaria. Nei Paesi avanzati, tale rischio può emergere anche solo se la scelta politica è quella, semplicemente, non far nulla, o far meno di quello che occorrerebbe fare. Perché in un mondo – quello economico e finanziario – attraversato da cambiamenti continui e sistematici, la conoscenza finanziaria è a rapida obsolescenza. Ma perchè l’educazione finanziaria è fondamentale?
La rilevanza dell’educazione finanziaria nell’analisi economica è stata messa in luce nell’ultimo trentennio, interrogandosi su quali sono i motori che consentono ad una economia di mercato di crescere in modo sano e regolare. Il motore principale è la fiducia. Se un cittadino, lavoratore o imprenditore, crede che in uno scambio economico e finanziario la controparte non approfitterà di suoi possibili vantaggi informativi, danneggiandolo, gli scambi aumenteranno. Ma la fiducia è correlata con le conoscenze economiche e finanziarie dei cittadini; più un cittadino conosce, più comprende le informazioni che, per legge e/o per scelta, la controparte gli offre. La differenza tra informazione e conoscenza è cruciale. Negli ultimi decenni i legislatori in pressoché tutti i Paesi hanno sviluppato la regolamentazione sulla trasparenza. Il problema è che le informazioni devono essere comprese.
Quante volte ciascuno di noi si è trovato di fronte a pagine e pagine di informazioni, fitte e dettagliate, che andavano lette, comprese, e poi sottoscritte? Quanto tempo è stato dedicato a tale operazione? E tutto quello che è stato letto è stato anche capito? Condizione necessaria, ancorché non sufficiente, perché la regolamentazione sull’informazione raggiunga il suo scopo – aumentare il livello di consapevolezza di un cittadino quando fa una scelta – è che il livello della conoscenza finanziaria sia adeguato.
L’educazione finanziaria diventa così una componente essenziale della cittadinanza economica, che a sua volta è benefica anche in termini civili e sociali; è un bene pubblico, la cui qualità deve essere garantita, anche in relazione ai conflitti di interesse.
Maggiore è l’ignoranza finanziaria, maggiori sono i rischi che la parte peggiore di un sistema economico e finanziario possa approfittare di tale ignoranza. A chi conviene l’ignoranza? Sul piano logico, sono almeno tre le categorie: gli incapaci, gli sleali – che includono chi si approfitta di una rendita di posizione – ed i criminali. Nella realtà, le tre categorie sono spesso intrecciate tra loro, perché più un cittadino è finanziariamente ignorante, più potrà essere controparte inconsapevole di scambi per lui o lei inefficienti, iniqui, o illegali. L’ignoranza finanziaria a livello individuale può divenire il carburante per una crisi di fiducia a livello sistemico: è quello che è successo nel 2008.
La Grande Crisi Finanziaria fu innescata da una serie di fallimenti di mutuatari. Il comportamento di cittadini americani – ma non solo – incapaci di assumere il rischio di indebitarsi in modo consapevole si intrecciò con la condotta di operatori finanziari sleali e/o incapaci producendo la cosiddetta bolla dei mutui immobiliari ad alto rischio.
Lo scoppio della bolla minò la fiducia dei cittadini, innescando l’effetto domino: la crisi di uno specifico comparto del settore del credito immobiliare si trasmise a tutto il comparto, poi infettò il mercato finanziario statunitense, con il crollo della banca di investimento Lehman Brothers, per propagarsi velocemente a tutti i mercati finanziari mondiale, diventando infine una profonda recessione economica.
La Grande Crisi colpì i cittadini, cioè gli elettori: la classe politica riscoprì allora importanza della stabilità finanziaria, quindi della fiducia, e a cascata dell’educazione finanziaria. L’educazione finanziaria è diventata così una politica economica sistematicamente auspicata in tutte le sedi internazionali.
Ma qui emerge la discrasia tra parole e fatti: se è unanime il riconoscimento che l’ignoranza finanziaria va combattuta, assolutamente diverso è stato in questi anni, in ciascun Paese, l’impegno dei governi nazionali che si sono via via susseguiti a disegnare e realizzare concrete politiche di educazione finanziaria. In assenza di una metrica che misuri l’impegno politico, e analisi empiriche che ne mettano in luce le determinanti strutturali, basti solo notare che mentre in alcuni Paesi l’educazione finanziaria è entrata istituzionalmente e nelle scuole, in altri – come l’Italia – il panorama è assai diverso.
Il problema è che l’ignoranza finanziaria può aumentare anche solo per obsolescenza delle conoscenze. In un sistema finanziario in cui i progressi tecnologici, intelligenza artificiale inclusa, saranno sistematicamente applicati alla produzione e distribuzione dei servizi finanziari, i rischi che i cittadini facciano scelte monetarie, bancarie, assicurative e pensionistiche sbagliate aumentano.
Per ridurre tali rischi, ed a parità di impegno delle istituzioni di vigilanza, occorre che i governi ed i parlamenti in carica siano lungimiranti, ovvero che trovino politicamente conveniente l’investimento in educazione finanziaria, rispetto ai relativi costi, non fosse altro perchè risorse pubbliche scarse possono avere usi alternativi.
Altrimenti, aumentano solo gli spazi per gli operatori inefficienti, sleali o illegali. Certo le prediche a favore dell’educazione finanziaria non mancheranno mai. Quelle non costano nulla.