“Se non siete curiosi, lasciate perdere.”
(Achille Castiglioni)
“Le discipline vengono sempre quando tutto è fatto, e quando tutto è fatto non c’è più niente che mi interessi”, scriveva Ettore Sottsass. Il grande architetto (designer, scrittore, fotografo, artista) motivava così questa affermazione: “Finora la storia dimostra che i migliori designer hanno cominciato come pittori, che i migliori pittori hanno cominciato come avvocati, che i migliori archeologi hanno cominciato come banchieri, che i migliori letterati hanno cominciato come marinai e così via.” Il punto di vista dirompente di Sottsass è stato un leit-motiv che mi ha spinto ad affrontare un viaggio speciale.
Un viaggio nei luoghi del design in Italia, che si è trasformato in un libro scritto a quattro mani, due voci e due penne con Pierluigi Masini (“I luoghi del design in Italia. Quattordici viaggi alle sorgenti del progetto”, Baldini+Castoldi, 2023).
Nasco professionalmente nell’editoria d’arte, con Franco Maria Ricci; continuo poi come giornalista e reporter di viaggio in Italia e in Europa; incontro il design più di vent’anni fa, quando Gilda Bojardi, direttore di Interni, rivista storica di settore pubblicata da Electa, mi chiede di lavorare a una serie di reportage sulle città del design. Non sono architetto, ma amo gli spazi costruiti, che raccontano dell’uomo e dei suoi sogni; non sono designer, ma amo la creatività e gli oggetti che accompagnano con garbo e intelligenza le nostre vite.
E così io, che non sono specialista della disciplina, entro in punta di piedi in un settore, quello del design, che mi conquista a tal punto da divenire il fulcro della mia scrittura. Perché, appunto, le discipline sono strutture utili ma rigide e oggi più che mai ci si muove sui confini tra una e l’altra, e li si oltrepassa continuamente. Io l’ho fatto, ed è nata un’avventura entusiasmante.
Già, i confini. Quando abbiamo immaginato il libro, è proprio ai confini che abbiamo pensato. Perché intorno al design – inteso come progetto di eccellenza applicato alla produzione industriale che apporti un effettivo miglioramento alla vita delle persone – si muovono professionisti ben radicati in territori e culture, con identità precise, che però operano con lo slancio di uscire dai propri recinti, di travalicare le discipline, di abbandonare quegli stessi territori originari per raggiungere persone e realtà lontane, anche lontanissime, apportando miglioramenti oltre il consueto, l’abituale, il ‘si è sempre fatto così’. La dicotomia tra le radici e il viaggio, tra il riconoscersi e il trasformarsi, tra l’unicità e la moltiplicazione, è insita nella natura del design.
Il concetto sembra stravagante, ma lo si afferra chiaramente se si ripercorrono le tappe che hanno composto la trama del nostro libro. Abbiamo compiuto quattordici viaggi (sette a testa), attraversando sette regioni d’Italia, in diciannove luoghi: a Milano, dove ci siamo recati all’ADI Design Museum, alla Triennale, negli studi-museo di Achille Castiglioni e Vico Magistretti, al Kartell Museo di Noviglio; in Brianza, dove abbiamo visitato, tra gli altri luoghi, il Molteni Museum; a Parma, allo CSAC-Centro Studi e Archivio della Comunicazione; al Museo Ferruccio Lamborghini di Funo di Argelato, vicino a Bologna; alla Fondazione Bisazza di Montecchio Maggiore (Vicenza) e tra Murano e Venezia, nei luoghi del vetro; a Montelupo Fiorentino all’Archivio Museo Bitossi; al Poltrona Frau Museum di Tolentino, in provincia di Macerata; a Roma, al MAXXI; all’Hotel Parco dei Principi, opera unica e assoluta di Gio Ponti a Sorrento.
Ognuno di questi viaggi, che può essere ripercorso da chiunque lo desideri perché i luoghi sono aperti al pubblico, aveva uno scopo: quello di capire che cosa è il design italiano a partire dai territori in cui è nato, di cui ha assunto le caratteristiche, essendo in grado, però, di mutare gli stili di vita non solo del proprio paese, della propria regione, ma di tutta Italia, dell’Europa e, in definitiva, del mondo intero.Senza false modestie, il design italiano ha fatto proprio questo. Lo dimostrano i casi studio delle aziende e dei progettisti che abbiamo incontrato nel viaggio, e che sono solo una parte di questo patrimonio immenso: che dire della Miura di Lamborghini, della poltrona Vanity di Poltrona Frau, della lampada Arco dei fratelli Castiglioni per Flos, del divano Maralunga di Magistretti per Cassina… e via continuando?
L’arte secolare di soffiare il vetro maturata gelosamente a Murano è guardata e studiata in tutto il pianeta; personaggi come lo stesso Ponti, Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Aldo Rossi, Luca Meda sono ormai Maestri emblematici per tutti gli architetti e i designer che tali si vogliono definire, dalle Filippine all’Argentina, dal Sudafrica all’Islanda.
Ma sono fortemente italiani, legati alle produzioni e alle capacità che i singoli distretti hanno saputo esprimere: il vetro a Venezia, la pelle nelle Marche, il legno in Brianza, la ceramica a Montelupo, la maiolica a Vietri. E si potrebbe continuare a lungo. Porto solo un esempio, per far capire come il design è entrato nella vita di tutti, senza che ce ne rendessimo conto: fino all’avvento dei tabelloni elettronici, negli aeroporti e nelle stazioni di tutto il mondo si utilizzava il teleindicatore alfanumerico, ovvero il tabellone su cui scorrevano con un ticchettio inconfondibile i numeri di treni e aerei, le destinazioni e gli orari. Un’invenzione rivoluzionaria, firmata da un architetto di Udine, Gino Valle, prodotto dall’azienda Solari, della stessa città, e premiato con un Compasso d’Oro nel 1962.
Addentrarsi in questi ‘mondi piccoli’, per dirla con Giovannino Guareschi, che hanno avuto mente e gambe per slanci internazionali, è stata una sorpresa prima di tutto per noi, che abbiamo compiuto e raccontato questi viaggi in prima persona. Purtroppo, il design in Italia è ancora un segreto per pochi, quasi un mondo respingente, che erroneamente viene relegato all’ambito del lusso, percepito come proprietà delle élite, siano esse intellettuali o sociali.
Mentre noi, che ne siamo appassionati cronisti, riteniamo sia un fatto identitario italiano, potente come lo sono la moda, il cibo, parte decisiva di quello stile di vita che ci rende unici. E che va divulgato con passione. Per più di una ragione. Ne elenco qui solo due. La prima è che la conoscenza del design aggiunge consapevolezza al nostro vivere quotidiano: nella scelta delle cose che ci accompagnano, nel valore che possiamo dare agli spazi della nostra vita (domestici, professionali, di accoglienza) e alla cultura materiale così raffinata, intelligente e ricca di bellezza, che è parte fondante dell’identità italiana. In secondo luogo, perché il design ci offre più di uno strumento per affrontare le sfide che il presente ci sta ponendo, ardue, complesse, cruciali: come utilizzare le materie prime? Come e perché produrre? Cosa è utile e cosa è superfluo? Come modificare gli spazi e i comportamenti di fronte alle rivoluzioni – climatiche, sociali, culturali – che già sono in corso?
A questi quesiti il design può e deve rispondere. La questione non si limita a che forma dare a una nuova sedia, ma al perché produrla. Come scriveva Mendini, una sedia è ‘un modo per mettere gli uomini in relazione tra loro’. Così ragiona il design. Interroghiamolo.